sabato 26 dicembre 2015

TRONFIO DI PANETTONE



giallozafferano.it

Tronfio di panettone guardo la collega che non conosco. La saluto con un cenno da lontano pensando a quanta gente, in azienda, mi sia ancora estranea. Eppure navigo in questi corridoi da più di vent'anni, possibile che non ci siamo mai incontrati? La mente vaga vagabonda nell'attesa che la mia giornata lavorativa si compia: ho il tempo per annoiarmi non dovendo far altro che farmi portare dal punto B al punto A senza avere il dovere di impegnarmi in alcunché. 

Obbedientemente seduto al mio posto la guardo meglio. Ma certo che la conosco: abbiamo lavorato assieme! Certamente non ricordo né dove, né quando questo sia accaduto; tanto meno posso far risalire dal nero più nero della mia memoria, quale sia il suo nome. Ma è voce comune, provata, che io non abbia memoria dei nomi infiniti che mi transitano a fianco: nel giro di quattro giorni posso dimenticare il nome di chiunque: mettetemi alla prova? 
Al contrario le facce restano impresse indelebilmente nella classifica basica di: "conosco", "non conosco", che, divisa nettamente in due da un rigo verticale, porto dentro l'hard disk biologico. 

Il motivo per cui non l'avevo riconosciuta ad un primo sguardo è dovuto al fatto che tra oggi ed il momento, sia chiaro non lontano, nel quale abbiamo lavorato insieme, il suo volto è stato rimaneggiato selvaggiamente da un lifting cattivo e prepotente. 

L'operazione ha innanzitutto rosicchiato il lobo dell'orecchio che, da tondeggiante, incuneato sopra il baratro delle profondità dell'orecchio esterno, trampolino pendilo nel vuoto caldo e colloso, è scomparso, diventando il lato geometrico di una piscina, probabilmente sporca ed inospitale. Un costone diritto di diga da cui fare il bungy jumping legati al cotton fioc. Dietro l'orecchio zona non raggiunta dal trucco, un reticolo di cicatrici sottili e rosate. 

I vuoti naturali del volto sono stati sapientemente riempiti così che ogni increspatura potesse essere livellata in un unico massetto pre-piastrellatura che sa di fragile e gonfio. 

In questo arricchimento di volumi le labbra sono state adeguatamente sopraelevate, anche se il lato destro di quello superiore risulta essere un po' più basso del sinistro. 

Trucco abbondante ad esasperare il tono orientale dell'occhio, anche se la collega NON È cinese, e ricciolo birichino che cade simmetrico sulle guance, completano il parrucco. Lei china la testa ed anche quello si rivela un sistema frangia/frontale posticcio, fermagliato in alto. 
Il tutto un capolavoro d'ingegneria meccanica. 

Lo so bene che ricorrere al trattamento estetico può essere sia una necessità che una scelta: dice bene quel saggio che raccomanda di non giudicare mai le necessità/scelte altrui, non avendo certezza di quali stati d'animo vi si celino dietro.  Eppoi ancora vige la libertà di scelta e di pensiero, o almeno credo... Quindi reprimo la critica ma ne racconto solo i risultati.
L'importante è che il progetto edilizio sia stato attuato cercando di piacersi prima che di piacere. 

Però mi arrogo in ultimo il diritto di dubitare della terza abbondante in coppa C. Credo di poterlo pensare. 
Non che la cosa mi interessi: mi appassiona solo l'aspetto etnografico del fenomeno di costruzione DELLA BELLEZZA. 

Rischio di diventare maleducato a guardare così insistentemente. Mi viene in aiuto uno sgradevole gruppo di quelle checche esibizioniste, fastidiose e rumorose non meno esibizioniste, fastidiose e rumorose dei loro confratelli etero/smargiassi. Blaterano a voce alta verità assolute, ricordano insulsi ricordi comuni, fanno casino per il gusto di dire che ci sono. Non è mai stata una questione di genere: i rompiscatole travalicano tutti gli steccati. 

Le ascolto un po' divertito constatando che, in gruppo, tutti si divertono un po' più rumorosamente del dovuto. 
Naturalmente la collega si accorge di loro e si unisce al gruppo: come potevo dubitarne?! Elevando il livello di baracconaggine ben oltre la cupola della compianta Moira Orfei. Diventano amici da subito, di quell'amicizia profondissima ed istantanea che unisce solo coloro che si riconoscono come UGUALI. Ci manca solo lo scambio dell'indirizzo del chirurgo estetico poi siamo apposto. 

Per fortuna il volo dura solo un ora e venti. Più o meno sono già arrivato a Milano. Qui potrò dimenticare tutti in un attimo. Anzi, l'ho già fatto. 

Pure la collega che non so che faccia avrà quando ci ritroveremo ancora. 

Buone feste. 


Inviato da iPhone

giovedì 10 dicembre 2015

A ZONZO PER PREMIO



ilrespiro.eu


La cosa che fa più male passando davanti al Parlamento è vedere tutte le persone che stanno protestando, transennate a debita distanza, avvolte in questa bolla d'indifferenza che dal Palazzo esce, rotola e le ingloba. Come se non fossero lì. Come se i cartelli che espongono fossero bianchi invece che scritti. 
Neppure le telecamere dei giornalisti televisivi che trasmettono dal selciato, ostentando baldanza d'incarico, osano girarsi verso di loro. Eppure sono sempre interessati a tutto quello che è scontro, è polemica, è difficoltà: la lacrima, il cruccio provocato dalle miserie altrui vende sempre bene. Ma pare molto più interessante scapicollarsi verso l'inutile politico di passaggio, piuttosto che capire le rimostranze dei suoi elettori. 

Ed il fatto che ci sia "sempre" qualcuno che protesta davanti al Palazzo non giustifica l'indifferenza di nessuno, anzi dovrebbe essere uno stimolo a capirne il perché.

Roma mi ha accolto con una mattinata di sole spettacolare: l'aria tersa parrebbe quasi nordica se la luce non fosse ambrata e calda. La metropoli vive e si muove con vigore, l'oretta che mi separa dell'appuntamento per il quale sono sceso in città, voglio passarla a passeggiare per il centro centro: quello di via Condotti e limitrofe. 

Vedo cose bellissime, gioielli mozzafiato, vestiti per le feste, oggetti dal prezzo così alto da domandare dove possa essere il valore effettivo dell'oggetto decontestualizzato dal marchio e dalla boutique. Ragionamenti perdenti fin dal principio perché tutto è contesto, tutto è marchio. 

Decido che la giornata è così intensamente bella, sorridente, accogliente nonostante l'avvocato che dovrò vedere, che mi merito una passeggiata più in là delle vetrine addobbate. Metto su google maps e mi immergo nei viali di Villa Borghese. 

Che dire? Spettacolare. Frizzante. Un mondo verde che ti fa dimenticare che sotto il ponte che attraverso scorre un'arteria trafficatissima. Neppure il guardone che scende a spiare la coppietta  che pomicia, già con la mano a rastrellare il batacchio dalla patta, mi infastidisce. Mi provoca invece una risata alta che si perde tra le note della tromba del musicista di strada. 
Passeggio godendomi la brillantezza dell'aria tiepida senza lo stress dell'orario  dell'appuntamento imminente a cui arriverò spaccando il minuto per essermi perso lungo la stessa strada. Aspiro in cerca di profumi che l'aria quasi primaverile promette ma non può mantenere e, perdonatemi, non riesco a preoccuparmi per i disagi provocati dai parcheggi rimossi intorno alle splendide palazzine delle Ambasciate per il piano sicurezza richiesto dal Giubileo. 

Il panorama che mi fa planare sui tetti della Capitale è mozzafiato. Non posso non fermarmi, appoggiare la cartella a terra e le mani sul marmo tiepido della balconata. Riconosco i tetti e le maestose facciate degli edifici più famosi ed ammiro quello di una chiesa coperto di muschio verde a cui non so dare un nome: una macchia di colore in questa luce traversa che tutto sembra dorare. Immagino tutta la gente che, nascosta, passeggerà loro intorno o transiterà in religioso silenzio al loro interno. Una massa invisibile da qui e quindi irrilevante. 
Godo del privilegio di questa vista che alcuni godono dopo migliaia di chilometri passati a volare e mi riempie la tenerezza di quando, in questa città, mi sono per la prima volta innamorato. Innamorato sul serio intendo - senza offesa per gli amori di "prima". Sarò passato pure di qui, allora? Chissà. 
Quelli erano tempi di ore passate a zonzo per la città, angoli che non saprei ritrovare, sapori ed emozioni che non potevano che diventare consuetudini nel tempo, ricerca affannosa di alberghi accoglienti per esprimere i bisogni dei corpi nudi. E la tolleranza dei passanti al procedere di due giovani uomini, impavidi, mano nella mano. 

