domenica 23 dicembre 2012

CATINI


fotomiafattadame

Si gira per le chiese in questo periodo. Chi per ritrovare un'intimità diversa, gioiosa con la Fede, chi per visitare i monumenti, chi per visionar presepi.
Come me e la mia amica.

Io non amo quest'arte del disporre i personaggi che ho dovuto praticare per forza da bambino, con risultati discutibili: mia madre adorava il presepio piuttosto che l'albero - che faceva ugualmente - ed allora tutti gli anni si doveva ricavare la grotta dalla carta roccia e disporre le statuine, sempre uguali, sempre quelle, su un terreno instabile fatto fa carta erba - non so se esiste ancora questo materiale, ma si trattava di un piccolo prato di carta velina, appiccicato su un foglio più rigido - collo sfondo di carta cielo...
Il risultato, l'ho già detto, era orrido: pecore cappottate, fruttivendoli con banchini zoppi, casine e torri medievali sparse sullo sfondo. Solo l'idea di un fiume fatto con la stagnola mi fa ancora raccapricciare. Quindi io il presepe non lo faccio. Faccio altro.

La mia amica invece è una professionista dai risultati sorprendenti: usa tutti i materiali disponibili e le sue composizioni risultano sempre armoniche, in scala, simpatiche, con quel tocco di originalità che non stufa - perché il presepe finisce per stufare alla svelta - ma che si avvicina parecchio all'arte.

Allora siam partiti dopo un buon concerto di canti natalizi, dopo qualche regalo che prevedeva una lunga coda per l'incarto e, prima che le chiese chiudessero, ci siam intrufolati a vedere che cosa offrivano i "professionals".

Ne abbiam visti solo un paio. Il più ammirevole quello che a furia di effetti speciali costringeva il bambinello oltre che a tutte le fasi del giorno e della notte, a pioggia, nebbia e nevicata finale. Vien da dire: "Che culo"!

Ma mentre uscivamo da una delle più maestose chiese della città, che ospita un ciclo di affreschi che ci invidiano in tutto il mondo e che vengono a vedere dal Giappone, tra un outlet di Prada e l'altro, mentre uscivamo mi cade l'occhio nell'acquasantiera: nella conchiglia di marmo attaccata al muro nei pressi della porta, a contenere l'acqua non bastava il marmo. Ci voleva un'insalatiera bianca. Di quelle che ci passi dentro il pomodoro per la pomarola, mentre lavori come un matto sul pomello del passatutto...

Che la conchiglia fosse bucata e non trattenesse la santa acqua non è dato sapere. Che fosse più ecologico benedire poca acqua invece di tutta quella che avrebbe contenuto la conchiglia non credo assolutamente. Che chi l'ha messa lì dentro, alla vista di chi paga bei soldi per accedere al ciclo degli affreschi, ed ai semplici visitatori che la bella chiesa richiama, sia un cialtrone, è indiscutibile. Passatemi il termine. Brutto, brutto, brutto: ecco cosa ti grida il cuore quando lo vedi. Ma la pervicacia di coloro che, si narra, arrivarono a chiudere le porte in faccia alla sorella della Regina d'Inghilterra, perché osò arrivare a visitare l'edificio sull'orario di chiusura, non ha guardato in... faccia a nessuno. Soprattutto al buongusto.

Chissà se a San Pietro fanno pure così? Sarebbero giustificati più che qui, visto che la Cattedrale della Cristianità è più giovane si 216 anni, quindi più vicina al moplen di quanto la sia lo basilica di San Francesco.

Comunque il presepe in quella chiesa non l'abbiamo visto. Lo spettacolo era altrove.

fotomiafattadame


giovedì 20 dicembre 2012

CORRERE


cicap.org


Corro, corro, corro e corro ancora per trovare la pace e la serenità. Trasformandomi quindi in povero cretino affannato che cerca la pace...
Come farò a trovarla aggiungendo altro delirio, proprio non so.

Ieri, in preda all'ansia che mi assaliva ormai da qualche giorno, facendomi svegliare tutte le notti ogni ora e mezza, che ci potevi rimettere l'orologio dell'Istituto Naz. di Ricerca Metrologica di Torino, complice l'eterna incapacità di gestire i sentimenti e la sfuggente capacità di rovinarsi la vita, sono corso fuori città per incontrare un medico. Ho affrontato traffico, viaggio, parcheggio, quindi una notevole dose di
stressssssssssssss
per farmi segnare delle meravigliose pillole
antistresssssssssssss.

Ma non bastava farsi una camomilla e due passi in campagna, dico io?!
NO! Volevo la "roba". Volevo essere sedato neppure fossi Jacko prima del trapasso!

È un po' come correre come un matto in mezzo ad un ingorgo per raggiungere in tempo il corso di yoga... O come andare ad una manifestazione di Comunisti esibendosi nel saluto romano...
A proposito di comunisti: con l'ennesima discesa in campo del Cavalier Berlusconi, è il Paese che lo vuole, pare che la fabbrica russa di Cattivi Comunisti, abbia fatto una nuova emissioni di questa specie in via d'estinzione. Emissione questa, che si distingue per l'estrema aggressività del prodotto finito, soprattutto nei riguardi di ricchi e vecchiette, ma soprattutto per l'insaziabile fame di bambini. Nei dintorni di Arcore sono già andati tutti esauriti, qui da noi arriveranno entro fine febbraio p.v. a rubarci i soldi dal materasso.

Se qualcuno nelle vicinanze ne adocchiasse un esemplare è pregato di chiamarmi che voglio fargli delle foto: sono ormai estinti allo stato brado.

Che menti malate, sant'Iddio. Che manica - costituita solo da me, beninteso - di rincoglioniti accecati dalla bramosia.
Invece di starcene a casa, distrarsi facendo due chiacchiere con chi vive con noi, vedere un film, leggere un libro, ci imbarchiamo nella chimica della tranquillità.
La mia, in verità, è tranquillità omeopatica, quindi secondo alcuni auto-indotta; secondo certi paesi stranieri invece, è chimica passata dal servizio sanitario nazionale...

Ci son quelli poi che potrebbero vivere da nababbi e si vanno ad infognare in autogols da manuale.
Non sappiamo più vivere. Io per primo non lo so e non lo faccio.
Però, per calmarmi, almeno non vado a minorenni! Eccheccazzo!

giovedì 13 dicembre 2012

CHIEDERE


fotomiafattadame


Non può essere altro che scienza. Il frutto di una ricerca.
Deve, e insisto DEVE esserci uno studio dietro a quelle sedie così scomode piazzate davanti alle scrivanie degli impiegati, nelle banche. Non è pensabile che sia un caso, una crudele coincidenza che siano tutte così. No, no, no!

Provate se non ci volete credere! Inventatevi una necessità e, dopo aver preso appuntamento con l'impiegato, fate come gentilmente vi viene offerto: accomodatevi... Che spreco di significati in questo caso!
Cioè: provate a spostare e poi schiantare il culo sulla sedia che vi viene offerta; una volta seduti provate ad avvicinarvi alla scrivania ed infine ad andatevene alla fine del colloquio. Ma dovete provare a farlo cercando di mantenere integra la vostra dignità di essere umano, senza movimenti inconsulti, posizioni anomale in perfetto stile Fracchia vs. il puff.

Perché quelle sedie sono strane.
Innanzi tutto sono pesantissime e già il movimento di afferrarle e spostarle per sedercisi sopra risulterà in uno scatto interrotto, una piegatura sghemba ed inattesa della colonna vertebrale che vi farà prendere la posizione del "pero bruciato dal gelo": contorto e nodoso.
Poi son scomode come nessun'altra cosa mai: o son troppo alte, o troppo basse, o troppo strette o ricoperte di materiale scivoloso. Una volta seduto avrai comunque la postura di quello che sta a rapporto dal preside per aver sfondato la teca nell'aula di scienze con un movimento maldestro...

Eppure quello davanti a te non è un preside... In teoria è un essere umano che fa un suo lavoro e guadagna facendo quel lavoro con te. Anche se sei tu che vai da lui a chiedere del denaro che in quel momento non hai; oppure di prolungare la scadenza di una rata. O di aumentare il tetto di spesa del tuo bancomat.
E' il suo lavoro, lo fa per denaro, non per beneficenza. Ma alla fine tutto pare orchestrato per farti sentire in colpa.

Il guaio è che ci riescono benissimo.

