martedì 30 giugno 2009

W GLI SPOSI



Giorni volati come un razzo in attesa di una partenza che continuo a rimandare. Stamani, giorno del rientro previsto, ho fatto la valigia, stirato i pantaloni per il volo, poi sono uscito in preda ad un attacco di ansia di quelli pesanti. Perché partivo? Perché oggi? In fondo stavo così bene e a casa, finché l'altra mia sorella non mi abbandona il gatto per esaurimento di pazienza, il resto poteva attendere almeno un altro giorno. Sono andato a bermi un cappuccino, fatto colazione con un cornetto fatto solo di burro, quindi ho deciso che un altro giorno potevo permettermelo. Rasserenato dalla decisione presa ho fatto la spesa e mi sono incamminato verso casa, sotto uno scroscio di pioggia. Ho fatto un tortino di cipolle. Ne avevamo mangiato uno in un ristorante tempo fa e ci siamo interrogati a fondo sulla ricetta. Ho voluto provare se la mia versione poteva somigliare almeno un po' a quella del ristorante. Ma abbiamo saltato il pranzo, quindi il giudizio viene rimandato a stasera a cena.

Quindi domani rientro. Solita trafila di chi viaggia senza prenotazione: presentazione al banco, lista d'attesa, altra ansia, ma ne vale la pena.
In verità sono un po' curioso di vedere quello che succederà. So che alcune telefonate sono partite dall'azienda che mi ha messo in cassa integrazione per richiamare qualche dipendente, ma il mio telefono non ha squillato, quindi...
Belle notizie invece arrivano dall' Europa non mediterranea, dove un mio caro amico vive da anni con il compagno. Hanno deciso di fare il gran passo e si sposeranno presto. Ne sono felice. Il mio amico è una brava persona e conosco anche il compagno. Sono una bella coppia, quindi felicitazioni! Sono invitato a quanto pare e la cosa mi fa piacere. Assisterò ad un matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma soprattutto assisterò al matrimonio del mio amico. Peccato che debba andare così lontano per farlo, ma entrare in questa trita polemica di leggi e riconoscimenti non è una necessità. La lascio agli altri, se hanno voglia di farla. Io, per quello che mi riguarda, sono felice di vederli ufficialmente uniti, dopo averli visti per così tanti anni insieme. Quello che penso traspare dalle mie parole.
VIVA GLI SPOSI!!!!
Ammetto di aver avuto le lacrime agli occhi quando me lo hanno annunciato. L'ho trovato un gesto bellissimo, coraggioso. Ma l'amore è sempre coraggio. Il promettersi la vita insieme prima col cuore e poi davanti alla legge mi emoziona. Lo so che la prima promessa conta forse di più della seconda, ma che dire? Sarà perché sono romantico, ma quella cerimonia credo che la vivrò con tanta emozione. Sarà anche perché io non posso neppure pensare di poterla organizzare in questa mia storia attuale - il mio compagno è ancora sposato e non c'è prospettiva di divorzio. Sarà quel che sarà, ma quello che stanno per fare quei due è quasi un regalo di speranza che prenderò per me.

lunedì 29 giugno 2009

DIVERSITA' DI VEDUTE




Bandiera della Repubblica del Biafra: 30 maggio 1967 - 15 gennaio 1970

Ho fatto il vagabondo e ieri non ho scritto. Ma subito sono stato redarguito: in vacanza sì, ma poltrire no!
Ieri giornata casalinga, con la gioia della minuscola pronipote che con un suo linguaggio tutto particolare - un mix tra lallazione, italiano, inglese e polacco - parla con tutti e dipinge il cane con i gessi, da bianco in dalmata. Se tutto va come previsto a settembre lei e i genitori saranno miei ospiti in Italia per una settimana.
Nei giorni di festa in questa casa si usa fare colazione all'italiana, liquidi caldi e cornetto, poi si pilucca qua e là fino alla cena, da fare rigorosamente tutti insieme. Carino, pratico, ma il mio metabolismo urla vendetta. Infatti ieri mattina, prevedendo l'andazzo, mi sono procurato un bagel e me lo sono mangiato tostato e con la ricotta. Il mio appetito da aspirapolvere è stato così placato e non sono precipitato in una crisi ipoglicemica che avrebbe irreparabilmente cambiato il mio umore. Ho sempre bisogno di mangiare alle ore canoniche, di saltare un pasto non se ne parla. Pena il nervosismo. Eppure non ho fatto la guerra: saranno stati i racconti di fame vera con cui sono cresciuto, i bambini del Biafra in video tv, le minacce per non lasciare niente sul piatto. Che ne so. Forse dovrei parlarne con qualcuno di veramente bravo...
Finita la cena ho portato a passeggio il cane dalmata - che già era abbastanza imbarazzante di suo, perché la pezzatura era stata fatta col gesso rosa... - con le buste di plastica in tasca per il doveroso pick up after your dog. Dopo la prima busta ho capito che non avrò mai un cane mio: bisogna davvero amarli tanto per raccogliere da terra quella roba tiepida e soffice, vicino alla quale non c'è mai un cestino per depositarla. CHE SCHIFO!!!!! Ma la bestia implorava di uscire quando, uno dopo l'altro, ha visto abbandonare la casa da pronipote, nipote con consorte, mia sorella e compagno: un esodo biblico!

Stamani tutti i giornali riportano la notizia dei 150 anni di prigione inflitti a Bernard Madoff che aveva fatto sparire qualcosa come 46 miliardi di EURO (fonte Repubblica). Bazzecole. Certo non se li farà tutti, vista l'età, ma almeno glieli hanno dati. Ma se cerco su Wikipedia notizie su Callisto Tanzi trovo che il crak Parmalat avrebbe fatto un buco di 14 miliardi di EURO, quasi un terzo del sig. Madoff. In primo grado ha avuto 10 anni: un quindicesimo.


Stasera ho voluto superare me stesso: con mia nipote ventiquattrenne ho affrontato un cruciverba di un certo impegno, arrivato con l'edizione domenicale del quotidiano che ha contribuito alla deforestazione planetaria con il suo volume ciclopico. Per far capire le dimensioni del gioco enigmistico, le definizioni verticali arrivavano al numero 529. Io posso dire che con l'enigmistica sono abbastanza bravino, ma in un'altra lingua è devastante: mi son sentito culturalmente uno gnomo. Dopo tre ore ne avevamo fatto solo un ottavo: sconforto! E dire che abbiamo googolato il googolabile. A mezzanotte abbiamo mollato e siamo andati a letto, da dove finisco il post. Ma non mi arrendo, domani torniamo alla carica.


Ok, lo so che d'estate fa caldo e che si sta più volentieri nei luoghi con l'aria condizionata. Che magari, visto che si sta più a lungo si finisce per comprare di più. Ma facendo la spesa nel supermercato alimentare ho finito per avere freddo. L'aria era gelida e solo facendo lo slalom gigante con il carrello carico di primizie avrei potuto scaldarmi. Il crollo emotivo è avvenuto davanti alla chilometrata del banco dei latticini: se prima bastava il cappotto, lì ci voleva la giacca a vento! E i cani da slitta per tirare il carrello, altrimenti, le mani in tasca, il carrello doveva essere spinto a colpi di pube.
Evito di parlare del danno ecologico che certi atteggiamenti di spreco provocano anche a migliaia di chilometri di distanza;
non dico nulla sulla necessità di congelare l'aria anche quando fuori piove e non si tratta di piogge tropicali, lo prova la latitudine di Toronto;
lasciamo perdere che se la nonna ci rimane secca cercando le fette biscottate, si potrebbe ritrovare integra alla fine della prossima glaciazione;
una domanda sola: ma siete scemi?
anzi due: ma perché nel prezzo devo pagare anche l'eccessiva aria condizionata pretesa del vostro cervello modificato?
Una volta a New York chiesi di parlare con la manager perché il freddo dentro il bar non consentiva di portare alla bocca un caffè che fosse ancora caldo. La sua risposta fu che lei stava bene così. La mia fu che l'espresso freddo se lo poteva bere lei. Non si smosse di un millimetro dalla sua posizione. Io misi la croce su quella porta.
Differenze culturali?
Adipe differenziato - io grasso normale, tu grasso di foca -?
Neuroni addormentati - tu preoccupati della fine del mondo tanto io faccio che c@@@o mi pare?
Non so. Se penso che ci sono persone che passeggiando la sera d'estate o si mettono la maglia, o prendono il raffreddore, son certo che qui dovrebbero scegliere tra morire di fame o di polmonite fulminante.
A proposito: come va la febbre oggi?
'Nanot

domenica 28 giugno 2009

CILIEGI IN FIORE PER C.