È il suo aver accolto questo sentimento prepotentissimo a darmi la grazia di non giudicare questa città come intollerabile anche quando lo è. È una tenerezza ed una mancanza di obiettività dovuta, che non fatico a ricordare. 

Lascio la balconata e proseguo verso il mio appuntamento che nulla di romantico ha. Ma se in queste pochissime ore sarò sereno a prescindere... Beh, lo devo a questa vista. 
Perché Roma è molto bella oggi. 


Inviato da iPhone di Melinda

martedì 8 dicembre 2015

CONSIDERAZIONI IN ATTESA DEL REGALO DI NATALE.



attaccabrighe.it


Gli adesivi sul retro delle auto che richiedono a chi sta dietro maggior prudenza alla guida perché a bordo c'è un bebè, mi irritano senza rimedio per non dir peggio. 
La mia guida è già egoisticamente prudente a prescindere da quell'avviso: tengo a me più che a chiunque altro, alla mia auto più che alla tua. E quindi che tu mi faccia sapere che hai generato la cosa non cambia. E non cambia neppure il risultato finale da ottenere: tutti a casa sani e salvi. Io, la mia auto, la tua ed i suoi occupanti. 

A questo vorrei aggiungere che se dopo aver letto che la tua pargola si chiama Francesca, ti sorpasso e mentre guidi stai digitando un messaggino sull'iPhone, beh il vaffa ci calza a pennello. E nutro fortissimamente la speranza di poterti rincontrare per lasciare un bel post.it sull'adesivo che recita più o meno così: "Quindi?". 
Se guidi con l'attenzione di un cercopiteco in coma, non rompere le balle al mondo. 

Le auto sono da sempre portatrici di messaggi imbarazzanti. Un tempo, questi messaggi, erano relegati all'interno, sui cruscotti metallici, ad orrende calamite che portavano foto di figli che imploravano di rallentare la velocità relativa, santi di ogni genere e misura con preferenza giustificata per San Cristoforo. Ne ho vendute a centinaia nella mia precedente vita in tabaccheria. 
A distruggere il sogno delle calamite ed a transitarle sui frigoriferi delle case, sono arrivati i cruscotti fatti di materiali sintetici. 
È nato quindi l'arbre magique che in breve è diventato il segno distintivo del proprietario. Gli orrori raggiunti in questo spiegamento di alberelli dal profumo intensissimo, sono stati tali che da simbolo di cura dell'auto, sono diventati indicatori di pochissima, o nessuna raffinatezza. Ne ho visto interi grappoli penzolare dallo specchietto retrovisore, arcobaleni inutili e pacchiani. Perché se uno era brutto, il grappolo che penzola come le salsicce dal bancone del macellaio raggiungeva i limiti invalicabili per la tolleranza. 

Quindi, quando anche questo è diventato troppo, le info di base sono state spostate sul culo dell'auto. In bellavista come le aragoste sul vassoio, posso sapere con uno sguardo: numero di figli in fasce con tanto di nomi, calcolare l'età di questi da quanto vecchi sono gli adesivi, composizioni di famiglie intere rappresentate con figure di cartoni animati, cane compreso, credenze religiose, teorie filosofiche, mele che ci fanno sapere che marca di telefoni/computer si usano, chi sono gli spacciatori di erbevita...

Nell'era della vita vissuta in pubblico attraverso internet, le info sugli sconosciuti che ci sfiorano durante il giorno passano anche da qui. 
Che poi già l'auto in sé è veicolo di una bella quantità di messaggi. Ma se il mezzo meccanico non è così imponente, mentre la necessità di comunicare la propria convinzione cerca sfogo verso il fuori, allora si passa alla decorazione del baule. 
Ed ecco che mentre sto in coda al semaforo tu mi metti a conoscenza dei fatti tuoi. Pensare che ho campato benissimo fino ad ora senza saperlo manco ti sfiora. 

Fate, fate pure, la macchina è vostra ed io posso sempre guardare altrove. 
Quello che vorrei dire a tutti coloro che si sentono in diritto di "farci sapere" è che forse non è così necessario. Non mi cambia la vita sapere che sei vegano o "arrostista", me la può cambiare solo se guidi bene e se non sei un pericolo per me. Poi, puoi pure generare o pregare chi ti pare. Sii solo un po' coerente, rendi il tuo modo di comportanti in macchina conforme a quanto segnalato dietro. 
Se hai figli guida meglio tu per primo. 
Se credi in un Dio buono non guidare come un nazista. 
E se hai una macchina così figa da lampeggiarmi da dietro perché ti faccia spazio, almeno lavala con frequenza. 


Inviato da iPhone di Giampiero Pancini

martedì 17 novembre 2015

GAND (GENT)



fotomiafattadame


Buongiorno, qui Bruxelles. 
Doveva essere una giornata grigia, ventosa, piovosa invece esco in strada e quasi fa troppo caldo col piumino. E non ho le caldane. Allora, per prendere un po' di sano freddo fiammingo, un po' di quel vento gelido che non sai se sia solo freddo o anche un po' umido, qualche goccia di pioggia sparata qua e là, prendo il treno e vado a Gand. 

Ho già provato ad arrivare qui. Presi un volo all'inizio dell'anno ma il mio aereo fu dirottato ad Amsterdam per nebbia e quindi finì per girare in Olanda con in mano la guida del Belgio e Lussemburgo...
Vidi per la prima volta il bellissimo ed appena restaurato Rijks Museum e la sera, stanco ma felice, sempre con la guida del Belgio in mano, riguadagnai Milano certo che la giornata non fosse andata sprecata. 
Ma a Gand dovevo arrivare. 

Della città che si rivela deliziosamente costruita, deliziosamente sciatta e deliziosamente vivace non m'interessa granché: il mio obiettivo è un altro. DEVO VEDERE QUELLA TAVOLA. 

Così appena sceso dal treno - manco a dirlo delle due stazioni cittadine ho scelto la più lontana dal centro città... - mi metto in marcia e dopo un paio di chilometri, percorrendo i quali ignoro volutamente ogni scorcio che possa rallentarmi, giungo alla Cattedrale di San Bavone; nessun commento sul nome, please.

Soli quattro euro mi separano da uno dei più bei dipinti mai visti, da una delle più belle, particolareggiate, colorate, complesse rappresentazioni del divino che abbia mai visto. È il 1432,  la città è potente e fiorente ed il borgomastro ordina un'opera di devozione a nome suo e della sua sposa; finiranno ritratti sul retro dei pannelli laterali che, mobili, chiudono il polittico e da chiusi ne diventano il davanti ed i protagonisti. Che tutti ricordino!
Chi chiamano a dipingere l'opera? Un paio di Van Eyck: Jan ed Hubert. Così, i primi che passano. 

Se non conoscete il "Polittico dell'Agnello Divino" date un occhio in internet o al film "The Monuments Men". Ne vale la pena. Vale il viaggio. È enorme, emozionante, ti trascina in un mondo così speciale e leggiadro dove anche i martiri, castamente divisi in gruppi di martiri maschi e martiri femmine, sembrano felici e rigogliosi, dimentichi delle pene inflitte e sbandierano le loro palme che pare una parata. 
Anche gli eremiti son gagliardi, e gli ebrei, i dottori della Chiesa, i soldati della Fede. 
In due parole: è bellissimo. A meno che non piaccia solo l'astrattismo non c'è verso di essere smentiti. 
L'opera ha così tanto da mostrare che resto dentro la cappella per più di venti minuti: ogni volto un ritratto, ogni gesto un modo umano.  Un censimento sterminato di persone vi aspetta dietro i vetri della teca. 
Poi, soddisfatto, esco a vedere la chiesa che trovo davvero bella. 

All'interno della Cattedrale è proibito a tutti fotografare tranne agli italiani, che consci di essere esonerati non si preoccupano neppure di togliere il rumore dello scatto dalle loro complesse apparecchiature. Non so con quali altre culture condividiamo l'idea che le regole le debbano rispettare solo gli altri, ma è certo che per molti di noi è così. 

