domenica 21 giugno 2009

CHIACCHIERE


Davanti all'Hotel di Edmonton ho avuto il piacere di parlare con un arzillo signore italiano immigrato qui da almeno 50 anni. A parte il sorriso stampato in viso - la scelta fatta, pur dolorosa all'inizio, deve essere risultata vincente - ci ha raccontato che a loro, gli italiani, non andava tanto bene quando sono arrivati qui: malvisti da tutti, la polizia impediva pure i raduni al parco per ascoltare la partita tutti insieme; evitati e temuti da tutti, non erano consentiti "capannelli" di tre persone sul marciapiede; gli insulti volavano a quintali, come i controlli legali a cui per anni venivano chiamati dalle autorità. Fino alla conquista del passaporto con la foglia d'acero, rinunciando, allora, per sempre, a quello natio.
Mi ricorda qualcosa.... Solo che si trattava di più di 50 anni fa, vale a dire gli anni 50 del secolo scorso.
Se le cose qui sono cambiate per chi arriva in questo Paese, lo si deve anche a loro e alla loro strenua resistenza. Un clima inospitale, inimmaginabile neppure dai racconti nelle lettere di chi era arrivato prima, condizioni lavorative al limite dello sfruttamento, hanno aperto la strada agli altri che, soltanto vent'anni dopo, cominciava ad arrivare con voli in prima classe, per offrire su richiesta una mano d'opera d'eccellenza. O una mente sperimentatrice.

Se si volesse seguire in maniera diciamo "urbanistica" questo percorso verso la qualità della vita, a Toronto bisogna partire da St. Clair Avenue, uno dei primi insediamenti italiani, anche se il quartiere italiano è segnalato da cartelli stradali molto più a sud, verso il lago. Una strada ampia incorniciata da palazzine basse, uno massimo due piani, con negozi al piano terra che consentono la passeggiata per la spesa. Da qui partono altre strade residenziali, alberate, con bungalows ancora in legno.
Da St. Clair, con il raggiungimento di un operoso benessere, i WOP - i senza carte, come all'epoca chiamavano i nostri connazionali - si spostano verso nord, verso Woodbridge, superano il limite della città di Toronto, e qui costruiscono case più grandi, confortevoli, a volte ridondanti di marmi e possibilità economiche. Alcuni pretendono le tegole in terracotta sul tetto, come nelle case in Italia, mentre qui si istallano di preferenze listelli in plastica catramata per proteggere gli spioventi. Lasciano il loro vecchio quartiere ai nuovi arrivati, nuovi poveri, nuovi malvisti. Centro Americani, soprattutto.
Non c'è nulla da fare, la strada dell'integrazione passa dalla battaglia per il proprio riconoscimento.

Uno dei riconoscimenti più importanti alla comunità di origine italiana, per me è questo: parlando con la mia nipote di origine polacca le ho sentito affermare, che il mercato immobiliare ha uno dei suoi picchi di pregio proprio intorno agli insediamenti di questi ex WithOut Papers. Perché nella cultura del nostro popolo rimane invariato il desiderio della cura della casa, la volontà di essere inattaccabili dalle critiche del vicino, e quindi i quartieri italiani di oggi, sono tra quelli che hanno le case più care, più attrezzate, con i giardini meglio tenuti.
Non c'è male come soddisfazione per chi ha pagato con la fatica e a volte l'umiliazione, la ricerca di un'opportunità.

3 commenti:

ignominia ha detto...

WOP (WithOutPapers)
E' la conquista borghese del salotto buono con i divani coperti di cellophane, che non si usa quasi mai per paura di sciuparlo, che questi ex poveri ora "noveau riche" si sono guadagnati con il duro lavoro oppure l'integrazione e il rispetto in una cultura una volta aliena e ostile? Se ancora considerano il mattone la loro conquista più significativa, l'avere il marmo ovunque in casa e temere il giudizio del vicino vuol dire che non è passato ancora abbastanza tempo.

Melinda ha detto...

O forse, molto più semplicemente, si sono portati con loro, una cultura del decoro che trovo impressa nel dna del nostro popolo.

Melinda ha detto...

Ps: grazie per la correzione.