Passeggiata in centro a Toronto. A poche ore dalla sfilata dell'orgoglio omosessuale - e c'è ancora qualche str...ano che dice che non la si dovrebbe fare, "perché da un'immagine sbagliata dell'omosessuale", come se per il comportamento del premier tutti gli etero del Paese dovessero essere considerare come lui - guardo le vetrine delle grandi firme che sono distribuite su Bloor St. e alcune, bang & olufsen, kalvin klein e molti altri, hanno esposto la bandiera arcobaleno in onore del Pride che passa di lì. Bel gesto. Commerciale, sicuro, ma un bel gesto. Comunque un riconoscimento dell'esistenza di un certo tipo di popolazione. Avrei voluto vedere come avevano addobbato le vetrine per il Pride di Roma: tutte serrate? Non voglio ricadere nella trita polemica sulla sua utilità, affrontata troppe volte e senza risultato ogni anno prima di arrivare a giugno. Io lo accetto come un giorno di festa, come un momento per dire al mondo: "io sono qui". Ed ora più che mai, in un tempo e Paese in cui ci viene riconosciuto solo il diritto di vivere e pagare le tasse, c'è bisogno di urlarlo forte: IO SONO QUI.

La passeggiata è proseguita su una delle strade più eleganti e vivaci della vita notturna estiva di questa città dagli inverni molto freddi: Yorkville. Gente in ogni dove, controllori del traffico che staccavano multe, ristoranti e bar all'aperto, amici beccati con la donna sbagliata. O quella non ufficiale. Ah ah ah...
Rimango stupito che la strada non sia completamente pedonale, anche se in realtà lo è perché le macchine in movimento procedono a passo di formica per il traffico di pedoni che invade tutto lo spazio disponibile. Una Dolce Vita torontoniana fatta di giovani e mano giovani. Alla ricerca di uno spazio all'aperto dopo mesi passati al chiuso dei centri commerciali. Ma quella strada lì, perché non la chiudono al traffico? Chiedo e mi viene risposto da chi ci vive, che in città non ci sono strade chiuse al traffico, se non per lavori. Incredibile!


Nei momenti di pausa vado avanti leggendo "Emma" e vorrei riuscire a finirlo prima del mio rientro, così da poterlo considerare il libro di questo viaggio. Mi accade spesso di fare così. "Le memorie di Adriano" per esempio, furono il libro della prima impronta sul suolo americano. "Gente del Wyoming" letto per due volte nella mia prima notte a Tokyo.  Ora c'è Emma con il suo linguaggio aulico, morbidamente consolatorio, impeccabilmente appropriato. A dimostrare, per esempio, che comunque la si pensi, la forma è sostanza. Come dicevo, vorrei riporlo nello scaffale non appena rientrato a casa mia, ma vista la sua corposità credo che questo termine slitterà di qualche giorno. Sempre stato lento come un bradipo nel leggere, io. Ma non ho mai capito perché si debba aver fretta nei piaceri principali della vita.
Mi sta simpatica quella creatura dalla forma complicata, Emma, ma così semplice e decisa nella realtà. Una geniale rompiscatole, per intenderci.


Vado a nanna. E mando un bacio bello grande a C. che ha visto chiudersi oggi una relazione di lunga durata e convivenza. Stai su. Forse torna, ma se non torna ce la farai a rialzarti. Ne sono certo. Un bacio.
PS: i ciliegi in fiore sono per te!

venerdì 26 giugno 2009

MIRTILLI


Ho fatto il sacrificio.... Ah!, quanto mi è costato. Seduto dentro una veranda chiusa che guardava alla scorrere placido del Sud Saskatchewan, ho ordinato un waffle, intero, che quello metà pozione temevo fosse troppo piccolo. Cosa c'è di meglio come base per gustare una marmellata? Nulla. Un ode a tutti quei meravigliosi buchetti in cui far atterrare tanti frutti di bosco! Mentre ne aspettavo l'arrivo discutevo con mia sorella che ne aveva ordinato solo una metà: santi numi, è il mio pranzo! Mica sono a dieta! Si sa che le signore mangiano di meno, ma lei esagera.
Dunque arriva la "base", sono partito all'attacco del carrello che conteneva panna e confetture varie. Copertola doverosamente di vari strati mi sono abbuffato come un orso dopo il letargo, esprimendo il piacere con sordidi mugolii, percepiti anche dal gruppo di anziani che sedeva ai tavoli vicini. Riprendendo i sensi ho visto che mia sorella ne aveva sì preso solo metà, ma l'intonaco che vi aveva cosparso sopra, non aveva nulla da invidiare al mio. E poi son io quello che...
Che sacrificio! Che fatica l'assaggio del mirtillo di Saskatoon! Non lo rifarò mai più - il che è probabile perché non è poi tanto semplice tornare fino quassù...
Per non dimenticare mi sono procurato un paio di barattoli da portare a casa.
Di che cosa sa? Di mirtillo. Solo un po' meno dolce e un po' più selvatico. Ma è una delizia.
Cresce in cespugli alti anche due metri, verdi, fogliuti e anche un po' bruttini. Oggi credo di aver gustato la produzione dell'anno scorso, essendo le bacche sugli alberelli ancora verdi. Intorno al fienile rosso trasformato in ristorante e in gift shop, i filari si allineano al fiume e creano un gradevole effetto di frescura. La terra è... sabbia di fiume, segno che un tempo l'alveo era molto più ampio. Rumore di foglie mosse dal vento, sole brillante, gente che ride.
Neo: guardando bene scopro che proprio davanti al ristorante scaricano le le acque delle cucine e spero solo di quelle. Una scia spumosa attraversa tutta la spiaggia sabbiosa. Gente disattenta mette i piedi a bagno. Qui dove gli autobus cittadini sono ibridi (elettrici e a gasoli) si scaricano porcherie in acqua senza trattamenti.


Stanotte mentre fumavamo la nostra ultima sigaretta della giornata a dieci metri dalla porta dell'hotel, come richiesto dal regolamento locale, siamo stati assaliti da folate di vento che portavano sabbia. Manco fossimo stati nel deserto! Ci sembrava un po' strano. Oggi abbiamo scoperto da dove arriva. E se dieci metri di terra di nessuno dalla porta di un hotel vi sembrano troppi, vi informo che se volete fumare all'aeroporto dovete stare lontano VENTI metri dall'edificio. Che non abbiano a prender fuoco i milk shake carichi di zucchero che vengono spacciati all'interno. 
 