Fuori la città si districa su canali importanti. Le facciate delle case sono rigogliose di dettagli. Il suo passato di polo tessile di importanza continentale si evince dalla ricchezza delle costruzioni. Passeggio quindi ammirato e piacevolmente sorpreso di scoprire che "il contenitore" è quasi bello quanto "il contenuto". 
La città, per fare un facile esempio, è una specie di Bruges più grande e più viva. Una città vera, non così "perfettina" ed a volte un po' parco giochi come la collega dei merletti e della "Madonna Con Bambino" di Michelangelo, vedi solito film. La si vive con meno circospezione e si può immaginare addirittura di vivere e lavorare qui. È piena di gente, di giovani, di bici e di tram che, alla faccia dei fiorentini che han fatto una guerra spietata alla loro tranvia, passano a fianco di tutti i monumenti della città. 

Rientro a Bruxelles dopo aver fatto un ultimo giro nel Begijnhof, deliziosamente restaurato in bianco, nero e rosso. Credo di aver visto parecchio, anche se la guida che ha impropriamente viaggiato in Olanda, ha delle piantine cittadine da denuncia: anche un calligrafo cieco riuscirebbe a rendere meglio la planimetria. Non faccio una foto per carità cristiana, ma per capire che quei segni erano delle piazze ci son dovuto cadere dentro. 

Bon voyage. 




Inviato da iPhone di Giampiero Pancini

lunedì 16 novembre 2015

UN POPOLO FIERO



Il mondo è una lente personale, un'ottica fotografica attraverso la quale visualizziamo le nostre emozioni e, se siamo abbastanza svegli, attraverso esse riusciamo a percepire almeno i nostri personali contorni. Fatti, avvenimenti eclatanti, tragedie sono gli spunti per mettere a fuoco chi siamo. O forse soltanto cosa proviamo. 


Degli attentati di Parigi tutti abbiamo colto la ferocia, la determinazione ad uccidere. Ma ognuno visualizza questa malvagità attraverso un fotogramma pubblico che diventa privato e resta incastonato a ricordare l'evento, forse, per sempre. Il massacro. 


Per quanto mi riguarda questo momento sarà rivissuto per sempre attraverso l'immagine sgranata della ragazza e del ragazzo appesi al di fuori delle finestre del teatro Bataclan, lei con i piedi infilati nelle grate della finestra sottostante, lui appeso e basta, come un animale pronto al macello. Una fuga disperata verso il fuori, lì dove anche una parete esterna è FUORI.

Il simbolo della disperazione di quei momenti per me è e resterà questo. Non importa per quanto ancora le immagini ci bombarderanno e forniranno altri spunti. 


Si contano i morti e si piangono. Si celebrano i loro nomi mentre le ferite dei corpi risarciscono. Si parla o si sceglie di stare zitti per non prendere nessuna posizione tranne quella del cordoglio. Per non alimentare l'una o l'altra delle fazioni del: "te l'avevo detto". Perché parlare è rischioso, parlare può suggerire al cervello muove immagini che allenterebbero il ricordo. 


Se un paradiso esiste è lì che si trovano i morti, e potrebbe avere l'aspetto di questa giornata di sole sul mare di Alghero. 

Questo è il mio augurio per i morti di quel Popolo fiero che si fa unione, Nazione, si fa coraggio ad uscire da uno stadio attaccato cantando l'Inno Nazionale. 

Chapeau. 





Inviato da iPhone di Melinda

giovedì 5 novembre 2015

A-NOSTALGICO



fotomiafattadame


Torino non è propriamente assolata quando vi arrivo dopo un viagio 
durato appena quarantacinque minuti, su un treno super veloce che accorcia ferocemente le distanze ed ha avuto tempi migliori negli arredi. 
È la prima giornata di freddo e cielo grigio dopo le ultime di sole ed aria così cristallina da godersi anche le montagne, le bellissime Alpi, come sipario. 

Passeggio, anzi passeggiamo, alla ricerca di un ristorante ed ora come allora trovo Torino bellissima. Interi palazzi stuccati fanno sì che ci si ricordi che è stata una capitale, forse la più elegante del Regno. Il contrasto col ruvido spessore delle facciate in mattoni resi scuri dall'umido del giorno, non ne sminuisce l'imponenza, anzi li trasforma in fortezze. Le piazze dalle forme sghembe, come gli alberi che le animano, fanno contrasto con quelle meno intime dalle ferree angolature geometriche. Ma la forza di queste prospettive rimanda al comandamento che richiede a chi vuole godere di una grande città, la necessità di alzare gli occhi per scoprirne le strutture, nascoste, invisibili a chi guarda solo a terra. Un contrasto di luoghi, lussi e desolazioni rendono questa impeccabile: perfetta così com'è. 

Troviamo una trattoria dai tratti rivisitati da una modernità senza la spina dorsale della tradizione e, naturalmente, ne usciamo scontenti. Tanto da rifugiarci in un dessert consolatorio in un posto poco lontano. 

Dopo il mio impegno in città proseguo la passeggiata da solo. Potrei infilarmi al Palazzo Reale per scampare al freddo ed all'umido che ricalano di sera. Non lo faccio e continuo a passeggiare in questa città che amo, è indubbio, ma che finalmente mi risulta a-nostalgica. La necessaria fatica di estraniarsi ad un posto in cui non si vive più e in cui non si vivrà di nuovo è finalmente fatta. Il distacco necessario a far sì che io la possa vivere senza affanno, è arrivato. La vita vissuta altrove e che mi fa amare altri posti e ancor di più i miei luoghi, impone di continuare a nutrire rispetto, ammirazione ed affetto per questo posto che è stato fondamentale per me. Ma finalmente metabolizzato il distacco, si placano gli attaccamenti. 

Non potendo pretendere di vivere in più luoghi contemporaneamente tutto questo era dovuto. Un grazie al mio Caronte, ai miei vari Caronte che mi hanno traghettato fino qui. 




Inviato da iPhone di Giampiero Pancini

lunedì 2 novembre 2015

DOPO LA CHIUSURA LA RICERCA



icturraneo.it


Giusto per dare una codina veloce al post precedente. Giusto per imprecare ancora una volta alla memoria della tua libreria preferita che chiude. E per cercare di far pace con quelle che restano aperte e non te ne spieghi il perché.

Perché è particolarmente stimolante - mai aggettivo fu più usato a sproposito - recarsi in libreria per cercare dei libri che si sanno ancora reperibili, non trovarli perché, ti dicono, stampati per la prima volta anni fa. Chiedere se si possono ordinare e sentirsi dire che no, non è possibile recuperarli perché troppo vecchi...

"E la bibbia, rispondo io? Non mi pare sia proprio l'ultimissimo di Camilleri, eppure ne avete un bel po' di edizioni in esposizione".

Evito la rissa ed esco, con in mano un sacchetto con un libro che probabilmente nella mente della libraia rappresenta, per la sua edizione dell'inizio del 2015, una rarità da collezionista: del resto ha dietro di sé ben sedici pubblicazioni nella stessa collana.
E mi domando perché mi ostino: i libri che cercavo li avevo già trovati in internet, sapevo che era possibile averli dal sito bello, confortevole, pratico e facilmente navigabile della casa editrice; perché quindi mi ostino a vestirmi ed uscire a cercare di acquistarli in luoghi reali con persone vere?
Perché son pirla. Sognatore ed idealista, con tendenze al pirla.

Tornato a casa ho aperto il computer, mi sono registrato, ho fatto l'ordine, ho pagato, so già che l'ordine è stato approvato. Forse me li spediranno tra poco. In realtà non lo so perché la casa editrice non funziona come Amazon dove ti comunicano anche se il primo dei volumi è in ritardo perché ha il raffreddore, ma ho speranza che nel giro di pochi giorni il corriere me li consegni.

Molto più facile fare questo che sapere se a bordo di un aereo ho dimenticato gli occhiali da lettura ed un altro volume di poco valore che non trovo più: il numero telefonico dell'azienda che gestisce gli aeroporti, è un muro invalicabile di informazioni "premi il tasto uno per l'italiano, due per il greco-cipriota", info che non calzano mai al caso proprio. Ed il numero di telefono squilla a vuoto. E la mail da spedire pretende una registrazione anche lei: la faccio ma poi anche da registrato non posso accedere nell'immediato al modulo previsto per sapere se son stato pirla a dimenticare gli occhiali o a pensare di ritrovarli...

Per fortuna arriva la sera che tutti gli uffici chiude e pacifica fino al giorno successivo.

