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martedì 15 febbraio 2011

A LAVORI QUASI FINITI


infiorescenze di Saskatoon Berry, luglio 2009


Bene, adesso anche la zia bizzarra avrebbe un clima più sopportabile nella parte di soffitta che le era stata concessa come camera da letto. Lana di vetro stesa, primi pannelli di poliuretano posizionati, grazie all'aiuto dell'esperto.
Davanti a terze persone ha affermato che ho fatto un bel lavoro. E che quindi posso procedere e farmi anche gli altri che avevo immaginato realizzati da lui...
GGRRRRRRRRRRRRRRR!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Durante il lavoro pensavo alla zia. Nel ripensare alla zia, mi sono tornate alla menta alcune parole di mia madre che si riferivano a lei e al suo allontanamento dalla famiglia in direzione della casa di riposo. In un paio di occasioni mi disse che dopo la nascita della mia sorella maggiore, non era più il caso che vivesse qui.
Troppo squilibrata per vivere a contatto con la creatura? Ansie di primipara ansiosa? Paura di contagio dello squilibrio emozionale?
Il bello è che mentre me lo diceva, ho quasi la sensazione che lei fosse certa che io capissi il sottinteso, la vera verità non espressa.
Ed io, un po' per pigrizia, un po' perché non mi piace passare da scemo o poco brillante, facevo finta di aver capito tutto e annuivo tutto compito e comprensivo...
Quindi la verità è restata nascosta ai posteri.

Non servirà a molto, ma non sarebbe male dedicare quella stanzetta, una volta terminata, alla mitica zia T., la bislacca.
Con tanto di cerimonia di inaugurazione, salatini e bevute tra chi se la ricorda, una specie di "memorial" molto postumo con applicazione della foto della zia, che dovrei nel frattempo ritrovare.
Si potrebbe anche fondare un comitato a suo nome che si occupi di qualcosa di importante, come l'evasione delle suore di clausura dai conventi - anche se non sono certo che questa sia la cosa migliore per il loro stesso equilibrio -, oppure un gruppo di supporto destinato a donne innamorate di uomini sposati.
Ma forse basterebbe un'adozione a distanza a suo nome.
Ne riparliamo quando tutto sarà bello e finito.

Nel frattempo vi comunico, ammesso che ne siate interessati, che la bilancia da cucina, quella che poteva interpretare il film "Io sono il numero 4", inserendosi come il protagonista numero tre della strage di elettrodomestici che si è compiuta in casa mia, ha ripreso a funzionare giusto il tempo di farmi preparare una crostata, e poi è nuovamente ricaduta nell'oblio narcotico.
La crostata era stupenda, ma quello ça va sans dire... Fatta con l'ultimo barattolo di marmellata di Saskatoon berry, acquista nel mitico luglio 2009 e col burro bio, che garantisco ha una sapore diverso, meraviglioso anche se si tratta solo di quello di produzione industriale. Praticamente finita in una sera...
Ma torniamo alla bilancia:
novello dottor Frankenstein l'ho aperta e ho riposizionato con colla super i pezzetti che si erano frantumati, gridando alla vittoria ottenuta sulla morte elettrica. Ma la mattina dopo la colla deve aver ceduto di nuovo e la piccola pesatrice bianca ha ripreso il suo aspetto spento e inutile. Una rabbia!
Oggi provo a portarla in riparazione, ma anche se non potessero farci nulla, bene, io me la riprendo e la uso lo stesso, a costo di incollarci due pezzetti di legno ricavati da una matita dell'Ikea al posto di quelle micro-dita di plastica che si sono rotte, o di praticarvi un foro che mi consenta di raggiungere il contatto direttamente con il mio ditone. Perché non è che non funziona, è che per una serie di rotture non si riesce ad accenderla.

Come vedete qui a fianco sto leggendo Pavese. Il mio primo romanzo.
Vado avanti raccogliendo opinioni discordanti, ma più spesso di altre sento definire la sua poetica "una gran palla".
1qq e Igno hanno già espresso la loro opinione. La mia amica prof che ha confermato il mio dubbio riguardo ai tempi verbali sbagliati in una frase incontrata durante la lettura, ha detto pure lei la sua.
Io non so che dire. Mi piace? Non mi piace? Non lo so. Ho fatto un po' di fatica a leggere questo brevissimo romanzo, ma sono incuriosito dalle tematica della resistenza, del passaggio della guerra nel nostro territorio. Da quella parte storica del romanzo che certamente esiste e che è stata corroborata dalle note a lapis che il lettore precedente del libro, ha lasciato a margine.
Sì, sì, anche questo è roba usata e mi sa che ne vorrò sempre di più di romanzi di seconda mano. Hanno quel qualcosa in più, quel passaggio di grandi emozioni che solo l'usato, in questo caso sa dare.
Vedremo di procurarci altri tomi.


martedì 8 febbraio 2011

LANE & PANNELLI


continua la pubblicazione delle scritte bizzarre



Tra le varie opzioni lavorative che mi si aprono come fiorellini sul prato a primavera, se non potessi tornare a volare, da adesso posso aggiungere:
1- spazzacamino;
2- traslocatore;
3- coibetatore;
4- (ma soprattutto) uomo di fatica tanto elegante.