Ieri sera è arrivata conferma che Alitalia sta chiamando per le basi periferiche. Panico. Ansia. Senso di smarrimento. In testa la frase: "Ma perché proprio ora che non sono in Italia?". La notizia appresa attraverso Facebook e non attraverso azienda o sindacati, era esatta. Ma a me non hanno chiamato. Sospiro di sollievo e delusione. Se avessero chiamato non ce l'avrei fatta a rientrare, perché la maledetta abitudine di telefonare un giorno per convocarti il seguente, quelli lì non l'hanno ancora persa. Ma perché non mi hanno chiamato? Spiegazione: chiamano per fare il medio raggio e chiamano chi faceva già medio raggio, così risparmiano soldi per i corsi addestramento. Tutto qua. Il cuore si è fermato un istante, ma il sorriso è tornato a risplendere. Ecco, altro messaggi appena ricevuto: chiamano anche quelli che facevano il lungo. Ora non dormo più.


Muoiono due divi assoluti nello stesso giorno ed è triste vedere come la sorte di Farrh Fawcett sia messa in un angolo per dare spazio alla triste vicenda di M. Jackson. Forse la triste, bellissima Farrah paga lo scotto della grande visibilità che lei stessa ha dato alla sua malattia. Le televisioni, più che il pubblico che le segue, hanno sempre bisogno di qualcosa di nuovo, e quale sarebbe stato il suo destino lo si sapeva ormai da tempo. In certi casi la morte fa meno notizia. O ne fa solo un po' di meno perché, forse, anche per i decessi vale il detto che si usa per indicare certe persone speciali: "c'è sempre qualcuno che è più "deceduto" degli altri. A loro e alle centinaia di migliaia di persone che hanno lasciato ieri questo Pianeta, un mio pensiero commosso.

DA SASKATOON A REGINA

Questa qui accanto è una visione di Medicine Hat, Alberta.

Domani ultimo giorno di spostamenti, ma stavolta per piacere. In serata un altro aereo ci riporterà a Toronto dove ho già programmato di vedere la fine di un film iniziato sull'ultima tratta volata. Un grazie sentito e carico della riconoscenza del nomade va a Marisa, la nostra così denominata e fotografata GPSessa, che tra un'inversione e l'altra ha fatto bene bene il suo dovere e ci ha sempre riportati a casa. Anche se ha dovuto ricalcolare il percorso più di una volta, perché noi umani vogliamo comunque fare sempre a modo nostro. Usiamo una bussola diversa noi sprovvisti di satellite di riferimento, quella del cuore. Porta in posti diversi o nello stesso posto, ma è indubbio che segua strade diverse. I grossi loops che guardano le mucche lungo le highways potrebbero essere i miei circoli viziosi.

Al di là di altre considerazioni che forse farò dopo, una volta finta questa passeggiata, ammesso che ci riesca e non è detto, una cosa posso affermarla fin da subito. Sempre e comunque ho avuto davanti un popolo molto cordiale, capace di sorridere allo sconosciuto, che quando può aiuta a piene mani. Bella gente, forse non così piena di arte e rinascimento e monumenti come possiamo esserlo noi europei, ma piena di cuore e di anima e di volontà di avvicinarsi. Esattamente il contrario di troppi esempi che posso vedere attorno a me quando sono a casa, nella vecchia Europa.
Volevo infilare anche una sezione di paragone tra le strade di queste tre Province che ho percorso per una minima parte della loro estensione gigantesca. L'ho scritta ma a volte credo che si debba avere anche il coraggio di cancellare. L'ho fatto perché sapeva di saputello e Pierino, e questa è l'ultima cosa che voglio mostrare di me. Non sono alla ricerca di queste caratteristiche. Vi basti che le strade della British Columbia hanno corsie di scorrimento più strette di quelle del Saskatchewan e dell'Alberta. Infatti lì si vedo circolare anche alcune Smart e Mini.

Cos'altro? Che il nome della città di Saskatoon non viene da una contrazione o storpiatura del nome della Provincia del Saskatchewan, di cui è la città più grande, mentre la capitale è Regina, ma dal nome di una bacca, simile al mirtillo che viene raccolta in queste terra. Domani in mattinata visita a fabbrica artigianale di marmellata di questa bacca, con la quale ci raccontano si producano anche un bel po' di torte che mi toccherà assaggiare - del resto se voglio parlarvene...- e a questo non opporrò alcuna strenua resistenza!

Concludo con una frase da "Emma" di J. Austen, che mi ricorda la sovrana cortesia di questa terra: "Lasciate che io ve ne preghi" esclamò il signor Elton. "Sarebbe in verità incantevole! Lasciate che io vi preghi, signorina Woodhouse, di esercitare un talento così adorabile in favore di una vostra amica...".

mercoledì 24 giugno 2009

CAVALLI ED OMBRELLI


Anche se i locali dicono di no, io non ho mai visto tanti senzatetto tutti insieme, come qui a Vancouver. Abbiamo assistito a una rissa in diretta a base di spranghe, mentre eravamo in macchina tra di loro. Per la paura, invece di bloccare lo sportello della macchina in chiusura, l'ho sbloccato. Magia delle macchine americane: si chiudono appena partono e i bischeri che di solito viaggiano in Punto le aprono pensando di chiuderle... Non so se è chiaro, ma è così.

Ieri sera a cena fuori. I nostri ospiti ci consigliano il sandwich con l'aragosta in un locale trés trendy in centro città. C'erano televisori incorniciati che rimandavano immagini fisse di quadri impressionisti e rinascimentali, c'era pure la statua di un cavallo a grandezza naturale, con un ombrellino da pioggia piantato in testa. Due pareti di vetro trasparenti racchiudevano la cantina, e formavano una parete divisoria. E c'era purtroppo questo sandwich disgustoso con dentro aragosta e formaggio fuso di qualità imprecisata, a lato patatine fritte di quelle belle congelate e inconsistenti. Wow! Meno male che era poco e il tutto è durato la frazione di un secondo. Perché la fame è fame, ed io l'ho mangiato ugualmente. Meno male che il ketchup era buono!
Stamani ventre piatto come una modella, ma ancora il disgusto rimane.

Siamo arrivati a Saskatoon. Di nuovo una città piccola, ma con università. Prima sorpresa all'albergo dove abbiamo scoperto che la prenotazione fatta da Expedia non era andata a buon fine e l'agenzia on line si era ben guardata dall'avvisarci o prenotare in un altro albergo... Un'ora e un quarto al telefono con il call center che sta dietro l'angolo, in India!!!!, per non risolvere nulla. Meno male che alla fine l'hotel da cui telefonavamo ha avuto una cancellazione e hanno dato la camera a noi. Grazie Expedia.
La seconda sorpresa è che questa è una bella città, piena di parchi anche se gli alberi non sono rigogliosi come a Vancouver, visto che qui fa un inverno che congela le chiappe alle lepri. E gli orsi hanno chiesto asilo politico alla Florida. Fatta una bella passeggiata sul lungofiume poi andati a vedere Galleria dove oltre alla collezione permanente erano in mostra i magnifici paesaggi di Dorothy Knowles. Viste del paesaggio invernale ed estivo di questa regione che invitano lo spettatore ad allontanarsi dall'opera per percepirne ancora meglio i particolari, la capacità di questa artista di rendere i volumi dei bianchi, le piccole macchie rosse che spesso si trovano al centro del paesaggio. Brava, bravissima, avrei voluto ancora più opere.
PS: il museo era gratis.....

La Niki può spiare con il computer da dove scrivo il blog? Ma come è possibile? Che siamo in Matrix o nell'ultimo episodio di Agente 007? Preferisco Matrix: per gli attori.
Dai Niki, da dove posto ora?

Ora stacco perché c'è il presidente Obama in tv che parla. Ha una voce che incanta: non riesci a pensare o ascoltare altro.

martedì 23 giugno 2009

LIBRERIA D'ANGOLO


Forse un po' provati dal continuo viaggiare, ieri siamo andati a mettere benzina, facendo affidamento sulla lancetta della temperatura dell'acqua posizionata sul cruscotto... che segnava mezzo serbatoio. Così dopo solo 10 dollari la benzina è schizzata fuori e il rifornimento è stato interrotto. Ce ne siamo accorti quando siamo ripartiti perché il radiatore che avevamo scambiato x il serbatoio continuava a segnare mezzo pieno, e volevamo andare a protestare dal benzinaio. 
Va bene, siamo stanchi.