Ah, dimenticavo: la spedizione dei quattro volumetti è compresa nel prezzo di listino. Non dico altro.


domenica 25 ottobre 2015

SALDI DI CHIUSURA



fotomiafattadame



Ci son rimasto male. 
Non avrei dovuto perché tutto scorre, cambia, si evolve. Ma ci son rimasto ugualmente male. A vedere le saracinesche della Libreria del Corso chiuse, sovrastate ormai della gigantografia con le facce dei Pooh incartapecorite e inutilmente stirate, zigomate dallo stesso chirurgo, ci son rimasto male. Ed i Pooh non mi son mai piaciuti, neppure ora che si sono sciolti poi riuniti con Riccardo Fogli. 

E quando dico che la libreria è chiusa intendo chiusa per sempre. Closed, svuotata, al buio, già polverosa. 

Eppure avevo seguito, anche questa volta, la medesima tecnica di sempre per arrivare fino lì ed acquistare in una libreria reale, una di quelle che non fosse un "non luogo": avevo sfogliato i cataloghi online di Amazon, Feltrinelli, Mondadori o chi per loro, poi, una volta deciso cosa mi andava di leggere, una volta focalizzati due o tre titoli che potevano servire alla bisogna, sono rientrato nella realtà per passare al contatto tattile, visivo, olfattivo coi volumi selezionati per eleggere il prescelto. 

L'acquisto doveva aver luogo in un posto confortevole e pieno di quella realtà che solo i negozi amati, voluti, curati e sofferti posseggono. 

Non ce l'ho col mondo dei centri commerciali, o coi siti internet che offrono pregi innegabili quali anonimato e maggiore libertà di approccio al prodotto, orari più o meno illimitati. 
Però è innegabile che tra questi ed un qualunque negozio lungo la strada che racchiude come un'osteria la sua perla/bottegaio qualche differenza ci sia. 

Io preferivo quella libreria lì. Era ampia, con un una vetrina d'ingresso che era già quello un luogo di consultazione; poi seguiva un enorme salone ad elle, con varie isole e pareti a scaffale tra le quali vigilavano e consigliavano scarsi addetti. L'illuminazione era buona, l'aria intrisa di odore di stampa, la scelta, il consiglio vastissimo. Non c'erano commessi ossessionati dalla necessità di realizzare la vendita e chi acquistava aveva la calma ed il tempo di chi si avvicina al libro come ad un oggetto degno di rispetto. Eppure gente ce n'era sempre. La cassa aveva una sua piccola coda e niente lasciava pensare che prima o poi... Ed io lì volevo dare ai miei soldi la direzione giusta, scegliendo chi creava un valore reale, occupazione, benessere a persone vere e non a consigli di amministrazione, dal mio denaro. 

Non so perché ho scelto quella libreria rispetto ad altre. Ma ad un certo punto, mentre la città mi si apriva nuovissima davanti, mi è capitato di entrarci e di decidere così. A prima impatto la scelta era stata su un altro negozio molto più vicino a casa, abbandonato in fretta e furia non appena gli ho visto esporre per troppo tempo ed in un'intera vetrina, libri politici che avranno attratto altri ma hanno respinto me. 
Così sono arrivato lì, ma adesso è chiusa ed io mi devo ricreare un altro luogo familiare. 
Perché è di questo che si tratta: di un luogo familiare come una stanza di casa, che improvvisamente ho trovato con la porta sbarrata da una serratura di cui non ho le chiavi. Devo ridisegnare una mappa di un luogo noto. Ho bisogno di una bussola. 

Così ho attraversato la strada, ed il libro che volevo l'ho preso altrove senza neppure guardare troppo per il sottile. 

Affranto, deluso, continuano a non piacermi i Pooh. 
Ed anche un po' irritato per non aver saputo che la grande svendita della libreria in chiusura prevedeva uno sconto del 30%...





Inviato da iPhone

mercoledì 7 ottobre 2015

SALITA AL MONTE



fotomiafattadame- Monte Pellegrino

Ho fatto una cosa che avrei dovuto fare anni addietro, ma fino ad ora la pigrizia non mi ha aiutato a portare a termine il compito.

Invece un po' di giorni fa, arrivato a Palermo, ho tirato fuori le scarpe da camminata che certamente non si trovavano lì per caso, e mi sono incamminato sul Monte Pellegrino fino a raggiungere il santuario dedicato alla Santuzza.

Un bel percorso in salita vertiginosa su un acciottolato scassacaviglie: ma tant'è, questo è il percorso devozionale. Una signora che incontro mentre già io sto scendendo lo percorre scalza e davvero non so quale enorme grazia abbia bisogno di chiedere a Santa Rosalia per sottoporsi a tale tortura: io con gli scarponcelli ce la faccio a malapena. Sarà colpa mia che cammino sempre troppo in fretta anche in salita.

Per i pigri o coloro che non possono camminare così a lungo c'è l'alternativa in quattro ruote su un bell'asfalto liscio e curato.
Asfalto ed acciottolato si incontrano più di una volta ed alla fine si riuniscono davanti alla scalinata della chiesa, tra pullman, baracchini di ricordi di ogni genere - in vendita non c'è solo Santa Rosalia in ogni forma e colore, ma pure mafia, politica e saggezza popolare che invita a farsi i fatti propri - ed infine bar ristoratori. Dove all'arrivo mi compero un bel cornetto classico panna e cioccolata. La ricompensa ci sta tutta.

Quando m'incammino ha appena finito di diluviare. L'aria è incredibilmente fresca e limpida. La terra riarsa dall'estate che ormai è alle spalle ha assorbito diligentemente tutta l'acqua che ha scaricato il cielo.
La prima cosa che mi colpisce è la differenza dei rumori che sento cambiare mano a mano che salgo. Dal traffico indifferentemente caotico che gira intorno alla Fiera del Mediterraneo, si passa al silenzio della passeggiata tra i pini, rotto solo dalle conversazioni di che la camminata la fa in compagnia o dallo sbuffare di chi si allena correndo in salita, dalle cicale che schiamazzano nascoste. Il salto nel silenzio naturale in una delle città più rumorose che conosca è davvero sorprendente. Più salgo e più godo della vista sulla città, scoprendola un'ammasso di costruzioni, una addossata all'altra, con pochissimi punti verdi ad interromperne la continuità.
Ma la posizione è spettacolare. Il mare, l'insenatura, il monte da cui guardo che guarda gli altri monti che chiudono alle spalle la baia. Il degradare dolce e lungo dalle alture nude verso il porto vivace, l'incedere verso terra di un traghetto: tutto diventa un bello spettacolo. C'è un senso d'imponenza, e di maestosità persa col passare degli anni e dei regimi.
Non posso non immaginare una città più piccola, magari più polverosa, dove il verde degli alberi degli agrumi si spingeva al mare e separava le rade case. Se ne coglie ancora qualche debole traccia, la matrice di un passato che certamente non stamperà il futuro. La bellezza di quest'immagine conquista me e deve aver conquistato migliaia di visitatori dei secoli scorsi. Poi sono arrivati i "tempi moderni" ed il capolavoro è stato ristrutturato da un'impresa incapace di coglierne il bello e l'unico.

L'aria profuma di pino, il verde è pieno e non te lo aspetti in questo monte che dal basso appare sassoso ed aspro. Ad un certo punto, molto in alto, una serie di costruzioni rivelano un ovile: cambia l'olfatto, l'udito e la bellezza del luogo. Le pecore, si sa, non ci vanno leggere col territorio...

Mi affaccio spesso verso la città e ne scorgo particolari che mi erano estranei: vedo in lontananza la pista di un'aeroporto che sapevo esserci ma non ero mai riuscito a collocare nella sua geografia. Dall'alto si vede un angolo dell'Isola delle Femmine, staccata dalla metropoli dal monte stesso.

L'ultima parte della camminata si fa tra grandi massi scoperti e pochissimi arbusti. Poi capisco di essere arrivato vicino alla meta dall'aumentare esponenziale dei rifiuti ai margini del sentiero: probabilmente chi ha iniziato il percorso carico di acqua può bere qui gli ultimi sorsi, certo di poter entrare in possesso della preziosa bevanda di lì a breve. La cosa che mi lascia di stucco è che qui si pretenda il miracolo ben prima di arrivare a pregare la Santa e che, forse, si pretenda un miracolo inutile se si spera che la buona Rosalia faccia da spazzina e faccia sparire la sporcizia umana. Basterebbe depositare il vuoto dell'apposito bidone, che prima o poi si troverà. Elementare.
Lo dico così, ma in realtà mi incazzo il giusto a vedere tutta questa incuria legata alla parola "devozione". E non me la prendo con chi non ripulisce, ma con chi sporca e se ne sbatte di quello che lascia dietro di sé. E comprendo come possa essere stato facile trasformare un capolavoro geografico in un cumulo di cemento senza bellezza.