Così mentre ero lì che sembravo a scuola, mi son sorpreso a pensare che ero andato in banca per non sedermi sul marciapiede a chiedere offerte ai passanti. Avevo pensato che fosse già abbastanza umiliante chiedere a qualcuno in ospedale di consentirmi di fargli una foto con la ferita di un grave intervento in bellavista, figurarsi poi metterla sotto cellofan e mostrarla da seduto ai passanti, protendendo la mano o un bicchierino da caffè... Soldi facili, magari pochi, qualche ramanzina da parte del moralista che ti da i soldi solo se gli concedi di sentirsi MOLTO buono, ma nessun rapporto rata/reddito da rispettare, nessuna scadenza mensile da onorare, niente notaio, geometra, direttore da vezzeggiare. Solo qualche fraterna scaramuccia a colpi di coltello per aggiudicarsi i marciapiedi migliori.
Ma non avevo ancora fatto il giro delle banche. Non sapevo quindi quello di cui cosa stavo parlando.

Ero lì, al terzo istituto di credito in tre mettine, che mi chiedevo se realmente ne valesse la pena, e allora ho avuto un flash: vuoi vedere che lo fanno apposta per non farti chiedere troppi soldi? Oppure per estorcertene d più e con più facilità se decidi di investire?

Potrebbe essere: partendo da una posizione di sudditanza si fa alla sventa a capitolare.
Ecco perché ritengo che non sia un caso.


Ho un'unica consolazione: le banche sono generalmente riscaldate. I marciapiedi d'inverno, no...



sabato 8 dicembre 2012

PUNTO


podisticasolidarieta.it


Lui e lui vivono insieme. Lavorano poi la sera si ritrovano intorno alla stessa tavola, agli stessi amici, allo stesso letto.
Lui parte spesso per lavoro, ma torna sempre lì.
A lui invece hanno offerto di andare a lavorare fuori. Non ha accettato per non lasciare lui: dice che, andandoci, dovrebbe vivere fuori e si perderebbero la quotidianità del loro rapporto, le cose di tutti i giorni che lo rendono reale. E il loro rapporto si potrebbe perdere: il fine settimana non basta.
Lui e lui non hanno figli ma curano il loro stare insieme come un figlio.
Non hanno bisogno neppure di un cane: hanno già di chi prendersi cura.
Infatti lui si dispiace della partenza di lui. Ma sa che tra pochi giorni tornerà.

Assisto ammirato e ringrazio la vita che esistano persone così. Che le possa vedere e sentire reali, vere, esistenti, non solo scritte sulle pagine dei libri.

Grazie per la cena.



lunedì 3 dicembre 2012

FUGA


click-web.it

Ascolto l'autunno passare attraverso le gocce di pioggia che battono sul vetro. E pensare che ho i doppi vetri...
Immagini di disastri veri o possibili arrivano dalla rete: la TV continuo a rifiutarmi di guardarla e forse rimango molto più sorpreso di chi la lascia andare a ruota libera.

Piooooove, il governo resta ladro - un vecchio modo di dire che andava oltre le colorazioni politiche - ed io ho difficoltà a scendere a patti con l'ingrata realtà.

Ma ce la posso fare. Accetto che la pioggia sia pioggia, che la pausa in tutto quello che è in pausa sia una pausa, accetto di avere la testa da un'altra parte e il cuore da un'altra ancora. Accetto con tutte le mie forze...

Con così tante forze che mi scoppierà qualche capillare in faccia.

Ci vorrà un'estetista dopo tutta quest'accettazione... O un monastero buddista... O magari delle prolungate assenze dalla realtà.

E se l'alcol non paga, anche se allevia il giusto devo dire, le droghe son troppo costose per me, mi rifugerò in quella virtuale.
Qualche DVD da consigliare?

lunedì 26 novembre 2012

NUDI O VESTITI


IT.PAPERBLOG.COM

In segno di protesta un signore con un bel fisico sale sopra ad un monumento di Whitehall a Londra, completamente nudo. O forse completamente fuso. O tutt'e due.
Fatto sta che mentre sta accovacciato sul pennacchio del cappello del tipo a cavallo che involontariamente lo sorregge, così accovacciato da nascondere le vergogne alla vista del pubblico dei giornali, un piede si alza e la sequenza fotografica perde dell'intensità erotica/animale che poteva trasmettere fino allo scatto precedente: il piede mostrato è completamente nero. Sporco. Lercio. Inguardabile.

E se è pur vero che nella nostra vita tutti abbiamo almeno una vota desiderato qualcosa che non profumava di lavanda, quel piede nero-nero-nero trasforma lo show di un elitario dimostrante, nell'esibizione di un ubriaco da osteria.

Non ho indicazioni sull'identità presunta o reale del signore ritratto, se sia un vero barbone dai capelli unti o un bizzarro ingegnere nucleare che protesta per i tagli alla cultura, ma è certo che il particolare del piede fa raccapriccio. Tanto per tornare a dar forza al concetto che, alla fine, l'apparenza è sostanza, che la valutazione, la percezione che il mondo ha di te, seppur sbagliata, dipende da quello che di te mostri.
Lui un piede annerito.

Mi diverto ad osservare in questo giorno grigio. E facendo "due passi due" verso uno di quei mercatini dell'usato dove sedicenti furbi cercano di spostare le cose inutili dalle loro soffitte verso le soffitte di altri più sprovveduti, noto i volti e le espressioni di chi trafelato mi passa accanto. C'è la certezza di trovare qualcosa di prezioso che gli stolti che lo hanno preceduto non hanno saputo individuare. C'è la consapevolezza di saperla lunga, di avere un occhio critico superiore alla media e la fortuna più sfacciata persino di quella, proverbiale, del neofita.

Si aggirano, la testa bassa tra i banchi, in silenzio, tesi, scattanti, andando dritti alla zona che conoscono e che sanno contenere gli oggetti del loro probabile desiderio. Se viaggiano in coppia mariti e mogli si dividono e come segugi circondano la preda pronti a sferrare l'attacco finale, per riportare il cimelio più grosso nel proprio garage.

Molti escono a mani vuote. Quasi tutti, perché detto tra noi, neppure le decorazioni di Natale di seconda mano sembrano valere la pena della caccia.
Altri caricano velocemente il furgonato con qualcosa, qualsiasi cosa gli faccia gridare il cuore di trionfo. Ma gli unici che sembrano rilassati in questo gioco sono i gestori dell'attività.

Per quel che mi riguarda non trovo nulla che mi piaccia. Neppure una misera tazzina da caffè che sempre riesco a trovare interessante e che lascio lì solo perché so di averne già abbastanza.

Salgo in macchina mentre un'altra autovettura aspetta che mi tolga di mezzo per occupare il mio posto nel parcheggio. La giudatrice ha già indossato lo sguardo da segugia e non mi guarda in faccia, neppure mentre le transito accanto per andarmene. Come una giocatrice di poker ha paura che possa carpire il suo segreto desiderio, la sua sensazionale scoperta.

Invece me ne torno a casa. Carico di impressioni da jungla. Impressioni che mi riportano al signore sul monumento e con i piedi neri.
Lui almeno la faccia e il deretano li ha mostrati, si è levato gli abiti della civiltà volendo dimostrare un qualcosa che non so e che alla fine mi pare poco importante. Ma ha usato lo strumento primordiale del corpo e in una civiltà di bacchettoni impauriti dall'istinto animale, dal primordiale, dal naturale è finito sui giornali.
Invece, nascosti dai civili abiti e dalle confortevoli auto, noi nascondiamo i nostri istinti più selvaggi, le nostre bramosie più animali e non finiamo sui giornali.

mercoledì 14 novembre 2012

GRANELLA E NONO DENTE



tuttofare.tgcom24.it


È chiaro, evidente, prevedibile e scontato.  


Se parti per andare a fare l'igiene dentale è bene che eviti i cioccolatini alla nocciola.  

Lo so che il cioccolatino infonde coraggio e quello che lo ha preceduto è l'ultimo caffè che ti sei ripromesso di ingerire in vita tua per non macchiarti mai più i denti...


Inevitabilmente la malefica nocciola si incastrerà, meglio si cementerà tra il dente e la gengiva, che per non fare la solita figura dello zozzone con l'igienista, ti eri spazzolato con maschia efficacia prima di uscire di casa.  

Del resto anche la bocca ha una sua intimità e restare con le fauci spalancate davanti ad una quasi sconosciuta, può apparire imbarazzante: quel ponte reggerà come un tempo, la gengiva apparirà turgida o molliccia alla vista? Quindi che lo spettacolo introverso di me stesso sia almeno uno spettacolo di possibile freschezza! E senza residui alimentari.