Non ho finito con le soffitte, me ne manca una, quella che si trova esattamente sopra la mia camera da letto: una cella frigorifera naturale che riflette tutto il suo gele nella stanza di sotto. La cosa bizzarra è che, per un po' di anni, la soffitta fu fatta abitare ad una zia altrettanto bizzarra, che poi, troppo strana anche per la mia famiglia, fu sistemata in casa di riposo e lì rimase fino alla morte; e che non so come, poveraccia, non tirò il calzino il primo inverno in soffitta, dove tra l'altro dormiva anche nel mitico inverno del '56, in cui, con la forza dell'autorità, tutti i neonati che non disponevano di riscaldamento in casa, furono trasferiti negli ospedali.
Senza riscaldamento la vecchia zia sopravvisse alla neve, all'inverno, ma poco dopo venne sfollata in un luogo più asettico e meno familiare.
Sulla vecchia circolano notizie non comprovate di amori giovanili intollerabili alla famiglia, mentre si hanno invece notizie certe di un suo internamento in un convento di clausura da cui fu fatta uscire in fretta e furia per poca stabilità mentale.
Azzardo un ipotesi: se non ci andò di sua sponte tra quelle mura murate, non potrebbe essere quest'instabilità una conseguenza di tale forzatura?
Vorrei saperne di più, ma nessun presente ne sa molto; chi allora sapeva non parlava, adesso chi sapeva non c'è più.

Insomma, torniamo alla lana di vetro ed ai pannelli di poliuretano: mi è rimasta una sola stanza da mettere a punto. Dopo di che si dovranno aspettare altri soldini da investire in finestre per le innumerevoli bocche di areazione che si aprono nel sottotetto. Ma per quelle dovrò aspettare.
La lana di vetro non è così fetente come la dipingono, sono peggio le capocciate che continuo a battere senza soluzione di continuità sugli spioventi del tetto. E sì che son lì dentro da più di una settimana.
Mentre sbattevo con martelli e cacciaviti nel sottotetto, sono tornate alla luce mobili e oggetti dimenticati.
Lavoravo tra la fascinazione di cose che riemergevano da polvere e oblio, cose che magari erano state messe lì proprio da me.
Non mi sono dato all'apertura di sportelli, ma il contatto fisico obbligato con un sacco di oggetti - ci strisciavo sopra, a fianco, in mezzo, sotto - li ha resi nuovamente reali.
E la sera la cosa strepitosa era raccontare con meraviglia a Pips, lontanissimo in chilometri, cosa avevo scoperto essere nel tal posto, e sentirmi dire con la precisione di un geologo: "Certo che stava lì. Perché non lo sapevi? Ma se ce lo avevi messo tu".
Beffa! Io qui sotto, proprietario, non ricordo nulla. Lui in Sicilia, sfollato, ha memoria fotografica e millimetrica di quanto c'è.
Mi aveva addirittura avvisato al telefono di una finestrella aperta... Era vero.
Ma come faceva?

Quando sarà finita la parte faticosa, arriverà quella ludica. Cioè lo svuotamento delle stanze dalle cose inutili. Ci sono secoli di reperti buttati lì solo per paura che un giorno possano nuovamente servire. Solo che poi quando servono davvero e non ci ricordiamo che ci sono già. E li ricompriamo. In un assurda giostra di svuotamento ed accumulo.
Operazione nella quale sono maestro.
Fortuna che senza sensi di colpa riesco a buttare via di tutto. E anche stavolta ho visto cosette che fanno al caso mio... Ho cominciato con il mio casco da cavallerizzo, inutilizzato da decenni. Violà, sparito nel primo pomeriggio quando mi sono preso una pausa per andare a fare la spesa.
Lo acquistai insieme ad un tot di lezioni di equitazione in un momento in cui volevo che la mia vita reale assomigliasse quanto più possibile a quella fantastica di "Maurice" Foster/Ivory.
Poi capì che il cavallo era decisamente più impegnativo che romantico, e che la Toscana dove vivo era ben lontana dalla piatta brughiera inglese. Come feci? Cadendo dalla bestia un paio di volte di troppo.

Col casco sono spariti già un impianto stereo che non funzionava (epoca 1993), una valigia presa con i punti Esso e MAI usata (per capire quanto fosse pratica), un numero svariato di quadretti a giorno non più utilizzabili, mentre altri sono stati messi da parte per essere regalati al prossimo mercatino di beneficenza.

Insomma, dalla coibentazione allo scavo.
Che lavoro!

Ps: delle foto nessuna traccia...