Ieri visitata spettacolare libreria in pieno centro a Vancouver: un ammasso di libri usati, stipati in scaffali alti fino al tetto, rigorosamente di legno, appoggiati sui tavoli e in pile sul pavimento. Ne avevo visto la foto alla Vancouver Artgallery, in uno spazio espositivo riservato alla fotografia, bello denso. Ci eravamo incantati davanti alla quantità spropositata del materiale di lettura che veniva mostrato nello scatto: leggevamo i nomi delle etichette attaccate sul bordo delle librerie, i titoli delle opere straordinariamente definiti e ci dicevamo:"Guarda qui...". Tanto che ho pensato che si trattasse di un montaggio. Ma la realtà supera sempre la fantasia, e ieri, ho realmente visto quel posto.
All'ingresso l'odore della carta usata e polverosa assale. Poi è come viaggiare in un mondo di parole che avvolgono il visitatore o l'acquirente. Migliaia, centinaia di migliaia di libri ovunque, in scaffali o pile, appena editi o vecchi di anni. La mano viene attirata dalle rilegature dei primi anni del secolo passato, dove all'interno delle copertine si leggono dediche a nipoti e amati, su titoli a me sconosciuti. Le parole rimangono sospese nell'aria e non c'è bisogno di parlare. Rari ventilatori le mischiano l'una con l'altra e le spostano da pagina a pagina. I tappeti che coprono la moquette, sono inchiodati a terra da lunghe strisce di nastro adesivo marrone, quello per pacchi postali, come a voler impedire che lo stregato visitatore, paghi con una caduta l'attenzione portata ovunque, ma non al suo procedere. Libri d'arte, un'intera edizione dell'enciclopedia britannica a poco più di cento dollari, un libro di Umberto Eco, C. Dickens, un vocabolario d'italiano, un elegante edizione tascabile per una frase della Bibbia al giorno... E di più, di più. E tra le moderne edizioni spiccano i volumetti rilegati con cura dei primi del '900: impossibile il paragone tra la bellezza di un libro antico e quella di un libro fresco di stampa.
Mi sembra di aver visitato la libreria di "84 Charing Cross Rd", anche se nell'immaginariodi quell'epistolario come nella rappresentazione del film, questa appariva MOLTO più ordinata. Ma lì si era nell'Inghilterra del secondo dopoguerra, cibo razionato ed orgoglio intatto, e si vendevano libri e stampe rare. Qui si avverte che il motto sia "ricerca". Per trovare bisogna perdere tempo, lasciarsi guidare dalle poche indicazioni e dall'istinto. Ma più che dall'istinto dal sentimento, dall'affetto che chi frequenta questi templi ha certamente per i libri come oggetti, come forme di cultura, come compagni di vita.
La mia edizione di Emma, nei tascabili Mondadori non ce la troverei mai qui. E forse non ce la verrei mai a cercare. Ma a me fa compagnia comunque.
Buonanotte, domani si torna due fusi indietro, verso la città di Cartoonia: Saskatoon. Ancora Canada.

GETTING LOST IN VANCOUVER


Tra tutte le meraviglie della tecnica a disposizione vi presentiamo la fedele Marisa dalla voce suadente, in alto, l'irresistibile Magellano che abbiamo impostato in giapponese perché ci piace come dice i numeri, in basso, e l'inutilizzata, silenziosa Piantina al centro. Risultato? Un continuo ripetere: "Recalculating" dalle macchinette, e una pallina di carta dei Piantina...

lunedì 22 giugno 2009

VERMEER, REMBRANDT E IL VICINATO


Dopo giorni di macchina e di aereo, in Alberta abbiamo coperto più i 2000 km in tre giorni, oggi il riposo dei guerrieri nella splendida cornice di Vancouver.
Era il momento di riammorbidire le chiappe e ossigenare i polmoni con una sana passeggiata. Quindi stamani escursione allo Stanley Park. Questa penisola che parte dal centro città è un parco coperto di alberi secolari, che divide il porto dalla English Bay. Camminato sul sentiero sulla riva in compagnia di pattinatori, fondisti e ciclisti. Aria frizzante, quasi fredda nei punti d'ombra, in preparazione di un temporale che ha minacciato tutto il giorno ma non si è mai presentato. Per me poteva anche fare, io mi ero portato dietro l'ombrello dell'hotel... Dopo circa 4 km dall'inizio del percorso, che se coperto per intero ne misura più di 10, se lo si percorre nello stesso senso delle automobili, si trova una spianata dove sono stati istallati dei giochi d'acqua per bambini: fontane, getti e piccoli laghetti. Lì i bambini sguazzano e si bagnano a volontà. Ora, come asciugarli se il sole non è dalla parte delle madri, come stamani per esempio? Con l'asciuga bambini. Il "coso" in questione è un grande cubo appoggiato a terra, di circa due metri per due, per due, ma non fate tanto conto alle misure perché ad occhio sono una frana; ha due dei lati aperti dai quali si fanno passare gli infanti infradiciati, dei maniglioni interni a cui far aggrappare i pargoli. Quando sono dentro e ben fissati, si pigia un bottone rosso e si scatena l'inferno. Dalle pareti laterali escono getti d'aria - spero tiepida - che seccano i vestiti dei marmocchi e allontanano il pericolo di raffreddori. In pratica è come infilare il proprio figlio sulla scia di un motore di un jet, solo che questo è un po' più garbato. Non ti rende in figlio cotto al dente.
Stamani avrei pagato per potermici infilare dentro, ma non ho trovato il coraggio di espormi al pubblico ludibrio perché un po' di dignità mi è ancora rimasta. E poi non ero neppure bagnato. Anche se una riscaldatina dall'aria fredda della costa me la meritavo...

Dopo pranzo siamo tornati in centro perché avevamo notato i manifesti di una mostra alla Vancouver Artgallery - è scritto così - dal titolo: "Vermeer, Rembrandt and the golden age of Dutch art - Masterpieces from the Rijkmuseum". Non sono un divoratore di mostre come la mia amica Niki, ma di titoli me ne intendo perché ho acciaccato parecchi escrementi nel soddisfare la fame di conoscenza: quando dopo il nome ridondante si parla di: "e gli anni d'oro dell'arte di poggio ciliegio", oppure si aggiunge "e il suo tempo", "suo cognato", "tre quarti della palazzina sua", io vengo colto da un sospetto fastidioso, un presentimento maligno che si rivela regolarmente fondato. E cioè: devo sperare che i "tre quarti della palazzina sua" abbiano avuto un'ottima mano d'artista, perché tolti pochissimi pezzi dell'artista di richiamo, ci saranno solo i vicini ad esporre.
Anche stavolta avevo ragione: due o tre, massimo quattro pezzi di Rembrandt, uno di Vermeer - parlo di tele - e il resto era vicinato. Mano male chi si trattava di un quartiere di artisti, chi più chi meno, altrimenti sai che palle?! La produzione Olandese della seconda metà del seicento è stata davvero notevole, oppure i pezzi belli erano tutti lì... Certo arrivavano tutti da un museo rispettabilissimo, ma ho imparato a non fidarmi neppure delle migliori intenzioni quando si tratta di esposizioni. Comunque sono stato contento di aver visti i quadri dei dirimpettai. Alcuni li avevo già ammirati in Europa a fianco di qualche altro nobile nome "e gli amici del barrino", altri, soprattutto per le nature morte, mi erano completamente nuovi.
Una visita al piano superiore per vedere le splendide tele e i gli altrettanto bei disegni di Emily Carr. Ah i colori!!! Ah il movimento degli alberi immortalati nelle tele! Una grande che ha fatto sue, tra le tante, le tecniche del Gruppo dei Sette, e che ha quindi saputo rendere la potenza di questa natura meravigliosa, ai suoi tempi ancora incontaminata. In più ha aggiunto la capacità di vedere e riprodurre corpi, arte e l'animo del nativi Americani.
Tanta gente a vedere l'arte, senza cerimonie, anche con le infradito. Anche bambini e neppure tanto fastidiosi. I custodi richiamano ancora al silenzio i visitatori rumorosi, in questo civile paese. Quindi un pomeriggio piacevole anche per un Erode sguinzagliato come me.
La mostra era sponsorizzata da una catena di ristoranti specializzati in carne, quindi per cena ci siamo concessi il lusso. Ma niente dolci alla fine, mi raccomando, altrimenti s'ingrassa! Eppure prima di andare via devo farmelo un tuffo nella glassa spessa e compatta!