Ma poi il nervoso ti prende, perché ti prende sempre quando vai dal dentista: è un fatto. E fai la sciocchezza di fermarti in un bar a bere il caffè, l'ultimo della tua vita, e vuoi accompagnarlo con un magnifico cioccolatino che occhieggia dai pressi della cassa.
E lì il dado è tratto. E sei fottuto.
 
Perché per non porre fine al peggio - che proverbialmente non ha mai una fine - oltre al pezzetto incastrato tra i denti, un minuscolo disco di granella si va ad installare sulla corona del molare, formando un tappo pervicace tra gli scogli di smalto addetti alla masticazione. 'Na cozza sullo scoglio, insomma...


A quel punto che fai? Oltre a maledirti per esserti inflitto l'ennesima umiliazione facilmente evitabile, che fai? Perché dal bar sei ormai uscito... Quindi a chi chiedi uno stecchìno, un cure-dent, an toothpick, un palito d'emergenza? 
Nessuno ti potrà mai salvare, tranne il signor Pips che viaggia sempre con un paio di stecchini nello zaino. Lo so perché me li propone sempre ad ogni fine pasto fuori casa. Ma lui OGGI non è con te, quindi...

Infili con aria indifferente il mignolo nella caverna e attacchi a ravanare con l'unghia sperando che solo metà del quartiere noti che stai ravanando col mignolo in bocca, con aria indifferente  nella speranza che nessuno ti noti?

È quello che faresti già da subito se un minimo di calcolo e di freddezza ritrovata, non ti facesse ricordare che tra non molto arriverai allo studio medico dove una buia e poco frequentata scala - Dio benedica gli ascensori - darà albergo alla smania di ritrovare una dignità dentale quasi perduta. 

Nell'affrettare il passo cominci ad esercitare una pressione della lingua a paletta, tesa a scalzare l'intruso dalla corona. A quel punto, le mascelle scostate e le labbra serrate mentre faccio compiere alla lingua una serie di movimenti ritmici, devo apparire a chi m'incontra come la brutta copia della maschera di "Screem", solo con la bocca chiusa.

Per l'intruso laterale - dente v/s gengiva - eserciti dei risucchi striduli tesi a spostare con la forza del vuoto quello che il dito non poté. Una cacofonia di suoni e spazzolate con risultati mediocri che ti consentiranno però, di assomigliare ad una notte nel caravanserraglio del circo Orfei. Quale? Uno dei tanti.

Ma la maledetta non se ne va.

E neppure nel raggiungere le scale ti senti in salvo, perché anche l'unghia del mignolo non riesce a fare bene il suo lavoro. Lo senti. Lo percepisci, lo sai che farai comunque una figura meschina.

Ed in sala d'aspetto ti metti a meditare per cercare di risolvere la questione in maniera dignitosa. Fingere la sorpresa mentre la signora alzerà la visiera per mostrarti il blocco enorme, stile meteora, ch'è riuscita ad estrarre durante il lavoro, chiedendoti se eri intenzionato a lasciarle "un presente"? Se ne dichiarerebbe obbligata mentre con schifo, lo getterebbe nel cestino. Non prima però di averlo fotografato e pubblicato sulla pagina Facebook delle Studio.
Oppure dichiarare all'igienista la propria debolezza e sperare nella di lei clemenza?

Mentre ti avvii allo studio opti per la seconda ipotesi: meno pericolosa. Ti sdrai e comincia il lavoro di rimozione. Niente di così imbarazzante viene estratto, per fortuna. Almeno per ora.
Perché il pezzo di granella non è nulla d'imbarazzante rispetto alla notizia che da oggi puoi considerarti un fenomeno da baraccone: ti scoprono in bocca una collezione di noni denti. Noni denti? Ma che dice signora!? 
Mentre i più sfarzosi si fermano all'ottavo, detto dente del giudizio, tu vai oltre... Vai a ravanale nelle caratteristiche ancestrali del genere umani. Sei un residuato della preistoria???? 
E non è finita qui: l'ultimo di questi denti dello stra-giudizio sta uscendo ora... A cinquant'anni!!! Venghino siori, venghino, non c'è trucco e non c'è inganno!!!!

Ed io che mi preoccupavo per la granella... Che fesso!
Notte!

domenica 4 novembre 2012

BLOCCO DI COSE




Il blocco del rientro. Anzi, posso affermare con un minimo d'autorità di essere ancora sotto shock da rientro.
Pensavo che una volta fatte risalire le tragiche, lunghissime scale a tutte le mercanzie riportate da Milano la cosa si sarebbe risolta. Del resto si trattava di sole cinque valigie, svariati sacchetti di carta Ikea e di una pentola a pressione: una volta trascinate le cose su per la ripa, il fisico avrebbe chiesto perdono e pietà e la mente si sarebbe acquietata ed in fine predisposta ad un fluire semplicistico delle mia vita.

Avevo persino notato come in mia assenza il gatto aveva ripreso una vitalità a me sconosciuta: ma stava per morire solo pochi mesi prima... Scatenò una giungla infinita di sensi di colpa alla mia partenza...

E le piante grasse, le mie adorate "grassone"? Avevano raggiunto dimensioni ragguardevoli, alcune penzolanti sui vasi ormai troppo poco profondi per il loro peso. Il cactus arrivato direttamente dal deserto U.S.A. era finalmente decollato in crescita, dopo due anni di immobilismo perfetto.

Il ficus affidatomi da Pips era nel pieno del rigoglio...

Insomma, tutta la casa aveva continuato a vivere di vita propria. Anzi, ne aveva guadagnato in prosperità.

L'unica cosa che non era cambiata era la montagna di "panni da stirare" che mi aveva atteso paziente, immutabile dentro l'armadio in cui l'avevo lasciata fine maggio. Ecco, lì un auspicabile miracolo di cambiamento non si era avverato. 

Deluso e anche un po' irritato da tutta questa capacità dell'universo di sopravvivere alla mia assenza, dimentico della frase appiccicata sul frigo - Dio esiste e non sei tu, quindi rilassati - avevo creduto che il creato sarebbe imploso se solo avessi cercato di distrarmi dal mio compito di ferreo controllore, oppure avrebbe fatto il passo definitivo verso l'evoluzione attesa, mi ripromettevo di mettermi a sfogare le parole scritte non appena finito di sistemare un po' di quella vita che andava riavviata.

Invece non va così. Mentre il mio dirimpettaio scrittore-conclamato scrittore esercita la sua arte con piccole pause trascorse a fumare in terrazza, io rimango immobile davanti allo schermo, peraltro bellissimo, della mia nuova macchina da scrivere.
Certo che il blocco non viene dalla macchina stessa, ma dalla consapevolezze di quanto il mondo non sia cambiato in mia assenza o grazie alla mia assenza. Un po' quello che scrisse Titina a commento di un post pubblicato esattamente il giorno del "grande furto di Peschiera": "Mi si nota di più se vado o mi si nota di più se non vado?"... Di morettiana memoria.
Torno, quindi, e ritrovo tutte le solitudini e le incongruenze di sempre. Nessuna di queste che abbia avuto la decenza di risolversi autonomamente. E la stasi m'impietrisce.

Ecco perché mi sono buttato nello stirare freneticamente per sperperare le scorte. A mettere in fila libri, CD e DVD rientrati alla base. A pagare tutti i bollettini restati in sospeso, non per evitare di restare senza luce/gas/telefono, quanto per ristabilire l'ordine, riprendere il controllo; avvantaggiarmi di quella sensazione conosciuta che tanto tempo fa ho lasciato per l'ignoto programmato. Ero euforico alla prospettiva dell'ignoto. Ma se l'evoluzione del mondo abbandonato deve non essersi compiuta, allora una bella rassettata agli spazi e la "solita" minestra, son meglio dell'abbandono, della solitudine, e dell'inconcludenza che ho ritrovato non appena messo piede qui e che stavano per travolgermi come il treno dei fratelli Lumière.

"Stop in the name of love!
Before you break my heart baby"


martedì 30 ottobre 2012

COMMUTING



vedereoltre.blogspot.com

No, davvero... Lo so che son vecchio e parecchio rinco, ma è mai possibile che quando cerco di entrare nel presente blog per postare, sempre più raramente purtroppo... Ogni volta che cerco di entrare, dicevo, mi trovo di fronte ad una nuova pagina da AGGIRARE, DRIBLARE, EVITARE ed infine SALVARE, prima di arrivare a quella dove posso riversare i miei pensieri attraverso i tasti?