Ma così è ed a quanto pare non c'è rimedio. Salgo la scalinata ed entro nel tempio inserito nella roccia e abbellito da un bel barocco. Sulla destra della scala una signora anziana vende ceri di ogni taglio.
Il soffitto della grotta sembra una pista di automobiline con i canali che convogliano in un fonte l'acqua che vi filtra e che miracolò. Nella grotta furono ritrovate, a centinaia di anni dalla morte, le ossa della Santuzza. Una statua sotto l'altare la raffigura in oro ed in estasi, distesa, con il libro, la rosa ed il teschio. Fu un'eremita. Ex voto ogni dove raffigurano le parti del corpo sanate o risparmiate dalla sventura. C'è un bel silenzio ed io godo anche di quello.

Inizio la discesa a passo brillante. Non sono qui per pregare ma per vedere, per camminare, per godere di questa bellezza.
Ed ho fatto quanto dovevo.

fotomiafattadame


domenica 27 settembre 2015

IO PESSIMISSIMO



clinicaveterinariagaia.com

In attesa di un aereo che mi riporti da Roma a Milano, connetto il mio telefono ad una parete attrezzata per ricarica dei cellulari degli sprovveduti viaggiatori senza batteria di scorta. In pratica un bancone pieno di schermi e di prese/corrente e usb. 

Mentre i pannelli luminosi alle mie spalle scaldano la schiena nel vano tentativo di allontanarmi da qui il più rapidamente possibile e lasciare la presa a qualcun altro, vedo quello attaccato alla presa a sinistra che si fa un selfie, quello ancora più in là che si intrattiene in una conversazione ispanica senza fine. Tema della chiamata: banalità sulla cultura culinaria del bel paese; avete presente "pizza/pasta/mandolino" e niente più? Ecco, sul genere. 

In un istituto medico hanno appena certificato la mia salute fisica: di quella mentale non si sono accertati se non con vaghe domande alle quali ho risposto nella maniera più convincente. Ma esiste un atteggiamento convincente se si vuol dimostrare di essere mentalmente stabili? Alla fine ho messo una firma per certificarne la veridicità delle mie dichiarazioni e del mio sguardo sobrio. 
Certo non mi sono messo a raccontare che sempre più spesso, col passare degli anni, tendo a fissare lo sguardo ed a concentrarmi sulle particolarità fisiche delle persone: potrei passare ore a guardare una ciocca di capelli di un colore particolare, un punto nero sulla schiena di una sconosciuta in chiesa, un'unghia troppo lunga anche mentre non scava un orecchio. Il soggetto delle mie ispezioni mi provoca un'osservazione compulsiva. Mi ci perdo e perdo la cognizione del tempo. Poi mi riprendo e mi do del coglione. 

Ma se nel gabinetto medico avessero avuto bisogno di una qualche cavia da sondare per esplorarne il pensiero debole, oltre al sottoscritto sia chiaro, io qualche nome, indirizzo o mestiere, avrei potuto indicarlo. 

Potrei proporre, ad esempio, accaparratori di amicizie altrui, quelli che marcano indefessi e senza vergogna un territorio che non gli appartiene più. 

Oppure potrei presentare loro il creativo che per vendere vestiti ai bimbi li fotografa tutti in fila, tutti col loro bel piumino colorato, tutti con la medesima testina inclinata a guardare lo schermo del telefonino... La faccia non si vede, ma ho come l'impressione che lo sguardo sia un po' inebetito. Chissà perché?! Il prezzo che vedo sul cartellone spero sia quello del piumino e non del piccino: così piccoli e già cosi rintronati... no grazie, non li comprerei. Capito forzanovisti??????

Non sfigurerebbe neppure quello che ha pensato di mostrare in un altro spot, la madre che spiega al piccino come usare lo smart phone, il che avvalora la tesi che il meraviglioso mondo di Amelie esiste davvero e non è solo un film. 

Chiudo la lista dei papabili al delirio con la nuova miss Italia che pare sia stata eletta dopo aver espresso a cuor leggero una castronata di tali proporzioni da diventar offensiva per la memoria collettiva. Ringrazio i giudici che hanno preferito comunque eleggerla quando avrebbero dovuto farla precipitare in fondo alla classifica delle belle e risalire alla testa di quella delle candidate all'accompagnamento INPS. 
Le altre concorrenti dovevano essere state più brutte di un'emicrania a grappolo per aver perso a paragone di cotanta ugola allegra, ma non mi risulta.  

Convengo con chi difende la reginetta dicendo che le parole siano uscite dalla bocca di una diciottenne spaesata. Ma abbraccio chi si sente offeso perché nello "sparuto" numero di vittime civili della seconda guerra mondiale, più di 33.000.000 se si escludono i civili periti nella guerra sino-giapponese (fonte Wikipedia), ha perso una madre, una nonna, una sorella, zia o amica. O chi come me ha ancora orrore e disgusto per le rappresaglie fascio/naziste di San Polo (Ar), Civitella in Valdichiana (Ar), Sant'Anna di Stazzema (Lu) e le centinaia di altre che non conosco. Vittime che in guerra ci si son trovate senza divisa. 
Confido infine che l'attitudine alla buona memoria che da sempre contraddistingue il Popolo Ebraico non le consenta almeno l'accesso in nessuna Sinagoga. Perché da noi siamo già alla solita pizza e fichi dal giorno dopo.


Passa gente, qualcuno corre tirandosi dietro un bagaglietto a mano su ruote stringendo la carta d'imbarco come un salvifico amuleto, altri, più simili a me, deambulano con lentezza. Più o meno la solita storia di sempre, quello che accade in un giorno normale. 
Tanto a me importa ben poco delle ansie degli altri: io son certificato sano. Cattivo ma sano. 


Inviato da iPhone di Giampiero Pancini

sabato 12 settembre 2015

NORD 2



Fotomiafattadame Palanga-Lithuania


Mettetevi l'animo in pace, le zanzare ci sopravviveranno. Quando questa razza di bipedi incapaci di intendere ma capacissimi di volere verrà estinta per nostra stessa mano, loro continueranno a svolazzare tranquille. E la sera davanti al fuoco, le femmine, racconteranno alle uova in schiusa di un epoca in cui fu inventato il DDT, il Raid, lo zampirone, la friggitrice da parete che richiamava solo le grasse e lente falene... E tra roboanti risate converranno che l'evoluzione in zanzara tigre è stata una figata e che l'aver cambiato dieta, non ha segnato affatto la sopravvivenza della specie.

Questo è quello che si evince visitando il museo dell'ambra a Palanga, Lithuania. L'ambra di questi parti del Baltico risale all'Eocene, tra 55 e 40 milioni da anni fa. Ed è piena di inclusioni: lucertole, mosche, ragni, ma soprattutto zanzare, tanto che al negozio del museo una goccia di ambra contenente una zanzara viene quotata 100€, mentre per un ragnetto incollato o una farfallina ci vanno 190€. Il che vuol dire che di zanzare ce n'erano già un surplus.

Ho scoperto che c'è pure un tipo d'ambra che è detta "bastarda". Me ne sono subito innamorato per simpatia tra simili. È quella che presenta inclusioni chiare, quasi marmoree tra il trasparente giallastro. Bella davvero. Conserva tutta la leggerezza della resina prendendo l'aspetto della pietra.
Tra i veri gioielli creati ed esposti un meraviglioso anello che al posto della pietra ha una formica millenaria. Basta trovare l'estimatrice...

Poi fuori dal Museo, collocato in un bel parco verde e fiorito, sono stato sopraffatto dalla malinconia di un autunno anticipato. Un vento freddo e costante, una luce pura, di taglio ma col cielo grigio di nubi alte, i bambini imbacuccati fino alla testa e i roseti ormai potati.
Questo è un luogo, un Paese silenzioso. Se si esclude il rombo delle auto di grossa cilindrata che transitano per strada, e sono la maggior parte, tutto intorno si svolge in un silenzio ristoratore. Ma troppo fitto per essere al mare, alla fine della stagione. Perché tra i negozio chiusi ed i ristoranti aperti c'è ancora un mucchio di gente che va verso il mare a sedere, per raccogliere i raggi del sole, ordinatamente seduti su una panchina, a guardare il Baltico e coloro che tra le alghe del bagnasciuga cercano conchiglie o, chissà, qualche goccia d'ambra portata da questo mare che sommerse foreste.