Mi dicono che a casa Porta Crucifera ha vinto la notturna della Giostra del Saracino... ANCORA???? Ma non ne avete piene le lance???? E fate respirare un po' anche noi! Fateci il dono di una festa di quartiere ogni paio d'anni! E che C@@@o!

domenica 21 giugno 2009

CHIACCHIERE


Davanti all'Hotel di Edmonton ho avuto il piacere di parlare con un arzillo signore italiano immigrato qui da almeno 50 anni. A parte il sorriso stampato in viso - la scelta fatta, pur dolorosa all'inizio, deve essere risultata vincente - ci ha raccontato che a loro, gli italiani, non andava tanto bene quando sono arrivati qui: malvisti da tutti, la polizia impediva pure i raduni al parco per ascoltare la partita tutti insieme; evitati e temuti da tutti, non erano consentiti "capannelli" di tre persone sul marciapiede; gli insulti volavano a quintali, come i controlli legali a cui per anni venivano chiamati dalle autorità. Fino alla conquista del passaporto con la foglia d'acero, rinunciando, allora, per sempre, a quello natio.
Mi ricorda qualcosa.... Solo che si trattava di più di 50 anni fa, vale a dire gli anni 50 del secolo scorso.
Se le cose qui sono cambiate per chi arriva in questo Paese, lo si deve anche a loro e alla loro strenua resistenza. Un clima inospitale, inimmaginabile neppure dai racconti nelle lettere di chi era arrivato prima, condizioni lavorative al limite dello sfruttamento, hanno aperto la strada agli altri che, soltanto vent'anni dopo, cominciava ad arrivare con voli in prima classe, per offrire su richiesta una mano d'opera d'eccellenza. O una mente sperimentatrice.

Se si volesse seguire in maniera diciamo "urbanistica" questo percorso verso la qualità della vita, a Toronto bisogna partire da St. Clair Avenue, uno dei primi insediamenti italiani, anche se il quartiere italiano è segnalato da cartelli stradali molto più a sud, verso il lago. Una strada ampia incorniciata da palazzine basse, uno massimo due piani, con negozi al piano terra che consentono la passeggiata per la spesa. Da qui partono altre strade residenziali, alberate, con bungalows ancora in legno.
Da St. Clair, con il raggiungimento di un operoso benessere, i WOP - i senza carte, come all'epoca chiamavano i nostri connazionali - si spostano verso nord, verso Woodbridge, superano il limite della città di Toronto, e qui costruiscono case più grandi, confortevoli, a volte ridondanti di marmi e possibilità economiche. Alcuni pretendono le tegole in terracotta sul tetto, come nelle case in Italia, mentre qui si istallano di preferenze listelli in plastica catramata per proteggere gli spioventi. Lasciano il loro vecchio quartiere ai nuovi arrivati, nuovi poveri, nuovi malvisti. Centro Americani, soprattutto.
Non c'è nulla da fare, la strada dell'integrazione passa dalla battaglia per il proprio riconoscimento.

Uno dei riconoscimenti più importanti alla comunità di origine italiana, per me è questo: parlando con la mia nipote di origine polacca le ho sentito affermare, che il mercato immobiliare ha uno dei suoi picchi di pregio proprio intorno agli insediamenti di questi ex WithOut Papers. Perché nella cultura del nostro popolo rimane invariato il desiderio della cura della casa, la volontà di essere inattaccabili dalle critiche del vicino, e quindi i quartieri italiani di oggi, sono tra quelli che hanno le case più care, più attrezzate, con i giardini meglio tenuti.
Non c'è male come soddisfazione per chi ha pagato con la fatica e a volte l'umiliazione, la ricerca di un'opportunità.

sabato 20 giugno 2009

RISPOSTE


Bene, credo che nel commento di Niki ci sia la risposta del perché le mucche pascolano nelle vicinanze della strada: guardano il gran premio! Il nostro. Il loop percorso dai concorrenti inconsapevoli è un po' lungo, ma.... Certo hanno a disposizione tutti gli snacks di cui necessitano durante la visione, alcune più fortunate possono abbeverarsi con pop drinks nei laghetti a lato. Ma tant'è. Risolto un mistero mi tocca postare la foto dei testicoli. Vorrei quasi chiedere scusa per l'eccesso di testosterone in mostra, ma non devo farlo io, ma il signore con cappello che nell'ingrandimento non si vede.
Per quanto riguarda i porcospini, da quello che ricordo, attraversano la strada perché ad un certo punto della vita non si può non rischiare, altrimenti non si vive. Che sia per raggiungere l'amato; che sia per vivere meglio, le strade vanno percorse sempre e qualche volta attraversate. Prendi il libro se lo trovi: è magnifico, altrimenti te lo passo io.

PERCHE' LE MUCCHE STANNO SEMPRE VICINO ALLA STRADA?


Domanda imbarazzante, ma percorrendo anche oggi almeno 9 ore di praterie la domanda sorge spontanea: ma con tutto il c@@@o di terreno che si trovano alle spalle, perché se ne stanno a brucare sempre attaccate alla staccionata che le divide dalla strada? Domanda dalla risposta insondabile. L'altra: "Perché i porcospini attraversano la strada?", ha avuto risposta da una grande dimenticata della letteratura italiana che mi piace, che risponde al nome di Carmen Covito.
Siamo tornati ad Ed-mio-tuo in tardissima serata, tra segnali in autostrada che invitavano alla prudenza, perché le ore serali sono le più probabili per impattare sulla natura selvaggia, in forma di daini, cervi o altre bestie salterine. Impattato abbiamo impattato in effetti, ma su un sasso scagliato da un camion enorme, che ha finito per farci un piccolo fiore sul parabrezza. Mortacci suoi! Domani urge riparazione prima della riconsegna del mezzo all'agenzia dell'aeroporto.
Che cosa ho visto oggi? L'infinito. Una luce di taglio mai vista prima che faceva brillare il verde dell'erba e imbiancava le nuvole compatte. Non ho resistito a fermare la macchina e fare una foto dal finestrino. Eccola in alto.
Che strano vedere l'infinito dal finestrino di un'auto... Potrei averlo incontrato in meditazioni profonde o nella persona che amo. Ma oggi ho "visto la luce" in questo modo, che posso farci? Miserie e perfezioni di un uomo moderno.
Dalla luce sono passato al buio, ma in una valanga di risate. Mentre percorrevamo un paesino minuscolo ho notato qualcosa che ciondolava dal gancio di traino di un pick up. Ho guardato meglio: non riuscivo a credere ai miei occhi. Ma alla fine ho dovuto far pace con la realtà: erano i coglioni di un toro (in plastica), applicati come inequivocabile simbolo di virilità dal proprietario del mezzo, che al momento vestiva un largo cappello da Cow Boy. La foto che prova che tante ore di macchina non mi fanno soffrire di allucinazioni la pubblico poi, altrimenti mi rovina la bellezza dell'altra. Ho riso fino alle lacrime e ho smesso di bestemmiare contro il sistema audio dell'auto, il cui software complicatissimo, è stato fatto da una ditta che odio e che risulta sempre, inutilmente, esasperatamente COMPLICATO! Chi mi conosce sa di chi parlo! Pork!
Baci, domani Vancouver. British Columbia, Oceano Pacifico: aspettatemi, che domani quando arrivo mi inginocchio e bacio la terra.
PS: Niki, grazie per i commenti. Smack!

venerdì 19 giugno 2009

BANFF 2

VOLTI CHE CAMBIANO

Per tutti i Santi del paradiso, le montagne sacre e gli scalatori appesi alla parete: perché la mia amata Ellen DeGeneres si è fatta il lifting? Perché? Datemi voi un motivi, ce ne deve essere almeno uno, no? Ora mi assomiglia in modo imbarazzante a Glenn Close, e non sono esattamente lo stesso tipo comico, vero? 