Una fatica inaudita. Per alcuni inutile.
Mi ricorda quando, tanto tempo fa, incastrato in un sistema operativo odioso, mi svegliavo all'improvviso la notte, con la soluzione ai problemi di uso del computer che non ero riuscito a risolvere durante il giorno.
E tutto questa fatica, quest'intralcio perché dalla direzione generale della piattaforma del blog vogliono il mio numero di cellulare, che manco morto che te lo do.

Tutte le volte la stessa storia: entro nell'account, metto la password, scalo le difficoltà, salvo, passo ad altra pagina, torno all'ultimo post pubblicato e da lì, finalmente, posso cominciare a lavorare su di una pagina bianca dove il trattino verticale che lampeggia significa che finalmente ce l'ho fatta ancora una volta....

Ma non è questo che mi angustia adesso. E soprattutto non è questo che mi fa soccombere sotto nuvole di polvere e roba da selezionare, imbustare e caricare in macchina. Bensì il trasloco verso la natia città, che dopo 5 mesi di lavoro ci sta anche.
Per me non ci sta perché io qui sto come un Papa, ma per chi ha deciso che così doveva andare ci sta eccome!

STOP alle polemiche, PLEASE.

E mi rendo conto che di roba ne ho accumulata un bel po'. Troppa per la Patty. Se si esclude il libro catalogo della mostra di Mc Currey a Genova che è l'unica aggiunta che ho fatto ultimamente, più un paio di braghe da corsa invernali, ma queste son leggere, la roba è quella con la quale son partito da casa a maggio, né più né meno. Solo un po' di carta da archivio in più che andrà smaltendosi mano a mano che passeranno i sei mesi dalla sua stesura, tempo richiesto di conservazione della documentazione del lavoro. Ma giusto per pararsi il culo... OPS! L'ho detto.

Son quindi qui che scartabello e scopro che di roba inutile da conservare ne ho in abbondanza. Ieri ad un primo attacco un paio di etti di cartacce son finite al riciclaggio.
Il dubbio mi assale: ma la quintalata di pezzi di vetro lavorati dal mare che ho raccolto in Sicilia la porto o la riciclo qui? La porto. E il nido di vespe che ho combattuto per mezza estate, vale la pena o lo metto anche lui nella carta? Vale la pena. E l'Hello Kitty luminoso da notte? Lo porto, lo do in beneficienza?
Lo porto.

Quindi inscatolo, metto insieme tutte le cose che abbiano un'utilità o una destinazione comune e poi trasporto tutto nell'ingresso di casa che da qui a domani pomeriggio sarà invaso da scatoloni e valige dei due pellegrini transumanti: un tempo si seguivano le greggi per le valli, ora le opportunità per le autostrade.

Da aggiungere a quanto precedentemente portato qui, anche un'uniforma nuova che per ironia della sorte, riusciamo, io e il socio, a ritirare soltanto oggi a sole trentasei ore dalla fine del contratto. Prendiamolo come un buon auspicio. Come l'augurio che prima o poi servirà di nuovo. Mi consola l'aver perso una taglia rispetto a due anni fa, questo sì.

I saluti son fatti: tutti si dispiacciono della partenza e ne siamo commossi. E pure un po' incazzati, perché negarlo? Il tesserino del parcheggio aeroportuale è stato riconsegnato così da non aver la tentazione di restare ancora in giro da 'ste parti.

Domani si carica e si va via. O dopo domani, dipende dalla voglia e dalla fretta. Decido più tardi. Ora non ho un foglio turni da rispettare.


venerdì 19 ottobre 2012

LO PRENDO?


mylitthings.blogspot.com

Scartabello a destra e a manca tra le buste nascoste dentro l'armadio ma non trovo nulla di decente da portare con me al lavoro. Intendo libri!
Con la furia di razionalizzare il trasloco in Toscana non mi sto comprando niente.
Memore del rientro stile zingaro messo in pratica due anni fa, svuoto il frigo e non compro nulla da dover portare via, morire se cedo alla tentazione!!!
Eppure un librettino piccolo piccolo ci potrebbe stare tra le svariate tonnellate di carta passata tra le mie mani quest'estate e che deve necessariamente riprendere la via del ritorno: non ho mai abbandonato nessuno per strada volontariamente, figurarsi un libro!
Lo prendo tra le mani al supermercato sbavando dalla voglia di farlo mio, lo rigiro, lo sfioro avvertendo sotto i polpastrelli la grana della carta porosa e battuta, la mollezza dell'insieme che risente della forza di gravità, l'aroma d'inchiostro non contaminato dagli odori alimentari che scivolano fino alle casse. Ne apprezzo la costola scura con i caratteri chiari, dalla forma stondata, dove gli angoli non appaio perché già ombreggiati da quella lieve scoloritura che ne fanno un classico fin d'ora. Mi immagino le atmosfere calde e profumate di mediterraneo che ne uscirebbero a leggerlo, i personaggi della sequel che conosco, le loro battute, le loro irregolarità che a leggerle me li fanno sentire un po' parenti. Altro che le saghe del nord Europa che tanto vanno di moda in libreria in questo momento. Qui troverei parte delle mie origini, parte dei miei affetti di adulto...

Ma resisto.
  DEVO RESISTERE! 
La roba da riportare indietro è già parecchia, la povera Patty - la mia macchina - potrebbe vacillare alla sola aggiunta di qualche grammo.

Sapendo che potrei perdere la partita e infilarlo nella busta della spesa, depositarlo sul nastro della cassa e uscire con fare circospetto dal supermercato, manco ci fosse la STASI a controllare i miei acquisti, cerco scuse per giustificare il probabile cedimento di volontà: "Potrei sempre regalarlo a Pipps!", è la più usata. Se lo dico lo faccio sul serio, ma dovrei comunque portarlo a casa io, quindi, a quel punto... Poi: "Potrei prenderlo perché comunque ho tutta la serie e non vedo perché interromperla proprio adesso!". Sì, allora testina di manzo ti dovresti prendere pure quello a fianco che è il precedente nella serie e non hai mai comprato! "Lo so, ma questo mi piace di più, lo sento che è più bello di quello, anche se non ho letto nessuno dei due", mi rispondo senza alcun nesso logico. "Potrei sempre acquistarlo adesso che c'è lo sconto del quindici per cento... Anzi prendo tutti e due quelli che mi mancano, così faccio l'affare, poi li spedisco per posta!", continuo nel delirio da shopaholic. "Così faccio un pacco unico di tutti i libri e aspetto che me li consegnino a casa. La Patty saprà apprezzare il mio pensiero". Solo lei.

Formulando domande e risposte riesco ad uscire indenne dall'acquisto. Complice la polemica scatenata da un signore alla cassa, che mi distrae quel tanto che basta per essere allontanato a sufficienza ed in maniera irreversibile dallo scaffale dei libri, i bastardi li piazzano proprio a due passi dalle casse che basta allungare un braccio pur restando in coda, ed il gioco è fatto, mi ritrovo faccia a faccia con la cassiera che ha già fatto il conto e spara: "8 euro, e 25".

Pago. Merda, se avessi preso il libro avrei fatto venti euro. E mi sarei guadagnato pure due bollini per la raccolta punti degli asciugamani!


giovedì 18 ottobre 2012

PDF


tuttonotebook.it


Doveva essere tutto facile.
Doveva.
Quindi faccio tutto quello che devo: scarico i programmi, li provo, li metto all'opera e trascino tutto il prodotto in una chiavetta. Il fine è semplicemente stampare 6 miseri fogli word "style" da spedire alle autorità competenti che si dovrebbero occupare del mio futuro sostentamento, dopo la fine di questo contratto di lavoro: la tanto declamata, temuta mobilità.
Ci ho messo impegno e voglia di far bene: i potenti, o più semplicemente coloro che hanno potere su di noi,  hanno sempre dalla loro la piaggeria del popolino e ricevono i prodotti migliori, i polli più grassi, le uova più fresche. Quindi faccio un bel lavoro di editing, perché ormai da tempo credo che la forma sia contenuto.

Così dopo aver fatto più volte la visualizzazione dell'anteprima decido che va bene così e che i modelli sono pronti da stampare. Ma... C'è un "ma".


Antefatto: mentre acquistavo il computer il venditore mi assicura che non c'è bisogno di scaricare il costoso pacchetto di "Office di Window" per raggiungere l'obiettivo di usare i fogli di Word e di Exell. Basta tirar giù dalla rete, quella onesta, quella a pagamento, due programmini "Al centodieci per cento compatibili con i sistemi Window": Pages e Numbers. Costano pochissimo e sono leggerissimi.