È tempo di scendere più a sud per scrollarsi di dosso questa sensazione non turistica. Bastano duecento chilometri per lasciarsi alle spalle le atmosfere marine.
È meglio andare.

venerdì 11 settembre 2015

NORD



Fotomiafattadame Klaipeda-Lithuania


Per smettere di scrivere di sé, bisogna alzare gli occhi e guardarsi intorno. Così con la scusa di raccontare qualcos'altro, si potrà continuare a scrivere di se stessi impunemente.
Qualunque parola scritta o parlata non può che parlare da quella testa, mono o pluri-neuronica che l'ha partorita. Ecco perché se si vuole scrivere anche un banale blog bisogna prendersi delle pause. Che siano espresse in ordine di tempo o di spazio - letarghi o viaggi - diventano indispensabili per continuare in maniera garbata a postare. Altrimenti rischi la galera o le denunce a raffica perché non trovando nulla da dire con garbo, allora ti impicci in maniera arrogante ed assolutista dei ca... fatti degli altri. Giudichi come la cristiana al quarto matrimonio che non vuole concedere le nozze ai gay e magari questi "altri" s'inca.... s'inquietano per le tue considerazioni.

Ecco perché mi son preso volontariamente un lungo periodo di lontananza da questo blog.
Ecco perché stamani, sveglia alle tre e trenta, manco fossi al lavoro, sono partito per le vacanze. Un po' di sani ca.... fatti dell'estero, fan bene alla salute più di un ricostituente contro la canicola estiva. Che tra l'altro, grazie ai temporali nel sud, è definitivamente archiviata per l'anno in corso.

All'aeroporto tra personale immusonito dietro i banconi e passeggeri addormentata al di qua, tempo dieci minuti avevo spedito il bagaglio e fatti i controlli di sicurezza. Obbligando i passeggeri a fare il check-in da casa propria, pena sanzioni stratosferiche, si riducono notevolmente i tempi di attesa; attivando più o meno tutte le linee di controllo di sicurezza e non le classiche due, ci si mette un attimo a farsi perquisire dallo svogliato di turno che è pure bruttacciolo; pur con tutte le precauzioni del caso ho suonato passando sotto l'arco della Ceia®. Giuro ho tolto tutto: che si sia attivato per il livello alto del colesterolo? Farò le analisi.

A bordo tutti dormono. Meno che me, la famigliola bimbo-munita della fila dietro, e le hostess che imperterrite percorrono la cabina coi carrelli delle vendite. Il bimbo dietro viene sedato con un crostino aglio e formaggio il cui afrore sveglia il mio compagno di viaggio, che però ha così tanto sonno che in seguito non se lo ricorderà.

In auto verso il Baltico il panorama è quello delle praterie nord americane. Cieli infiniti cosparsi da nuvole bianche che galleggiano sul loro fondo piatto, mucche, cereali, poco mais molto indietro nella maturazione, presenza umana non pervenuta.
Fuori 20 gradi, sole limpido, il cereale da mietere, un autovelox ogni 10 km, il rodeo delle macchine folli di velocità tra i due punti. All'autonoleggio ci hanno consigliato un piccolo sovrapprezzo per la copertura assicurativa totale di eventuali danni alla macchina. Accettiamo titubanti ma capiamo di aver fatto bingo incontrando, in soli dieci minuti, due incidenti camion contro auto: tutti illesi tranne le auto...
Guidano con quel gusto tamarro degli pneumatici che graffiano l'asfalto, con quella velocità che già li immagini investire un gruppo di vecchiette fuori dall'ambulatorio del medico di base.

Alle quindici fuori 20 gradi, io nel ristorante con la felpa, il bimbo di due anni con su solo il pannolino: questione di tempra. Dev'essere stato svezzato dalla Rottenmeier!

Arrivato a Klaipeda mi chiedo se non ho sbagliato abbigliamento: potrei aver esagerato con le polo a mezze maniche ed essere in carenza di maniche lunghe. Ma l'aperitivo all'aperto sul terrazzo, felpa indossata, a guardare il traghetto che fa avanti e in dietro con la penisola di Neringa non me lo toglie nessuno.
Voglio immergermi in questa luce cristallina.

martedì 8 settembre 2015

LETTURE ESTIVE


Palmira com'era, prima che quei COGLIONI SANGUINARI decidessero di distruggerla
fotomiafattadame

Non leggo quotidiani. Leggo parecchi libri gialli, forse perché me ne regalano in abbondanza. E quando sono lì, sullo scaffale, con la fascetta che elenca il numero di copie vendute, le lingue in cui è stato tradotto, le versioni teatrali, televisive, cinematografiche in cui è stato replicato, non ce la faccio a considerarlo un prodotto di bassa qualità, qualcosa da evitare per utilizzare il poco tempo che ho a disposizione per leggere, su classici e romanzi di "un certo peso".
Lo so che alla fine della mia vita mi ritroverò con il rimpianto di non aver letto tutto quello che avrei voluto, ma certamente il numero di parole altrui raggiunte, sarà comunque cospicuo ed il massimo possibile.

Quest'estate oltre alle pesche e alle pere, che sono stati eletti i miei frutti preferiti DELLA stagione, e non solo DI stagione, frutti accomunati dall'essere fragili e succosissimi, tanto da rendere inevitabile lo sporcarsi le mani quando li mangi, ho letto un paio di gialli/thiller notevoli. Uno è l'agognato ritorno dell'adorato Adamsberg, dalla magica penna della Fred Vargas, l'altro un volumone norvegese di uno scrittore all'opera prima.
Poi qualcuno mi spiegherà come ha potuto, tutta quella capacità di creare, rimanere nascosta fino alla pubblicazione di quel volume. Siamo invasi da opere prime di notevole spessore. Che si tratti della ghostwriter revenge?
Poi ne ho letto un altro: una vera scempiaggine. Sono stato tratto in inganno dal nome dell'autore: non succederà più.

Ma mentre la frutta adorata, al di là dell'appiccicaticcio lasciato su polpastrelli, dita e mano, lascia in me una senso di soddisfazione e sazietà inenarrabili, i libri letti, che vorrei precisare mi son piaciuti parecchio, hanno confermato la sensazione di un mezz'amaro in bocca, che conosco da tempo.

Non so se capita anche a voi di uscire frustrati dalla lettura di un giallo, di un thriller.
A me regolarmente.
Per il semplice motivo che non indovino mai in anticipo il colpevole.
Posso leggere tutto con attenzione, puntare gli occhi sulle azioni e sulle frasi di uno dei personaggi, piuttosto che di un altro, ma alla fine il vero colpevole è sempre un'altro.

Inizialmente pensavo che solo la persona presentata come la più riprovevole fosse il candidato ideale per ricoprire il ruolo del colpevole, invece veniva fuori che era stato il prete.
Per un'altro periodo ho puntato tutto su quello/quella che durante lo svolgimento della vicenda era stato presentato in maniera più defilata. Ma non era lui/lei l'assassino/na. No. Era l'altro più defilato del primo.
Ho quindi rimesso gli occhi sul più probabile, e manco questo/questa era il/la colpevole: puntavo sul salumiere, invece era l'osteopata che rimette al mondo i gatti.
Poi ho cercato di ragionare, di vedere chi fosse presente o assente, dalla scena del delitto mentre il delitto si stava consumando, ma anche così non ci andavo certo vicino: un buon libro di genere ha una serie di personaggi davvero notevole da seguire, così, giusto per confondere le acque.

Alla fine, dopo essermi accorto che a me la fa pure la Signora Fletcher, quella è una serie che continuerei a vedere e rivedere fino alla noia, ho deciso di fare il lettore e lasciarmi andare alla sorpresa finale, prendendomi la briga di dire soltanto: "Ma dai! Era proprio lei l'assassina? L'infermiera! Bravo 'sto scrittore a confondere le acque".
In fondo i buoni libri non sono costruiti anche per questo, per sorprenderci?
Con buona pace delle velleità da Sherlock Holmes in pantaloncini estivi.
Che io i gialli li leggo soprattutto d'estate.