BANFF

Dunque. Ieri non ho scritto perché ero cotto come una scarpa nel deserto. Oggi vedo di recuperare perché le cose viste sono troppe e non voglio perderle.

Ieri mattina di buon ora abbiamo lasciato ED-MIO-TUO diretti a nord, nella zona petrolifera che gravita intorno ad un minuscolo paese che si chiama Fort McMurrey. Quattro ore e mezzo di macchina ad andare, altrettante per tornare. Destinazione un borgo che sorge in una vallata verdissima, alla conflueza di due fiumi, il cui centro si sviluppa lungo un'unica strada principale e solo per carità Cristina si potrebbe definire una città. Eppure, nello squallore di costruzioni senza senso e senza gusto estetico alcuno, con un infinità di plazas commerciali a destra e a sinistra della stessa strada, dove non mancano i marchi della grossa distribuzione nazionale e statunitense, questa è una delle città più ricche e produttive del Paese. Il petrolio muove tutto, compreso il benessere della popolazione, che vive in funzione delle corse al rialzo dell'oro nero. Su questo basa il suo benessere. Il petrolio di questa zona non si trova in forma liquida, ma in una poltiglia dove the oil si mischia con la sabbia. I costi di estrazione hanno costi altissimi, sia in termini economici che in termini di impatto ambientale, quindi si estrae solo quando il prezzo del barile è abbastanza alto da compensare i costi. Per estrarre bisogna riscaldare con il gas il sottosuolo, rendere morbida la poltiglia preziosa così da poterla risucchiare su, poi riscaldare di nuovo per separare la sabbia dal petrolio. Costi impensabili nei pozzi arabi, dove il petrolio sgorga in maniera naturale da trivellazioni umane. Quindi per avere l'epifania, bisogna che il petrolio costi tanto.
Prevedendo un nuovo rialzo del prezzo del greggio, verso la fine dell'anno circa trentamila persone saranno riassunte e la cittadina riprenderà un ciclo di vita prospero.

Ma la cosa interessante non è Fort McMurrey con la quale sono stato anche troppo generoso per non averla definita come l'ho vista io. Il bello è il viaggio che porta fino a lì: nelle prime due ore nella solitudine della campagna verdissima, poi le coltivazioni si fondono ai boschi e questi accompagnano la macchina per tutti gli ultimi 200 chilometri. La vista spazia grazie all'orizzonte che non ha fine. Le fattorie rarissime, hanno campi coltivati di estensioni ciclopiche. In lontananza le macchine agricole al lavoro. E fienili - ah, i fienili!, sono state loro le prime costruzioni di cui mi sono innamorato non appena messo piede in America! - con i loro tetti a spiovente, sono bianchi e rossi e hanno accanto una casetta linda e curata, nella maggior parte dei casi con un giardinetto fiorito all'imbocco della sterrata. Nei giardini sono parcheggiati solo enormi pick-up, e non sorprende la presenza di paletti di segnalazione di arresto degli scuola bus, per trascinare i piccoli rurali in scuole che non si scorgono mai dalla provinciale.
Ho avuto modo di vederla bene questa strada... Alla fine della nona ora di viaggio eravamo nuovamente a Edmonton.

Stamani invece mi sono fatto prelevare con la valigia nella hall dell'albergo: destinazione Calgary. Questa sì che si può definire "una citta".
Andando verso sud il panorama si apre su colline morbide e gigantesche. Anche qui agricoltura, ma anche tante mucche al pascolo, che assistono indifferenti al passaggio degli esseri umani inscatolati e velocizzati, sulla Queen Elisabeth II freeway.
Calgary è una bella città moderna che sorge in una collina alta e ripida, elegante e sorridente. Nella parte in alto la zona cinese, la città finanziaria e pure tanti condomini pieni di terrazze, indice che il freddo inverno canadese qui non colpisce in maniera drammatica. Mentre mia sorella lavorava ho fatto un giro per la 17th Ave, centro nevralgico della vita notturna e mangereccia della città, con tanti locali con tavoli all'aperto e tanta gente che approfittava del clima incredibilmente caldo e soleggiato.
Nel pomeriggio di nuovo in macchina, direzione ovest: in un'ora e mezzo si arriva ai primi contrafforti delle Montagne Rocciose. E qui mi si ferma il cuore. Dalla pianura lievemente ondeggiata si ergono d'improvviso, maestosi, questi picchi che hanno ancora su si se i residui della neve del passato inverno. Non voglio togliere nulla alle mie Alpi, ma queste sono un'altra cosa. Solo la repentinità con cui si staccano dalla pianura sottostante mozza il fiato. I racconti della conquista del selvaggio west, la corsa all'oro, l'immaginario dell'America di me bambino è tutta qui: attraversa questi picchi. So bene che molto probabilmente non sono esattamente questi, ma non posso fare a meno di ricordare immagini di capanne sommerse dalla neve, carovane di carri che d'estate si arrampicano sui passi ugualmente proibitivi; coperture di tela, bambini sballotati dall'ondeggiare dei carri, donne titaniche a tenere le redini del tiro.
Ci addentriamo in una valle che punta dritta verso la British Columbia e ci ritroviamo in un paesino alpino non appena tocchiamo Canmore: dopo Edmonton e Calgary si torna in una dimensione umana, quasi europea. La birra sorseggiata al tavolino con vista sui picchi delle "Three Sisters" non ha bisogno di commenti verbali: io e mia sorella ascoltiamo silenziosi con gli occhi fissi alle cime montuose. Non c'è altro da dire. Io sogno in grande passeggiate e scalate che non farò mai.
Poi altri pochi minuti di macchina per entrare nel Parco Nazionale che racchiude Banff, Lake Luoise, Jasper. Banff come Canmore è un paradiso terrestre, solo ancora più bello. L'aria è fresca ma confortevole, lo stile delle costruzione impeccabile, le salite non sono ripide. Sembra tutto più silenzioso. Invita alla meditazione a al trasferimento. Una visita di lavoro al gigantesco Banff Springs Hotel (costruito negli anni '20, a ferrovia Canadian Pacific ultimata, e che divenne subito un punto di riferimento per i modaioli dell'epoca), mi lascia intravedere la terrazza del bar che da sulle cime più belle. Lo stile è quello della fiaba, sembra il castello della Bella Addormentata nel Bosco, ma molto, molto più grande. La Guida Touring dichiara 825 camere e 68 suites unite nella struttura robusta di pietre scure e pinnacoli. Un sogno romantico nel mezzo delle Montagne Rocciose.
Sospiro e ripartiamo con la nostalgia stampata nel cuore per quello che ho avuto la fortuna di vedere e di stampare nella sim della macchina fotografica. Di nuovo in direzione di Calgary. Domani sud, poi il rientro a Ed-mio-tuo.
Buona notte. Qui è notte.