Ed ecco il "ma".
Peccato che presentatomi chiavetta USB alla mano in una copisteria da cui mi servo abitualmente, non si riesca ad aprire nessuno dei sei miseri, leggerissimi, economici fogli word "style". Quindi niente stampa... Un paio di etti scarsi di bestemmie raggiungono l'aere.

Che il potente di turno non possa essere omaggiato da un foglio bello da vedere? Non sia mai.
Cambio copisteria indignato: "Ma che programmi antichi hanno istallato nei loro computer"?
Stessa risposta dal secondo addetto, della seconda copisteria, del secondo agglomerato alle porte di Milano: "Niente da fare". Anzi, mi dice che secondo lui è meglio che la pianti di cercare la copisteria giusta già da lì, e che la soluzione è trasformare tutto in formato PDF, così che si possa stampare dovunque.
La mia faccia perplessa spinge il tipo a darmi altre informazioni: mi suggerisce di scaricare un qualche programma gratuito per convertire il mio file originario, me ne da il nome ed io lo dimentico già mentre sono sull'uscio.
Prima di dargliela vinta passo da una terza copisteria e poi da una quarta: nessuno di queste ha un misero programma di Mac incorporato in un qualche computer.
Il mondo gira infallibilmente intorno alle Finestre, non alle Mele. Che mi piaccia o no, è così.

Che faccio? Faccio che non mi arrendo. Torno a casa con nessuna voglia di scaricare un altro programma nel bambino nuovo: ho una chiavetta a consumo e ho pochissimi mega byte che avanzano dall'ammontare disponibile mensile. Facile che se scarico quello poi per connettermi alla rete debba rubare la linea ad un vicino. Ora poi che mi hanno dato un programmino che trova le password dei router... la tentazione è forte. Ma non voglio cedere alla tentazione. Ho sempre il terrore che dall'ignaro fornitore di rete parta un fulmine di protezione che distrugga tutte le memorie del mio computer. E poi... Faccio outing: per anni ho usato la rete altrui per navigare, ora che invece mi scarico anche i film, basta.

Quindi apro i files dentro la chiavetta, smanetto, cerco, apro/chiudo menù a tendina che sembro l'impiegato della Parà al lavoro sul balcone della signora bene che deve far sparire alla vista lo sfacciato insediamento popolare. Fino a scoprire che la soluzione stava davanti a me: per cambiare il formato del file non serve scaricare un bel niente adesso. Basta spedire il file stesso per posta elettronica: così posso scegliere tra svariati formati, già tutti dentro il mio Mac!

Ed il problema di compatibilità va a farsi fottere. 'CAUSE EVERYBODY LOVES PDF!

Al giovane che mi garantiva la compatibilità al centodieci per cento tiro un pugno quando lo ri-becco all'Apple Store. Tanto mi ricordo anche come si chiama. Uomo avvisato...






domenica 14 ottobre 2012

NUOVO


alxo.it

Esattamente la stessa notte in cui ho postato "IL SI'", i ladri hanno fatto bene-bene il loro dovere, mortacci loro!!!!!, e si sono impossessati del computer con il quale postavo i miei fiumi di parole su CIGS2008. E non solo di quello. Ri mortacci loro!!!!!
Per alcuni un sollievo? Possibile. Ma non per me.

Basito dall'affronto, ho stentato un po' a prendere confidenza con gli altri supporti che mi avrebbero portato a postare comunque. Magari necessitavo del supporto morale del bianco che sparava dal mio adorato MacBook. Oppure con il furto e l'effrazione si erano portati via anche un po' dello spirito polemico che sta alla base delle mie tirate...?
No, no, no, no. Quello è ancora lì.

Comunque non ce la facevo a scrivere. E anche adesso che lo sto facendo grazie al nuovo bimbo che mi son portato in casa, tutto alluminio e tasti neri, è come se mancasse qualcosa. Che sia solo la confidenza che devo acquisire con i tasti intonsi??? Potrebbe essere. Comunque...: "Piacere, io sono Melinda. E tu?".
---------- ---------- ---------
Resto in attesa di una risposta.

Fatto sta che finalmente ho di nuovo una tastiera davanti a me, forse qualche argomento da sviscerare e, tra un po', anche parecchio tempo da impiegare...

Perché da questa notte il nome del blog non dovrebbe essere più CIGS2008 ma MOBILITA'2008.

Ebbene sì. Ora mi hanno licenziato. Un sentito grazie a chi a suo tempo ha fatto scelte scellerate. E a tutti coloro che le hanno supportate.


giovedì 27 settembre 2012

IL SI'


it.paperblog.com

C'è un'amica che si sposa e contravvenendo al principio che postula: "Mai più un matrimonio etero, fino a che non mi sarà consentito di sposare Tiziano Ferro", ci vado.

L'ho detto ormai decine di volte che non volevo più mettere piede in un municipio, o peggio ancora una chiesa, fino a che non fosse stato riconosciuto il diritto pieno e paritario a tutti i tipi di coppie maggiorenni e consenzienti, di sposarsi.
E invece per l'ennesima volta non ce l'ho fatta dire di no.

Un po' per affetto, un po' perché queste cose mi prendono sempre in contropiede - mi son sempre visto come quello invisibile e immagino, anzi ne ho la certezza, che nessuno mai abbia in mente di invitarmi a nessuna ricorrenza - alla fine non oppongo nessuna resistenza e cedo.

Non è sempre vero. A volte ho declinato e resistito alle insistenze fino alla fine. Però son più le volte che ho ceduto.

E non perché io sia un altruista che goda selvaggiamente nel vedere la felicità stampata nel viso e nelle vite degli altri. No, no! E' che non ce la faccio a dire di no.
Qualcuno potrebbe obiettare che dicendo questo mi schedo ai limiti dell'A.N.S.M. - archivio nazionale statistico delle mignotte - ma anche se vero, non è proprio così...
In me manca quel quid genetico, quella bazzecola pre-configurata che impedisca al soggetto in questione di difendere a spada tratta il principio che di per sé non fa una piega. Ma finisco per andare non per un'assenza, ma soprattutto per la presenza di un contatto con la realtà, che mi fa capire che andare o non andare, non cambierebbe in niente il destino delle mie nozze con Tiziano Ferro.

Quindi vado. Faccio tutto per bene: acquisto il biglietto per gli auguri, scrivo cose assennate e consone allo stile - non è difficile, basta evitare di far riferimento alle mutande della sposa se si partecipa ad una cerimonia dichiaratamente elegante e non scordarsi di nominare anche quelle sporche dello sposo, se la cerimonia sarà più casereccia, condire il tutto con bella calligrafia e finire con gli auguri di eterna felicità -, mi informo per il regalo che è sempre una tragedia, mi rado e lavo a dovere e m'imbusto in un abito che ormai non metto più, se non per queste occasioni.

Stamani ho finalmente deciso di provare il vestito portato appositamente su dalla Toscana ed ho scoperto con soddisfazione che le corse alle quali obbligo le mie gambe, mi hanno consentito di rientrare in un abito di qualche anno fa a cui a suo tempo avevo fatto saltare i bottoni del pantalone... Avevo paura di aver fatto casino, di aver, cioè, preso la prima cosa appesa nella cabina armadio, senza rendermi conto che gli anni passano per tutti, girovita compresi.

Ecco, adesso son pronto. Buon pomeriggio e buona festa agli sposi.


venerdì 21 settembre 2012

SE (CONDIZIONALE)


linkfacebook.it

Tutto è soggetto a condizione. "Tutto, tutto, tutto", diceva Filippo Timi in versione di Mrs. Fairytale.
Proprio tutto, anche l'aria, che d'estate in macchina, in ufficio è "condizionata" a nostro piacimento/godimento.
Il latte è condizionato in ambiente sterile. La marmellata sarà condizionata nella cucina della nonna o solo rimestata?
Mettiamo condizioni su tutto. Alcune sensate, altre di sola autodifesa, talune perfide e meschine.
Se paghi ti do la merce che richiedi; se mi servi con garbo ti lascio la mancia; se mi abbracci mi sento meglio; se la vicina non la pianta di passare l'aspirapolvere alle 23, mi trasformo in Olindo e Rosa Bazzi...

Oppure: se sto bene ti vengo a trovare, se trovo il tempo ci prendiamo un caffè...
E via col tango ballato ed il valzer danzato.
Tanto che ormai, quando pongo condizioni è come se la condizione base che consentirà all'avvenimento ipotizzato di avvenire, fosse già di per sé impossibile da realizzarsi. Trasformando il possibile in improbabile, lo sperato in disatteso. E il modo condizionale in un mezzo per esprimere una decisa negazione, che dovrei essere capace di opporre direttamente e invece non lo sono. 