PS - lunghetto ma indispensabile - : vorrei spendere un po' di parole CONTRO, ma proprio CONTRISSIMO la fissazione che pare si sia instaurata tra gli scrittori contemporanei di voler per forza, di loro intenzione o nelle volontà degli editori, lasciare finali aperti a tutta una serie di seconde, terze, o n puntate.
Ora, fino a che si tratta dei vari Montalbano, il già citato Adamsberg, della Petra Delicado, dei vecchietti di Malvaldi ci posso pure stare. Ma davvero sento il bisogno di un sequel di tutti gli altri libri in circolazione? Possibile che ogni ispettore, investigatore, team di lavoro, possa assurgere al titolo di ispiratore di un'intera serie? Personalmente di alcuni libri non comprerei mai un seguito, non ne sento il bisogno, posso dormire benissimo la notte. E pur comprendendo che spesso si tratta solo di mere operazioni commerciali, la presenza di tutti questi finali aperti mi pare un po' eccessiva.
Si può vivere anche senza. Davvero.
E, senza offesa: come nella vita di tutti i giorni ogni tanto le storie è meglio chiuderle.
Come le finestre quando piove.
E le serrande pure se hai appena finto di lavare i vetri.
Perché è sempre allora che piove.



venerdì 4 settembre 2015

RITORNO DAL CASTELLO




fotomiafattadame


Il signor Kafka Franz, nato a Praga nel 1883, scrittore di fama mondiale, ha avuto una vita per così dire... travagliata?!
Decisamente accidentata.

Un rapporto con le donne travagliato, con il suo stesso corpo altrettanto travagliato, tanto da morire quando questo lo ha tradito con una qualche forma perniciosa di tubercolosi. Non prima di aver sofferto le pene dell'inferno.
Della sua opera gli scritti lasciano trasparire una mente travagliata, una pensiero profondo e animalesco della condizione umane.

Oltre alle opere ed al suo ricordo di uomo vissuto a cavallo di due secoli ci lascia un aggettivo: KAFKIANO.
Dal vocabolario Treccani. Kafkiano: "che richiama l'atmosfera tipica dei racconti di Kafka, e quindi inquieto, angoscioso, desolate o paradossale, allucinante, assurdo".


Ho più di cinquant'anni e so bene di aver già affrontato, nella vita, l'assurdo, l'angoscioso e l'allucinante.
Poi, se solo mi guardo in giro e vedo le sentinelle in piedi, vedo anche il desolante; leggo le parole del proprietario di Ryanair e percepisco il paradossale; ascolto come si trasforma una legge che dovrebbe garantire, parificare le coppie omosessuali in un'altra che garantisce le coppie eterosessuali sposate, vomito attaccato allo stomaco dall'assurdo.
Potrei andare avanti per ore e se cercassi il vostro contributo son certo che intaseremmo il server di esempi pertinentissimi.


Invece mi fermo e faccio un outing (... un altro?!) dichiarando senza vergogna alcuna che, a metà luglio, ho avuto l'ardire e la sfacciataggine di accettare l'offerta fattami telefonicamente, ma concretizzata in un ufficio reale, palpabile, di cui ho l'indirizzo, con la quale sceglievo di cambiare il gestore telefonico della linea fissa.

Lo sapevo che avrei dovuto ascoltare la vocina che mormorava.... URLAVA di non far nulla, di restare radicato alle vecchie abitudini, che cambiare è positivo ma se ci si mettono di mezzo i call centre ed i nuovi contratti, questi luoghi e deleghe trasformano il cambiamento in un incubo.



Io quella voce, ahimè, non l'ho ascoltata e adesso mi ritrovo nel pieno del delirio.
Avevo una linea cellulare da anni, ce l'ho ancora?
Ho una linea telefonica mobile come prima. Sì, ma non essendo perfezionato il contratto non so bene quanti dei futuri 400 minuti, 400 messaggi, 2Gb ho attualmente a disposizione, quanta ricarica sto prelevando dalla scheda ricaricabile. Mi ritroverò alla fine, nel mezzo del bisogno senza credito e senza contatti con l'Italia.

Avevo da anni lo stesso numero telefonico e una linea fissa.
Ho adesso una linea telefonica fissa? Certo che ce l'ho, ma misteriosamente non ho più lo stesso numero. Se chiami quello vecchio nessuno risponde, se chiami invece il numero che risulta a carico di una persona straniera, rispondo io. O la mia segreteria.

Avevo una linea internet.
Sì? Quella invece non ce l'ho più, perché il primo servizio che ti staccano quando traslochi da un'azienda all'altra è l'Adsl. Poi te lo ricollegano, ma al vecchio numero. Mentre tu in casa hai un numero non tuo, allora tutta la tua meravigliosa linea internet va a finire nel nulla dello spazio infinito dei dati interstellari. Nel frattempo tu scarichi la posta, e solo quella, mi raccomando, con la "mattonella" portatile di un altro operatore.

In breve è questa la situazione che mi sono creato non ascoltando la vocina urlante che intimava di non farlo.
Perché è dal 14 di agosto che ho fatto presente la situazione a tutto l'universo creato (ufficio nuovo operatore, call centre nuovo operatore, call centre vecchio operatore, ufficio nuovo operatore per tre volte, call centre nuovo operatore per tre volte, chiamate sterminate all'ufficio del nuovo operatore, per arrivare a oggi: venti minuti al call centre del nuovo operatore e due chiamate all'ufficio del nuovo operatore) e se non mi faccio amico un senatore a vita, difficilmente riuscirete a raggiungermi al telefono e a farvi leggere se mi scrivete una mail.

Tutti mi dicono che mi capiscono e che aspettando la situazione, magicamente, si dovrebbe risolvere da sola. Ma ad oggi non è stato risolto nulla. Niente. Nada de nada.
Si dice che mi manderanno un tecnico a risolvere la cosa, il che è già di per sé un passo avanti, ma: "la prossima settimana, caro sig. P, ormai siamo a venerdì".


Mentre io rantolo, cappottato sulla schiena da insetto con le zampetta all'aria, un vaffanculo serafico risolleva il morare. Ma non mi da l'accesso alle porte virtuali del mondo. Quindi due vaffanculo rituali.
Ed una macumba.
A crederci.


domenica 29 marzo 2015

MODALITÀ: PRIMAVERA


fotomiafattadame


Che sia la prima vera giornata di primavera lo dice la luce: il sole arriva a toccare il letto, me ne accorgo mentre lo rifaccio dopo la notte appena passata, eclissata da un sonno profondo. Un letargo dal quale mi risveglio con un filo di mal di testa che non promette nulla di buono. La luce brilla dei piccoli frammenti di polvere che mentre rendono la camera simile ad un regno incantato, respirando si depositano nei bronchi e ti accompagnano più velocemente alla tomba...
Però è una bella giornata e, forse, i licheni cresciuti sotto pelle durante l'inverno cominceranno a seccarsi. Tra un mese sarò meno verdastro.

In strada le pubblicità sul fianco del bus inneggiano ad una mastoplastica additiva a meno di 500€ per tetta. Poppe estive, nuove, alla portata di tutti! In questo caso su cosa si risparmia: anestesia? Degenza? O un sacchetto di noccioli di ciliegia al posto del gel?
In metro la signorina scoperchia la maglietta di velo e tutto quello che non copre. Ma mette il punto alla situazione meteo: la signora intabarrata nel piumino seduta davanti può solo che correre in lavanderia a consegnare il capo desueto. L'età è l'ormone c'entrano poco: si tratta solo di banali gradi centigradi.

Vado alla Coop a far la spesa e la suora bonsai si piazza al centro del gradino della scala mobile bloccando il passaggio di chi la vuol percorrere a piedi. Il giovane dietro si sposta dolcemente a destra e a sinistra per cercare un varco ma la tonaca mignon non lascia che l'alternativa di attendere che il meccanismo faccia ben bene il suo dovere e trasporti i piedi di tutti in cima.

All'uscita l'edicola incombe. Per la serie sbatti il mostro in prima pagina abbiamo un colpevole da sbandierare per la gioia delle prevendite dei voli low cost pasquali: "Il Giornale" si dimostra pirl-of-the-piels, ma sfido chiunque a non averlo già capito da un bel po'. Io preferisco restare in attesa di quelle che non saranno solo le conclusioni del NYT e che, come in tutti gli incidenti aerei, verranno rese note ufficialmente tra mesi. Per rispetto dei morti e del dolore dei coinvolti.

Nel pomeriggio invece pedalerò in campagna. A vedere gli alberi in fiore. A sognare di essere in Giappone per la fioritura dei ciliegi. Non so se questi son ciliegi ma la fioritura è davvero di un bel rosa.
L'aria è frizzante e cristallina.
Modalità primavera: on.





Inviato da iPhone

martedì 17 marzo 2015

UNA TERRA SIA PUR NON NATALE



fotomiafattadame


Il colore è diverso e la luce è cambiata radicalmente. Dal mio ricordo il dorato è virato in grigio e mentre le auto sfrecciano sfrigolando a fianco, la strana solitudine affrontata percorrendo i marciapiedi riporta il silenzio in luoghi normalmente dediti al chiacchiericcio. 