mercoledì 17 giugno 2009

EDMONTON


Ed-mon-ton. Ed-mio-tuo.
E ditemi voi: come si misura la grandezza di un territorio? In chilometri quadrati? Nelle ora di volo da una città all'altra all'interno degli stessi confini? O infine, contando i fusi orari che lo percorrono? Scegliete voi. Per me contano i fusi orari percorsi in ore di volo. Quindi contano pure le ore di volo.
Oggi tre ore e mezzo di volo e due fusi orari. Verso ovest. All'interno della stessa Nazione. Per uno come me che conosce i tempi di volo tra Milano e Palermo/Catania, un sorvolo gigantesco.
Atterrato nel più tranquillo e deserto aeroporto che abbia mai frequentato, ho avuto un assaggio della prateria di questa parte centrale del Canada che va fino ai picchi delle montagne rocciose. Chilometri e chilometri a perdita d'occhio, di terra piatta. Verde, verdissima, con alberi a segnalare boschi. Rilievi sul terreno. Poi all'improvviso il fiume North Saskatchewan, scava nel terreno dei canyons profondi che separano la pianura in colline e dalle colline: in una serie di queste sorge Edmonton. Una città ordinata con strade ordinate per numeri e rari nomi. Alberi ovunque, luce spettacolare che ci ha accompagnati fino ad oltre le 22. Il grande nord e la sua luce. Ed un numero esorbitante di centri commerciali.
Domani con l'inutilmente enorme macchina affittata, una specie di enorme scatolone metallico bicolore, procederemo per 4 ore verso nord, e sono eccitato. Voglio vedere altro. Non mi basta mai.
Stasera a cena mi è stato domandato se dopo 13 anni di volo nel lungo raggio non ne avessi abbastanza di posti nuovi. La risposta è no. Potrei dire, se solo lo volessi, che forse le novità mi fanno meno impressione, ma la voglia di riempire gli occhi con paesaggi nuovi non passa mai. Quindi non lo dico. Questo è il primo vero viaggio da anni, e voglio che mi attraversi come io attraverso lui ora per ora.

lunedì 15 giugno 2009

LAZY SUNDAY


In definitiva non c'era molto da fare ieri. Era domenica pure qui.
Risveglio lento, poi un po' di sole in veranda, la spesa domenicale e in lungo pranzo in famiglia che ha riunito due pasti. Altri acquisti il pomeriggio, perché qui i filtri per l'acqua convengono ancora rispetto all'Italia, poi cena, tv (the Matrix con un protagonista sempre più sorpreso e imbambolato), letture e nanna scomposta, a lottare contro il caldo e il cane che voleva posto nel lettone. I sogni in  questo periodo sono oscuri, movimentati e dimenticati subito. C'è come un eruzione in preparazione: prima o poi il magma di questi mesi di attesa e sconforto risalirà alla superficie e si avvierà lontano dalla falla che lo emette. A meno che non si concluda tutto con una infinita serie si loffe pestilenziali che eviterebbero lo sconquasso di un terremoto. Ma per chi sta intorno l'afflizione sarebbe la stessa. 
In chat un amico ritrovato grazie all'intrigo della rete, esita a confessarmi la sua fede politica in netto contrasto con i miei principii ed il mio modo di vivere, e mi fa sorridere. Come non capire che non c'è modo per noi di un incontro morale? Conosce fatti e situazioni, forse per questo inciampa in una buffa esitazione. Ma ad ognuno il suo, e tra una battuta e l'altra mi rendo conto che l'infiammazione che pervade il mio Paese è ormai fuori controllo antibiotico. Ma tant'è: ognuno sente ciò che sente e fa ciò che ritiene opportuno. Se non ferisce nessuno ne ha tutto il diritto.

Manca un giorno alla partenza verso il grande Ovest Canadese: mi aspettano 9 giorno tra aerei e posti sconosciuti, e forse darò un senso al distacco che cerco da quello che ho lasciato in Italia. Praterie e foreste faranno il miracolo? Fisicamente sono già laggiù, ma è la testa che sento ancora lontana da qui. Preparando la valigia dovrò cercare di tagliare fuori la vita di prima. Servirebbe un nuovo trolley, perché questo che trascino ha le ruote che stanno esalando l'ultimo respiro, ma il negozio che ne vende di belle ed abbordabili non è qui a due passi. Posso riuscire a non dimenticare la macchina fotografica, così da imprimere in cip quello che vedo con gli occhi: la freddezza dell'immagine aiuterà a rielaborare con obiettività quello che incontrerò.

Cena di compleanno a casa di mio nipote, nel prato del giardino: ho amato e ammirato l'innumerevole numero delle volte che la festeggiata, la moglie, ha ringraziato il marito per aver cucinato, organizzato e invitato. Non che i ringraziamento sia estraneo alla mia persona - a casa, fin da piccolo, sono stato educato a ringraziare che cucinava per me - ma il modo in cui il ringraziamento veniva porto mi ha colpito. C'era vera gratitudine, vero amore nel modo di porgere le parole. C'era il bisogno di non dare per scontato l'impegno che aveva portato alla preparazione della cena, che nella sua semplicità è risultata gustosa e abbondante. E' stato bello vederlo e chiedermi se riesco anche io a trasmettere quell'affetto quando qualcuno fa qualcosa per me.

In questi pochi giorni dall' arrivo mi ha accompagnato il cielo enorme, limpido, azzurro del nord del mondo. le nuvole sono panciute e dilatate, scorrono velocemente in aria. Galleggiano nel blu in un cielo che pare non avere confini e fondersi con la terra lontano lontano da dove mi trovo.