Contorto. Ma reale. 

Perché in fondo porre condizioni mi piace, mi garantisce. Mi fa sentire più sicuro. E se ometto quella lieve vena di stronzaggine che funziona alla perfezione quando dico il meraviglioso "se", porre condizioni può diventare anche una bella via di fuga. L'emergency exit da qualunque relazione, sia essa di amicizia, sentimento o convenienza. 


Ed eccone quindi un elenco: la condizione "sine qua non". La condizione secondo la quale. La condizione posta perché... Tutto torna lì: alle condizioni per cui ci è consentito qualcos'altro. Persino amare, dunque. Non lo facevano già le nostre mamme cercando di educarci da adulti civili? "Se non fai il bravo mamma si dispiace".

Allora è abbastanza naturale che non sia più: "ti amo comunque, quantunque, sebbene"; ma "ti amo se". E questo è l'amore che circola adesso, poche storie! E meno sommi ideali. Può sembrare squallido? Perché?! E' naturale che per amare ci debbano essere delle condizioni favorevoli, dei parametri soddisfatti. Solo un figlio o un Dio si possono amare comunque, gli altri no. Perché non si può amare chi ci ferisce. Si può credere di farlo, ma che sia vero amore, poi è un altro discorso.

Così, in questo mondo di alti ideali solo dicharati, dove "tutti-tutti-tutti "siam pronti a fare la morale la parola magica "se" ci toglierà da ogni impiccio. 

domenica 16 settembre 2012

IN ATTESA


forsesitaly.org

Mi scoraggio un po' con la fine dei grandi caldi estivi. Resto come sospeso, immobile.
Non che non ne sia contento, ma con la fine dell'opposizione portata e quest'estate, è come se buona parte dell'energia impiegata a "resistere-resistere-resistere", facesse parte del compendio totale dell'energia dataci da spendere nell'arco dell'intera vita.
E allora mi sento un po' "moscio". Desolato.
Quasi affossato. E non allegro alla follia.
Ma soprattutto bisognoso di ricarica, manco fossi un cellulare senza abbonamento.
Un abbraccio basterebbe. Forse. Si mormora in giro che potrebbe essere solo una questione di potassio. Mangeremo qualche banana in più, qualche chicco di uva passa i più, dice il mio chiropratico di fiducia. Sperando che le vallate dell'umore funzionino come le masse muscolari...

In questo clima di luce luminosa e aria frizzante, il Nord è il Nord cari miei, anche sul declinare dell'estate, assisto impassibile a passaggi di pensieri e di umori.
Lo faccio in compagnia di bella gente, magari a passeggiare per una Milano che ancora non si è decisa a riprendere i ritmi forsennati di tutti i giorni della settimana, e lascia lacune di occupazione del suolo pubblico, tra isolati gruppi di squinternati alla ricerca di un sabato sera alcolico.
Passeggio, discorro, capisco o ci provo.

Ma anche di brutta gente, che non avendo argomenti da ribattere, pensa che l'unica soluzione ad un battibecco sia quella di mollare una pernacchia all'oppositore. Sì lo ammetto, sono stato spernacchiato a bordo. Sono riuscito ad esserlo dopo 17 anni, per il solito motivo di sempre: c'è chi cerca di viaggiare nella classe superiore che non ha pagato. Bravo, bel record signor steward. E poi le risate coi colleghi

Scopro che si vedono meno tatuaggi in giro e questo è auspicabile: i corpi ricoperti riacquistano un fascino ed una sensualità superiore. Il vecchio gioco del mistero più desiderabile del conosciuto.
Scopro che non è così semplice ricaricare la chiavetta internet del computer: tentativi a vuoto con una ricaricard, alla fine mi sono arreso e ci ho ricaricato il telefonino...
Scopro che nel profondo un figlio mi manca. Anche se confidandolo ad un amico mi si dice: "Si mettono al mondo i figli per coprire il vuoto di un'inutile vita"... AHHHHHHHH!!!!!
Riproverò con altri ad esporre il nuovo sentimento. Magari la secchiata di cacca sarà più leggera e meglio distribuita.
Scopro - fancù - che qui nei dintorni hanno riparto la caccia: stamani sono stato accolto nel mondo della coscienza con una tripletta di spari a distanza ravvicinata: devono aver mirato ad un rinoceronte vista la potenza di fuoco. Perché se era un passerotto cucineranno solo pallini di piombo, 'tacci loro!
Farò attenzione quando andrò a correre, visto che lo faccio in aperta campagna: non vorrei ritrovarmi con le chiappe piombate... E senza figli, per giunta.



lunedì 10 settembre 2012

D.E.A. 2


logolaia.com

"Del resto lui non mi aveva promesso l'eternità. Ma l'accanimento terapeutico sul sentimento. E come un sacerdote cattolico celebrava il rito della sopravvivenza di quell'amore, miscelando sapientemente mancanze e surplus in ogni funzione della giornata. Fosse con me o senza di me.
Pensai io ad ucciderlo"

Viky Vonzillo "Dell'Eterno Amore"

mercoledì 5 settembre 2012

DELL'ETERNO AMORE

logolalia.com

"Svegliarsi dal sogno e guardare la propria faccia riflessa sulle mattonelle del bagno che articola, afona: "Non è questo il posto dove voglio essere". Non questa casa. Non questo letto. Non questa persona affianco. 
E ripeterselo lucida, come un mantra, fino a farsi male dentro. Istallarlo dentro mentre il sorriso si spegne sulle labbra che due minuti prima hanno definito perfette e adesso non si voglio più baciare. Fino a scavare e tirare fuori tanta immondizia da far paura alla Napoli dei tempi d'oro. Lavorare di cesello, con un'abilità che definiscono propria del mio segno zodiacale, a scavare e farsi male. A separare il bene dal male. A scegliere tra il giusto e lo sbagliato e non trovare mai la forza di mettere in pratica le decisioni prese. A farle diventare realtà.
E aspettare che il mondo prenda a girare nel verso giusto. Sperare che finalmente chi di dovere si volti e si prenda cura di me. S'impegni con me. Progetti e costruisca una casa con me. Per me.
Oltre le mie labbra perfette.
Un posto dove io che non so stare da nessuna parte, possa non alzarmi da un letto disfatto e non dire alla mia faccia riflessa: "Non è questo il posto dove voglio essere"."

Viky Vonzillo - "Dell'eterno amore"


mercoledì 29 agosto 2012

COPRIAMOCI


hotolsturkyge.com

Qualcuno rinfocola la mia passione per la polemica inviandomi tutti nomi dei fenomeni di calore estremo, anticicloni africani li chiamavano, che si sono susseguiti quest'estate, istigandomi al post. E nell'elenco dei nomi, manca solo il nome dei sette nani, tutti e sette, che la tradizione vuole impossibili da ricordare tutti in fila e tutti insieme.

Ma a questo penserò: ci va di fare qualche ricerca per riuscire a capire che cavolo avevano a che fare i sunnominati personaggi con l'Africa e l'afa. Perché non oso pensare che non avessero nulla a che fare con tutto questo. Perché se così non fosse... Vabbè, allora date al caldo il nome... Che so, dei calciatori, ma solo dei più fessi e più pagati, dei Ministri incapaci e delle nipoti incinte dei leaders mediorientali ora caduti in disgrazia: hanno fatto più danni loro della siccità di quest'estate. Perché l'anticiclone "Ruby brucia-cuori", non suona abbastanza bene?!

Che ora si sta un po' meglio è indubbio, ma ancora il capitolo caldo non sembra concluso... E con la probabile fine della siccità si avvicina la ripresa del campionato, con tutto quello che riporterà in auge. Tutto quello per cui non provo attrattiva alcuna, ma che sento continuamente trasmesso in casa via TV: il mio coinquilino non riesce a seguire nessun programma in maniera continuativa - la scusa è sempre che "non c'è un cazzo da vedere" - ma i programmi di logorrea calcistica, li segue con attenzione. In questo momento svariati esseri parlanti stanno disquisendo di calcio-mercato, su tre trasmissioni distinte di tre canali TV diversi. Machemenefotteammé?

