venerdì 15 gennaio 2016

CORI RUSSI




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🎶 "Non sopporto i cori russi,
la musica finto rock,
la new wave italiana,
Il free jazz, punk inglese...", cantava e canta ancora il poeta. 

Invece ieri sera sono andato a vedere il Coro e Complesso di Ballo dell'Armata Russa, "Armata" che con un semplice cambio di vocale è uscita dall'era comunista. E mi son divertito: il miglior gruppo orchestrale bombardone mai sentito in un teatro sinfonico. Il miglior coro di artisti bassi, e non solo di statura, che abbia mai ascoltato; certo quella divisa col cappello a eliporto non slancia.
Poco importa che la musica sia troppo spesso un bombardamento di marce in salita che si concludono inevitabilmente con un danno ai timpani. Che i coristi abbiano diaframmi e strumenti possenti. Che l'età dei militari componenti il coro vada dai venti ai sessanta. Che i direttori d'orchestra siamo due, uno definito "principale" che si presenta con una gran medaglia pendente dal petto ed uno addetto solo alla musica suonata per i ballerini, il che provoca continui cambi sul podio e la richiesta di ulteriori applausi.  

Poco importa perché le marce trionfali, vigorose, maschie che l'ensemble propone, coinvolgono la platea in furiosi, spesso fuori tempo battimani, che se ci provassero a sbagliare così a Vienna per il Concerto di Capodanno li radierebbero subito dalla sala. A vita! Rausch!
Ma l'accento popolare della serata si vede anche da questo. E non solo. Si vede, anzi si ascolta pure dalla presentazione del gruppo enunciata in un accento russo da operetta. Sul nulla di decoro che completa le scene grigie. Sul pubblico mai così poco in pompa magna, come questa sera. 

I solisti del coro si esibiscono evitando in maniera pedissequa di trovarsi illuminati dalla luce dei riflettori: con l'eliporto piazzato in testa l'effetto sul volto è spettrale. Prendono con dignità i loro personali applausi e li dividono, "collettivamente" col coro che li ha accompagnati, mai oltre il secondo, rigido inchino. 

Le ballerine sono vestite con abiti bellissimi, emettono squittii e urletti, ballano benissimo ed il massimo che si beccano è un applauso di riporto per un passo di danza che le fa roteare per tutto il palco, mostrando i casti mutandoni. Una di loro ha un vitino non proprio da libellula... Ma le cinture piazzate sotto il seno aiutano sempre. 

I ballerini, loro indossano i leggings con le casacche, fischiano ed urlano, ballano e si beccano tutti gli applausi perché i loro passi son tutti acrobatici. Più d'uno ha la pancia gagliarda e quando si tratta di rotolare sulla schiena, dalla sinistra alla destra del palco, indossano una giacca nera che non c'entra nulla col costume, ma così non macchiano la casacca. 

Dei brani non capisci una mazza. Sono in russo tranne il coro degli schiavi del Nabucco che cantano alla fine. 
Riconosci "Kalinka Moja!" ed il "Casatchiok" di Dori Ghezzi e scopri che quando lei canta: "Kasachiok è il ballo della steppa" il motivo originale fa solo un gran: "La lalla lalla la".   Del "Canto dei battellieri del Volga" nessuna traccia. 

Effetti luminosi? Nulla. 
Effetti sonori? Solo la chitarra elettrica inserita nell'orchestra classica. 
Scena? Ho già detto: grigi teloni. 
Sipario? Non c'è. Tutti entrano ed escono di scena come in un dramma di B. Brecht. 

Ma il tutto risulta divertente, godibile e allegro. Bella serata. 

"Non sopporto i cori russi,
la musica finto rock,
la new wave italiana,
Il free jazz, punk inglese. 
Neanche la nera africana! 🎶".



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martedì 5 gennaio 2016

AL MUSEO CON GLI AMICI



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Oggi sono andato con due amici al museo. 
Per entrare al museo si fa una coda lunga un chilometro e mentre si sta in piedi si parla con le signore anziane che ti chiedono perché ci sia tanta gente in coda, davanti, al museo. 
Poi le signore anziane escono dalla coda, non prima di essersi fatte promettere di conservar loro il posto, per accogliere altre signore anziane che si erano perse, e loro la coda non la fanno perché hanno le gambe che gli fanno male. E hanno i nipoti che non vogliono stare in fila, ordinati. 

Durante la coda si possono ascoltare i discorsi degli altri ed ogni tanto si fa un passo in avanti. Quando siamo fortunati due. Indietro non si torna mai, gli altri non te lo consentono. 

Gli amici che ci raggiungono quando siamo congelati dal freddo che fa, non ti portano neppure una tazza di caffèlatte caldo perché erano in ansia perché erano in ritardo. E neppure un biscotto: mannaggia alla fretta! Quelli che passano accanto per andare in fondo alla coda ti guardano con odio perché tu sei più avanti di loro e loro non hanno amici a tenergli il posto. Ma non per questo li lasciamo passare avanti. Altri ci contano e più o meno decidono che "di coglioni in coda ce n'è abbastanza" e tornano a casa loro. 

Più stiamo fermi e più mi chiedo se questo signor Monet lo sa che ci sono tante persone che aspettano per entrare a vedere i suoi quadri. E per fortuna che non piove altrimenti più che un quadro di Monet potemmo essere "In un olio di Callebotte", dice uno che ha l'aria di averne visti parecchi di musei. Non conosco neppure il signor Caillebotte, ma immagino che gli piacciano le persone fangose e senza ombrello. 

Esce il sole ma noi cambiamo posto perché non ci muoviamo più ed andiamo verso gli stampini del signor Matisse: lì si spera di entrare. 
Forse sì perché davanti alla sua porta c'è meno gente. Penso che sia meno bravo del signor Monet se nessuno vuol vedere i suoi quadri. Non proprio nessuno nessuno, perché  siamo dentro velocissimamente e le persone, tante, stavano dentro e non fuori ed il mio zaino finisce dentro un cassone chiuso a chiave sennò non mi fanno entrare. 

Il signor Matisse aveva molti amici e ci sono molte pitture di tutti loro. In ogni stanza c'è un quadro suo e gli altri sono di questi altri signori: il signor Picasso, il signor Renoir, il signor  Modigliani, il signor Braque, il signor Derain, Léger e Severini che era nato a Cortona, in Italia. Alcuni di questi signori li hanno chiamati belve/selvaggi, e non per fargli un complimento... Però loro se ne vantarono e si riunirono in un circolo che si chiamava così: le belve. 
Più di tutte mi piacciono le pitture di Picasso perché per lui tutti i lati delle persone o delle cose devo essere dipinti sulla stessa faccia del foglio. 
A me non piacciono molto tutti quei segni, le stelle, le figure di uomini che ballano, sembrano i collage coi figli colorati, neanche tagliati tanto bene, però i colori sono belli. Mi dicono che il Matisse li faceva quando ormai era anziano e famoso e anche un po' malato. Prima dipingeva come tutti gli altri. 

Alle fine usciamo e c'è anche il sole fuori. Meno male che ora fa un po' caldo. 
Uno dei miei amici dice che da questa mostra si capisce che, di certo, le belve erano un gruppo di amici a cui piaceva senza dubbio quella cosa lì delle ragazze. Tutti ridono, rido anche io. 

Ora mangiamo che ho fame. Pastasciutta di Torino. Insalata di Torino, panettone di Torino. 
Mi piace proprio questa Torino. 


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