domenica 14 giugno 2009

GARAGE SALES

Dopo la prima grande dormita della notte, al risveglio ho pensato che fosse un po' presto per la colazione: 5,15 am. Infilati in bocca un paio di Oreo (gnam gnam!) sono andato a fare una passeggiata veloce nei dintorni. L'aria frizzante del mattino mi ha spinto a fare anche alcuni tratti di corsa per recuperare un po' di calore. Nelle strade dei dintorni il verde è predominante sugli altri colori: prati, alberi, giardini fioriti, boschetti che danno su torrenti. Il cielo è illuminato dalla luce limpidissima del nord che si sparge con generosità sulla pianura infinita dell'Ontario. Un paradiso terrestre in forma di sobborgo urbano, su cui affacciano casette singole, schiere e ville di una certa maestosità un po' ridicola, non costassero un mucchio di dollari canadesi. Un verde particolare, ricco, ricco come quello dei germogli di riso della Pianura Padana, ma diverso per intensità: un verde scuro e pieno dell' acqua depositata al suolo durante i lunghi inverni canadesi.
Un verde che conosco da anni che mi piace e che mi riempie il cuore di gratitudine.
Correndo e camminando ho visto il sobborgo risvegliarsi con lentezza al suono dei collari dei cani portati a passeggio, al cigolio delle scarpe degli anziani che procedevano a passo di marcia come me, a volte anche più veloci di me, al rumore delle poche auto che circolavano all'alba di un sabato per molti senza gli impegni del lavoro.
Una visita alla farmacia aperta 24h per procurarmi dentifricio e pane da tostare (non intendo fare a meno di pane-burro-marmellata neppure qui in vacanza) per la colazione. La cassiera ha rifiutato di controllare i miei documenti quando ha strisciato la carta di credito: ha detto che ho una faccia onesta e ciò le bastava. Necessitavo di un altro tipo di buongiorno? Direi di no. Quindi di volata verso casa, dove mi aspettava il tostapane.
Ma sulla porta non c'era il tostapane fumante, ma la mia amica Tina, con la quale avevo un appuntamento a me sconosciuto e che non si capacitava del perché non ero ancora pronto: oggi è sabato e il sabato primaverile o estivo è tempo di GARAGE SALES!!!!!!!
Una spiegazione pigmea per chi non conosce il modo nordamericano di sbarazzarsi degli oggetti in eccesso: tutto quello che non serve in casa, sia per eccesso di acquisti o per impossibilità di utilizzo, oppure per trasferimento, viene messo in vendita durante i fine settimana di bel tempo sull'asfalto che da sul garage a fianco alla porta di casa. Tutto può essere venduto: sci usati, vestiti di adulti e bambini fuori taglia, vasellame da tavola, lampade, bomboniere orrende, quadri raffiguranti la Regina in ogni sua età (questo è un paese che fa ancora parte del Commenwelth e che riconosce come Capo dello Stato la Regina Elisabetta II, che con il suo sorriso enigmatico fa capolino dai biglietti colorati dei dollari e delle monete), giochi da tavolo, attrezzi ginnici da casa, divani, lenzuola, televisori, videogiochi nuovi o da modernariato, soprammobili, sottobicchieri, memorabilia, occhiali da vista, orologi da tavolo o da polso, cd, dvd, video cassette, 33 giri, sveglie di Hallo Kitty, maniglie per mescere birra alla spina, libri e tutto quello che vi frulla per casa o per la testa. Nessun articolo coglie di sorpresa il visitatore di passaggio o il fanatico del rovistare nella spazzatura dei vicini. E a meno che non si tratti di articoli di un certo pregio, la maggior parte dei pezzi variano dai 50 centesimi di dollaro ai 2, massimo 3.
E se dalla mia descrizione vi venisse in mente che per la qualità degli oggetti in vendita, questi posti non siano frequentati, bene vi sbagliate.
Supportati da segnaletiche appropriate che vi guidano per le intricate stradine alberate o dalle mappe correlate alle inserzioni sui giornali, gruppi di clienti di ogni sesso, razza, condizione sociale, forniti di macchine o furgoncini, si precipitano sulle aiuole sei venditori al motto di prima arrivi, meglio compri. Oppure: quello che passa prima di te, può portare via quello che ti interessa.
I segreti dello shopping da garage sales non li conosco tutti, del resto si tratta di un'arte e l'arte si apprende anche con la pratica; ma alcuni la mia amica Tina me li ha rivelati, altri glieli ho rubati con l'osservazione.
Prima di tutto ci va un mezzo rifornito di carburante perché non si può perdere tempo a far benzina. Il bagagliaio va svuotato in precedenza per fare spazio ad articoli di una certa dimensione. La benzina deve esserci in abbondanza perché tra una visita e l'altra la macchina va lasciata accesa per consentire una partenza veloce verso il cortile vicino. A bordo è gradita una busta con la colazione che viene consumata tra uno stop e l'altro. Il caffè sarà preso solo alla fine del raid.
L'abbigliamento deve essere a strati per adattarsi alle temperature che si possono susseguire col passare delle ore. Obbligatorio un marsupio per tenere i soldi perché le mani devono essere libere di toccare e afferrare gli oggetti di interesse: abbandonarli sul tavolo in attesa di una decisione può portare fatalmente alla scomparsa dell'oggetto desiderato nelle mani di qualcun altro.
Il denaro deve essere in contanti di piccolo taglio: a volte attendere il resto comporta un ritardo che potrebbe rivelarsi fatale alla vista di altri cortili.
Se la vista fa difetto, è assolutamente obbligatorio indossare occhiali correttivi per essere in grado di leggere gli indirizzi sui cartelli rossi di segnalazione del mercatino che punteggiano le strade principale.
Non si parte con un'idea precisa di quello che si può trovare: la magia è lasciarsi trasportare dalla sorte, verso oggetti di cui non si sapeva di aver bisogno e che improvvisamente si scoprono indispensabili per la nostra vita.
E soprattutto, se la vendita parte alle 8 del mattino, vedi di essere lì alle 7 per prendere il meglio. Non bisogna sentirsi in difetto per l'anticipo: fanno tutti come te, e la caccia è una guerra.

Bene, Tina è una professionista di questo tipo di acquisti e lei stessa organizza delle vendite degli articoli comperati in eccesso per sé. Quando vengo in visita, mi preleva e mi porta con se, perché è inutile negarlo, la cosa mi diverte come un matto.
Non sapendo dell'appuntamento fissato per me mi sono tolto la tuta da corsa e senza neppure una doccia, mi sono rivestito alla meglio e mi sono precipitato fuori: forse è per questo che Tina non ha mai chiuso completamente i finestrini della macchina, pur essendo un discreto freddo. Ma "l'omo è omo, e ha da puzzà".
Siamo partiti e tra accelerazioni repentini, semafori che "non potevano" essere rispettati per non perdere tempo, ci siamo lanciati nella ricerca del pezzo unico, del capolavoro incompreso, del cristallo marcato, del piatto venduto ad un centesimo del suo valore al negozio, che solo lì si può rintracciare. Zompettando da un asfalto all'altro, tra casalinghe che trascinavano fuori casa scatoloni debordanti, signore indiane in sahri e cardigan, bambini che vendevano caffè e ciambelle al bordi del mercato, padroni di casa che assistevano all'assalto delle cavallette con occhio incredulo ("che cazzo se ne faranno di quelle porcherie") o in evidente tensione perché stavano rischiando di perdere l'orrendo tavolino da caffè fatto con una ruota di carro, memoria di un antico passato da scapolo, vicini che aspettavano con pazienza che venissero spostate le auto che gli impedivano di andare a fare compere in negozi veri, abbiamo passato un paio d'ore di vera, frenetica passione.
Bottino magro: un tavolino per sorreggere piante, una bottiglietta di vetro (probabilmente una vecchia bomboniera), due creme da corpo Victoria Secret acquistate in uno driveway votato alla beneficenza. Il tutto comprato da Tina.
Ne valeva la pena non avendo trovato niente per me? Certo che ne valeva la pena: non è forse lì che ho acquistato il mio primo ritratto della Regina che la raffigurava appena incoronata e una lanterna in ghisa orientaleggiate che ho prontamente regalato a mia sorella?
Stavolta è andata così, il prossimo sabato... Chi lo sa? Potrei sempre trovare qualcosa valevole del trasporto in Italia, no?
Alla fine delle due ore ci siamo consolati con un muffin ed un cappuccino, nel tepore di un piccolo caffè d'angolo.

sabato 13 giugno 2009

VIAGGIO

Comunque sono arrivato a destinazione: 9 ore e mezzo di volo non sono pesanti, neppure dopo le notizie di poche settimane fa che descrivevano terribili catastrofi.
Arrivato ma perplesso nel guardare le facce che mi circondavano: un aereo carico di persone brutte. Non che uno viaggi per vedere dei gran fighi, ma almeno.... il minimo richiesto, ecco.
Il viaggio è stato morbido, accompagnato dalla lettura della biografia della regina Elisabetta I: gran donna, grande condottiera, grande mistificatrice. Ho letto così tanto che a casa non ci potrei neppure pensare di leggere così a lungo, ma le ore vanno impegnate in qualche modo, o no? Actually ho pure visto un film dal mio computer (non voglio neppure aprire la polemica sulla qualità dei film che danno sull'unico schermo in cabina dei voli....), uno splendido film documentario sulla vita di Harvey Milk, gentilmente offerto dalla ditta McKenzie-Ghini.
All'aeroporto la faccia della mia minuscola pronipote che mi guardava con l'espressione di chi avrebbe voluto esprimere: "What's this?", mi ha catapultato in famiglia e negli orizzonti sconfinati di questa terra. Cielo. Spazio. Vita.