Ma sono qui per altro, non per parlare di calcio e Scipioni Africani.
Vorrei aggiungere solo un altro motivo, forse il definitivo, per cui vorrei che tornasse il fresco: la gente comincerebbe FINALMENTE  a ricoprirsi.
Ne ho abbastanza di panze, panzette, lardi e culi esposti. Soprattutto di quelli brutti-brutti-brutti che dovrebbero essere coperti per la dignità del portatore insano. Quei culo grossi e pelosi che debordano dalle mutande a vita bassa di uomini inchinati ritornano su nei miei pensieri, come rutti da peperonata.

Ma ne ho abbastanza anche di fisici scolpiti ed esibiti, ignudi o fasciati da magliette tre taglie sotto.. Fisici che paiono fotoshoppati tanto sono perfetti. Portati in giro da altri figuri che sono l'esposizione vivente della propria opera d'arte, che viaggiano impettiti e rigidi come moci Vileda sennò l'addominale può dar adito a qualche dubbio, il bicipite non si nota, lo stinco troppo magro finisce per richiamare l'occhio.

Ma basta soprattutto alla sagra del tattoo. Basta basta basta, please. Oggi, mentre facevo al fila ad un bar tabacchi per rimediare dei francobolli, c'era un tipo insignificante e mal vestito che aveva sollevato una sola zampa del pantalone lungo per far vedere il polpaccio dipinto e si era rasato completamente il cranio per far vedere i disegni tra la forfora...

Basta bimbi. Basta, non siamo un popolo di marinai! Non siamo tutti pirati e carcerati. Lo so che pure quella è una forma d'arte, una scelta. Ma poi? Nell'intimità ormonale, che gusto ci sarà a leccare frasi del tenore "Amo solo la mia mammina" o "Cetty forever", se tu non sei Cetty e ti sta sul culo la suocera?

E poi: io non so mica come comportarmi di fronte a queste mostre deambulanti di segni neri o colorati. Quelli che espongono tutti 'sto po' po' d'inchiostro, saranno contenti se ti metti a fissare la mappa della loro imbecillità o la ritengono cosa personale e intima da non guardare con insistenza?

Va bene, va bene, sono un tradizionalista. Io non amo i tattoos. O meglio, io non amo l'esagerazione.
Ma... Ognuno è libero di fare quel che vuole; solo che abitando io in una zona dove tutti, ma proprio TUTTI, anche le vecchie con le pelli cadenti, hanno almeno un tatuaggio, la sensazione di essere circondato, di vivere in una colonia penale è palpabile.
E poi, fatemelo dire, qualcuno di questi tatuaggi è proprio brutto.

Allora, per mettere tutti d'accordo basta che calino le temperature. Così loro metteranno a dormire i loro segni, io coprirò la mia testa che non è detto che sia vista da loro di buon occhio. Così saremo pari e patta.

Viva l'inverno quindi, e le sue coltri!



venerdì 24 agosto 2012

CALORE

comefare.com

Come ha scritto un'elegante amica mia sul profilo Facebook, non appena arriva il fresco, "il primo che si lamenta gli spacco il culo".
Si è espressa con genuinità, ecco, ma l'angoscia di dover vivere tappati in casa in attesa che l'ondata, l'ennesima con un nome coglione, passasse, non la sopporto un minuto di più. Quindi mi sono offerto per tener fermo costui...

Devo dormire con le finestre spalancate e abito un primo piano. E' vero che vista l'età non mi rapisce nessuno, peccato!, ma una scarica di legnate per portar via il niente che sta in questa casa - un paio di laptop anteguerra, una pentola a pressione, un'asse da stiro con le istruzioni di apertura... -  le rischio ogni minuto mentre dormo.
Poi la mattina mi sveglia la prima luce dell'alba. Mi alzo, abbasso la serranda, c'è il buio ma ricomincia il caldo. Allora mi alzo e vado a correre smadonnando. Non dietro ai pompieri parigini stavolta, ma lontano dalle mie grassitudini. Sarò in forma all'arrivo dell'autunno, ma mi sarò scavato il baratro verso l'inferno. Ammesso che ci sia un inferno peggiore di quello di questa terra.
E non ditemi di dormire con la mascherina che pure quella fa caldo!

Anni di amore dichiarato per la bella stagione sono periti con l'arrivo del mezzo secolo: è proprio vero che gli anziani stanno bene in collina.
Meno male che almeno ci sono gli alberghi del lavoro dove c'è l'aria condizionata a crepapelle. Guarda, non mi lamento neppure più di quella: mi ci schianto sotto e aspetto la morte per assideramento. Morto senza sentire più il caldo, liberato!

Albergo che arriva dopo aver trascorso la giornata a passare da un aereo all'altro percorrendo piste dal chiarore baluginante, sudando come una trota appena messo piede sull'aereo che è stato parcheggiato al sole, chiuso/serrato che non passava un filo d'aria, manco a morire. E tu lì con la cravatta e pretenderebbero anche la giacca... Sè...
Ah ma poi se l'aria condizionata funziona, l'interno si rinfresca. Notare che ho aggiunto un "se", perché non è automatico. Ma "se" funziona, dicevo, l'interno si rinfresca. L'interno sì. La porta aperta dove sto fisso io ad accogliere i passeggeri no.
Così ri-sudo, doppia trota, poi partiamo e mi prende un colpo quando in due minuti la temperatura scende a ventiquattro gradi.

Insomma, oltre alla collina, la mezza montagna o come vi pare, l'avanzamento dell'età impone anche la mezza stagione. Che per detto popolare non esiste più. Allora meglio l'inverno. Farò gli imbarchi con eleganti Moon-booths, ma sarò vivo, non VISCIDO.

Ultima considerazione: chi è che ha tolto l'apostrofo tra "qual" ed "è".
Mi son svegliato una mattina e qual è era diventato un duo singolo e separato. Per anni ci ho messo l'apostrofo e non capivo perchè il correttore automatico s'intestardisse a sottolineare in rosso... Pensavo:  "'sta roba della Windows è sempre un po' fallata".
Invece il fallato ero io.
Un po' come con... cos'era? Ah, ecco, rammarico invece che rammanico... Se ne scopre sempre una.

Evviva l'estate!

lunedì 13 agosto 2012

DOVE E PERCHÉ

Il problema non è mai stato "dove", è sempre stato "perché".

Ieri sera a cena il "dove" ristabilire la propria vita, farla riemergere dal caos attuale, dall'incertezza, il disgusto e la disfatta, ha preso le redini della conversazione per portarla in un binario di luoghi del cuore, della brama, che potevano essere, tutti, condivisibili.

Eppure nel vaneggiamento della fuga da qui per ritrovar se stessi, alla fine a me il "dove" è sembrato importante, certo, ma fino ad un certo punto.

Perché. Come non condividere la voglia di infilarsi in un dammuso e non farsi trovare dal resto del mondo? Come non sognare i tetti tondeggianti di ardesia di Parigi? La pragmaticità e la follia di Berlino? Il provincialismo di Budapest o la vera solitudine delle praterie nord americane?

Eppure. Anche laggiù lontano, a "Farawaydown", Baz Luhrmann insegna, davanti allo specchio troverei sempre la mia faccia. E dietro la mia faccia la mia testa e i miei pensieri.
Io i miei pensieri "balordi" me li son portati fin qui a Torino. Ci ho portato i miei ricordi. La mia faccia con attaccata la mia testa.
E pur se da un'altra prospettiva, mi hanno fatto male/bene come sempre. Mi hanno fatto trattenere il respiro come fitte di dolore di giorno e tenuto sveglio, di notte. Dal loro spazio limitato dalla novità dei posti, hanno fatto tutti quanti, dal primo all'ultimo, bene-bene il loro dovere.

Allora non mi resta che domandarmi "perché".
E lavorare su quello piuttosto. Magari programmandomi le ferie x dovunque, il più lontano e nel posto più recondito e spopolato possibile. Per limitare li spazio di questa nausea.




Inviato da iPhone di Melinda

martedì 7 agosto 2012

L'ONDA VERDE




arredissima.com



Chi ha la s-fortuna di frequentare gli alberghi di un certo livello in questo periodo estivo, avrà notato come la schizofrenia stia imperversando nella mentre dei manager o negli interiors designers di questi luoghi dell'accoglienza. 

Tutti presi dal voler dimostrare di possedere quell'anima verde che tanto sembra gradita agli ospiti del terzo millennio, chi di dovere, organizza imprese macchinose, poster di benvenuto e azzardi pubblicitari degni di chi di risparmio energetico non ha capito una mazza. O almeno ha capito solo metà mazza. 