Cadendo l’acqua, cerca di portare via l'odore delle auto, l'odore del mare che è a due passi, il suo rumore, l'odore dei fritti che riesce a scivolar fuori dalle porte aperte dei ristoranti, per catturarli tutti e precipitarli, con lo sporco, nei tombini. Un velo di pulito assoluto sovrasta il cielo plumbeo.

C'è silenzio intorno ed insisto a provare questa bizzarra sensazione in questa città normalmente dai suoni stridenti.
Attraverso la piazza conosciuta circumnavigando il giardino. Le facciate dei palazzi nobiliari sono di un carnoso giallo, le finestre illuminate hanno soffitto ricchi, ricercati; i ficus maestosi hanno piantato radici a debita distanza da loro stessi: come cattedrali della natura aspettano ad ogni angolo che gli si renda omaggio, le foglie lucide di acqua. Ma l’accesso non è consentito all’imbrunire. Resto fuori dall’inferriata a godere di tanto tripudio.

Proseguo sul lastricato a cercare gli ultimi banchi del mercato che sta chiudendo. Restano aperti soltanto quelli della frutta e della verdura, che colorano la strada ma non la profumano più. Stamani dev’essere stato l’opposto. Tra i locali con la luce artificiale accesa, entro in quello in cui acquisterò pistacchi tostati e le gommose alla menta ricoperte di zucchero che ricordano le Valda, che arrivavano nelle scatoline rotonde sigillate dal nastro adesivo. I pistacchi sono i più buoni mai assaggiati, le gommose assolvono appieno al dovere di ricordarmi un’infanzia così com’era. Se avessero venduto anche le Hacks sarei stato pronto alla regressione…
Esco da qui dopo aver conversato con gli avventori molto di più di quanto abbia fatto in tutto il mese di febbraio con i negozianti di Milano. Riprendo la strada all’inverso per andare a cena.
Non ho molta fame, ho la pancia piena di sensazioni e non ha ancora smesso di piovere e non lo farà. Con calma, come ci si dovrebbe aspettare da una rilassata pioggia del sud, continuerà fino a che io non me ne andrò domani.

Più avanti, prima di entrare al ristorante, guardando un meraviglioso pertugio tra le mura che porta al mare, mi fermo a gustare la sensazione di amare questa città alla quale credo di aver diritto di chiedere appartenenza, a vederne lo stupore di essere bagnata dalla pioggia, che lavora senza fretta a compiere il suo dovere di cambiarne colori ed umori. Anche quello di chi la visita.


fotomiafattadame


lunedì 16 marzo 2015

BATTISTRADA



www.chiwi.it


La signora sta in piedi, in larghe scarpette da ginnastica bianche allacciate male.
Non è più giovanissima, tiene in mano un ombrello asciutto che non appoggia a terra. Non sembra un gesto casuale, ma un'attenzione.

Guardo meglio perché sono curioso dell'essere umano e il solo suo apparire e bordo della carrozza della metropolitana, ha preso la mia attenzione.
Vedo che sulle mani indossa guanti di plastica monouso, di quelli da banco della frutta al supermercato, resta di traverso in un luogo isolato della carrozza senza sostenersi a nessuno degli appoggi che intrecciano la strada nel vagone.

Evidentemente evita il contatto con le cose, le persone e gli occhi altrui. Lascia che il mondo le scorra a fianco senza permettergli di sfiorarla.
Dev'essere per questo che, diligentemente, si sposta dal lato opposto delle porte in uso ad ogni fermata, eseguendo una danza guardinga, sempre un attimo prima che chi entra possa precipitarle addosso. Non parla con nessuno, non guarda nessuno, vive isolata dall'insieme del mondo che la circonda da ogni lato.
L'acquario nel quale vive non ha pareti di vetro, ma di energia e forse anche paura.

Non trasmette l'idea di una persona in disagio: il cappotto e i vestiti che ne sporgono sembrano più che dignitosi, quasi ricercati, di certo non è una barbona. I capelli son puliti anche se senza colore da tempo. Lo sguardo è fermo e lucido: segue i suoi pensieri e non ne è inseguito.
Non vuol avere nulla a che fare con ciò che la circonda. Quindi a contatto col resto del mondo mette brutti guanti, brutte scarpe.
Immagino allora che quelle siano scarpe "da metropolitana", che in quanto tali non siano ammesse in casa, che restino da qualche parte fuori dalla porta della sua casa, che esista un luogo loro riservato dove possano giacere tra un utilizzo e l'altro. Lì vicino resterà anche l'ombrello colpevole di essere entrato in contatto con qualche marciapiede ed i guanti, un'incetta garbata durante una qualche spesa settimanale all'Esselunga.

Ogni qualvolta si crea la necessita di un contatto col mondo, l'armadio esterno si apre come ad un astronauta pronto alla vestizione per la passeggiata lunare. L'indossare accuratamente lo scafandro porterà lui a difendersi dal nulla, la signora signora dal tutto.
Mi domando solo chi si senta più estraneo a chi.

Resta infatti lì fin'oltre la fermata seguente. Quella alla quale sono sceso io due settimane fa.
Ancora la ripenso.

martedì 10 marzo 2015

IN PIENA CORSA TV


fotomiafattadame


Poche le domande fondamentali in questo periodo.


1: perché Sanremo lo vincono sempre i non favoriti? E quelli che partono come "favoriti" non vincono mai e alla fine ne divengono i malcapitati "vincitori morali". Che vorrà dire poi? O meglio: cosa vuol dire lo si intuisce, ma diventarlo ha un valore maggiore di quello acquisito stringendo la statuetta palmata?

2: chi e con quale autorità elegge il "vincitore morale di Sanremo"?
Le vendite del brano? La critica? Il destino baro è crudele di essere arrivato secondo?

3: ed infine: chi trucca il sig. Roberto Carlino? Davvero quando "da la sua parola" tutto quel rosso rubizzo non si può più guardare. Dateci tregua, un po' di sano pallore no-UVA e qualche B in meno. Grazie in anticipo.


Ecco, poche ma "pregnanti" le domande del momento.
Anche se son certo che non mi toglieranno il sonno.


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mercoledì 4 febbraio 2015

FREDDO



toysblog.it


Che dire?
Ben poco: la ragazzina con metà chiappe di fuori avrà non più di 17 anni, ma a voler stare larghi. Il fisico da pin-up, i capelli lunghi e corposi sulle spalle, incorniciano un sorriso soddisfatto ed un volto molto bello.
Bello, ma di fanciulla, non di donna.

Sta ferma, sorridente, davanti all'ingresso di un hotel di prezzo, non so quanto di lusso. Armeggia con un telefono di quelli intelligenti, almeno lui, ed indossa fiera il minor numero di centimetri quadrati di stoffa che abbiano mai dato forma ad un paio di mini pantaloni.
Il risultato è che le chiappe non ne vengono avvolte ma ne fuoriescono "estrose, divertenti", penserà lei.
In realtà parecchio invitanti e volgari.

La guardo mentre, incartato a strati nei miei piumini salva temperatura, mi affretto verso casa in una sera invernale, una di quelle che non vedi l'ora di metterti a tavola davanti ad una cosa calda, possibilmente liquida. E sì che non piove, ci mancherebbe anche questo a questa temperatura che coglierebbe al volo l'opportunità di sbattere giù una nevicata di quelle con tanto di folate di vento.

Lei sta lì e sorride un sorriso di soddisfazione sentimentale adulta.
Sopra ha una pelliccetta che potrebbe riscaldarle almeno lo sterno e le spalle.
Di certo non batte, c'è qualcosa di delicato e privato in lei che mi fa escludere l'ipotesi. Sembra solo aspettare fuori della porta dell'hotel l'arrivo di qualcuno che la porti dal punto A al punto B.
Mi viene da chiedermi dove finirà la sua serata, dov'è il punto B.
Scaccio i pensieri e le opzioni che si affacciano alla mia mente: non le voglio vedere perché son certo che quella ragazzina non fa commercio consapevole di sé.

Passo oltre cosciente che non la rivedrò mai più, che ci siamo accostati solo in quel nano-secondo di vicinanza metrica, domandomi perché sia lì da sola, dove si è perso il controllo di lei, perché nessuno sia con lei in quest'istante che potrebbe diventare doloroso, della sua vita.
E un po', perseverando nel non farmi gli affari miei, m'incazzo.