Per esempio: entrato in camera per avere le luci accese devi inserire subito la chiave della porta nell'apposita fessura che si rivela l'interruttore generale della camera. Questo è per risparmiare l'elettricità sprecata da chi esce senza spegnere le lampadine, lasciandole ad illuminare il niente per ore. E questo è buono. Ma... Tu infili la chiave e tutte, dico tutte le luce si accendono sanza pietà, così che tu possa passare i primi cinque minuti di soggiorno a spegnerle. Tutte, una dopo l'altra.
In più, se distrattamente non inserisci la chiave nell'apposita fessura, la luminaria a tempo si spegnerà sempre e soltanto mentre tu passerai con lo stinco nei pressi della prima sedia disponibile, sfracellandocelo. 

E se prenderai la camera quando è ancora giorno non riuscirai MAI a trovare tutte le luci accese. Così sarà solo a sera che troverai di aver passato la tua giornata con le abat-jours accese... Tutte e due.

Poi entri in bagno e qui tutta una serie di decalcomanie sullo specchio e cartoncini sul lavabo ti ricordano la preziosità dell'acqua.
Davvero non ne sapevo nulla...
Peccato che lo sciacquone perda in continuazione e le cannelle sparino l'acqua a pressione sub atomica. Così che risulti impossibile non spargerne un po', non richiesta, sul pavimento ad ogni lavata di mani. O che tu possa rischiare l'evirazione ad ogni uso del bidet. 

Gli stessi cartelli dai disegni infantili ti mettono a conoscenza di un complicato metodo per non far portar via dalla cameriera l'asciugamano o l'accappatoio che hai usato solo una volta così da non inquinare troppo con detersivi ed ammorbidenti: ogni hotel ha il suo metodo così che ogni volta devi studiare la nuova lezioncina. Ma che lo faccio a fare? Tanto domani parto comunque e voglio sperare che i teli li cambino tutti ad ogni cambio di occupante. 

Poi la chicca delle chicche. Il nonsense dei nonsenses. La madre di tutte le imbecillità.
Bisogna risparmiare, bisogna essere coscienti degli sprechi elettrici, bisogna essere coscienti dell'impatto che abbiamo sull'ecosistema con i detersivi, ma soprattutto bisogna mettere un bel piumino sopra il letto... Meglio di quelli doppi, sopra e sotto, molto adatti alle baite del Trentino in pieno inverno.
Così che non si muoia di freddo con l'aria condizionata sparata al massimo e in molti casi non regolabile, ma sempre e immancabilmente puntata sopra la testa di chi dorme. La mattina ti svegli con un'erezione alla tonsille che manco un impacco col Viagra, la festa danzante delle adenoidi, la riunione degli ex alunni delle medie col cerchio alla testa. Ma soprattutto dolori in tutto il corpo per aver dormito rannicchiato come una volpe sotto gli strati di sintetico.

Ora se è vero che l'aria condizionata è irrinunciabile in ogni albergo degno di voler puntare ad un qualche numero di stelle, come negarla ai vacanzieri o al manager che deve riposare tra una riunione e l'altra, forse una piccola manciata di gradi in più non farebbe male. Tutti, d'estate, sognamo di dormire al fresco di una radura ombreggiata, mica infilarti col culo nel ghiacciai della Groenlandia!

Ho una proposta: togliete i piumini e sostituiteli con fresche lenzuola di cotone egiziano. Qualche grado in più dal soffione dell'aria e la possibilità di spegnerla, non farla strisciare sopra la nostra testa se non la vogliamo. Anche questo è ecologico. Basta spiegarlo agli ospiti. Come sono certo che gli stessi ospiti sarebbero contenti si sapere che la loro acqua calda è in gran parte riscaldata dal sole. Che la corrente che consumano viene da impianti eolici o fotovoltaici piantati nei parcheggi - Autogril docet. Che i detersivi usati per lavare le cose sono a basso impatto, che si segue un rigido metodo di separazione dei rifiuti - come del resto si fa quasi dovunque a casa propria - che il riscaldamento viene da impianti geotermici, che le lampade in camera non sono più ad incandescenza, che l'acqua usata per spedire nelle fogne le cacche e le pisce è piovana e non presa dall'impianto dell'acqua potabile.
Lo so che la strada comincia con le piccole cose, con la responsabilizzazione del fruitore finale e che tutte queste cose costano e che ci vuole tempo. Lo so.
Ma bisogna cominciare ad andare oltre i semplici cartelli e le semplici pubblicità.
Bisogna agire. Ed agendo dimostrare di avere davvero un'anima verde.

E di non voler uccidere per congelamento i graditi ospiti.


sabato 4 agosto 2012

IL MURO DI GOMMA



ilpapiroweb.it


Interrompo la visione della parte finale de: "I Ponti Di Madison County", perché nella parte finale io piango, il mio coinquilino si è svegliato dalla maschia pennichella - che noia che barba che barba che noia! - ciabatta per casa come è legittimo che faccia, ed io voglio lacrimare in privato. Posso condividere questa mia abitudine ad aspergere fazzoletti in rete, ma in privato chi mi vede piangere è davvero INTIMO! 


Del resto le lacrime sono affare privato. O almeno lo erano fino all'avvento della scatola televisiva che ce ne ha fatto partecipare a fiumi, vere o di fictions, più vere quelle delle fictions a volte, di quelle proposte per vere.


Mi ritiro in camera mia e posto su un argomento a cui ho pensato più volte in questi giorni. Con il quale mi sono scontrato spesso in questi giorni. 
E lasciatemi un po' al mio delirio!... 
Cioè: la capacità della gente di opporre una barriera sconsiderata non solo alla presenza fisica dell'altro, ma a voler intendere le sue idee, le sue azioni e le sue intenzioni.


Certo è che se mi viene quest'idea in testa devo essere stato io per primo ad aver messo in atto questo strumento di opposizione: 
come tutte le cose che riconosciamo negli altri, questa deve far parte prima di noi.


Devono, più o meno, essersi sentiti così i magistrati che indagavano sulle stragi di Stato, i Magistrati che indagavano nello specifico della strage di Ustica. Tanto che alla fine ci hanno fatto pure un film con lo stesso titolo: il muro di gomma.

Il muro è quel muro che senti che è stato eretto contro di te, a difesa di qualcosa che non si vuole discutere, e che non si deve arrivare ad interpretare nella sua verità.
Non è un muro di Velcro, neppure un muro di carta moschicida o di gelatina: a questi in qualche modo troveresti un appiglio. E' qualcosa di inattaccabile, imprendibile che ti respinge e ti guarda dall'alto della sua inviolabilità, certo che nessun attacco potrà mai essere vincente contro di lui. Ci vai contro e BOING! Schizzato indietro!

Per alcuni costruire il muro di gomma è una difesa naturale: non si hanno argomenti oppure non si vuole argomentare il proprio ragionamento, quindi si rimbalzano le domande. Si sorride e non si fa nulla. Si prendono impegni che non si rispettano. Non si risponde alle domande fatte con la sincerità che certe domande richiedono. Si fa in modo che il tempo passi e compia il suo dovere. Oppure si fa in modo che sia lo sfinimento a lavorare per la propria causa. Perché il procrastinare è altrettanto efficace di un'azione. E' essa stessa un'azione.

E pensare che pure la costruzione dell' "inattaccabile difesa" deve richiedere energie. Energie e insensibilità. Insensibilità e mancanza di senso di responsabilità verso il prossimo. Mancanza di responsabilità e superbo egoismo.
Un cumulo di energie pari a quelle del nocciolo di un reattore nucleare. La capacità energetica di smuovere il mondo verso una destinazione migliore.

Già: ma se le mete sono diverse, che parlo a fare? Se la destinazione comune non è condivisa? Se l'energia impiegata non è centripeta ma centrifuga? Ognuno mira verso il proprio obiettivo e lo persegue come può... Con le energie e le tecniche che ha disposizione. Anche col muro di gomma.

Ma allora, se è vero che anche il mantenere il muro è faticoso - ma non lo credo veramente mentre lo scrivo, perché per far rimanere su il muro bisogna soprattutto omettere, e "non fare" non può essere altrettanto faticoso del "fare", anche del far male - se è vero che è faticoso, perché non si sceglie il confronto diretto? Non è più facile e liberatorio e veloce dire: "Vaffanculo, non la penso come te! Lasciami in pace"?.

L'unica cosa che accomuna questi due tipi di lotta sono le macerie che si trovano in fondo a quel percorso. Sono le stesse dolorose, inevitabili macerie, che a nessuno fanno bene, a tutti provocano dolore.

La domanda che sorge spontanea è: "Ne valeva la pena?". 

No.