mercoledì 30 giugno 2010

VIA ORIONE




Nell'allegro condominio di via Orione la vita scorre felice, tra gli schiamazzi dei bambini, e loro allegri lanci di sassi, le loro interminabili partite a pallone che commuovono il mio convivente ed esasperano me, i loro giudizi inattaccabili e gli strepiti dei genitori che cercano di contenerli, quando lo fanno...

E' eccitante tornare a vivere in comunità così espanse dopo anni di vita in palazzina con pochi partecipanti al gioco di società del vivere a stretto contatto. Che le mie vicine di Arezzo mi sembrano adesso un caso eclatante di vita vissuta in comunità, con i loro litigi in quadrifonia che nulla lasciano al dubbio. Oppure la mamma di Carlo, il bebè dirimpettaio, mi pare un caso umano di condivisione dell'intima gioia di diventare mamma.

Qui invece si può essere fermati dalla bambina saputella che al rientro da una giornata di lavoro fatta di 11 ore di servizio, dichiara che la mia divisa non è molto bella. Credo che mi abbia scambiato per un poliziotto, anche se il berretto io lo etto solo all'imbarco e allo sbarco dei passeggeri. Non chiarisco, perché dopo una giornata di lavoro io mordo e la pazienza l'ho data tutta ai passeggeri.

Oppure si può essere cullati nel prendere sonno dal rumore delle natiche del vicino che producono un rumore inconfondibile strusciando nella vasca da bagno all'una di notte.

In alternativa si potrebbe consigliare di chiudere le finestre del bagno di casa se si devono emettere rumori "flautolenti" e pervicacemente sonori: le pareti della corte interna portano i suoni all'espansione e me al riso convulso.

Affacciandosi alla finestra dal lato della cucina, nelle notti di silenzio profondo campagnolo, si può sentire lo sfrigolio dei cavi del condotto dell'alta tensione che scorre tra i due lotti abitativi.

E se questo non basta potrei aggiungere che ad un mese dall'occupazione autorizzata di questa casa ancora devo fare le presentazione ufficiali con i miei dirimpettai, che pare si nascondano ogni volta che metto il naso fuori casa. So che il capo-famiglia fa il taxista e uno dei figli mi ha beccato per le scale il primissimo giorno di permanenza qui. Poi il deserto dei tartari. Mah. Dev'essere la paura dello straniero. E l'assoluto disinteresse al fattore umano.


domenica 27 giugno 2010

CERTOSA DI PAVIA


Mentre stiamo scendendo verso Linate, il comandante mi chiama in cabina di pilotaggio per farmi ammirare dall'alto la Certosa di Pavia. Mi chiede se ci sono stato. Dico di no, ma lo spettacolo è spettacolare, quindi il primo giorno libero dal lavoro mi armo di macchina e ci vado.

Il luogo e' certamente silenzioso: minacciosi cartelli avvertono che il silenzio dev'essere assoluto. Accompagna la visita il ronzio delle mosche ed il lento procedere nella fresca oscurità degli sparsi visitatori. Si sa: durante l'estate le chiese offrono asilo e refrigerio anche a chi di chese sa ben poco. La ricchezza del luogo sta nei marmi e nelle zanzare, intrambi istoriati e istorianti, provvisti dell'eleganza dell'abbondanza; da una parte Ludovico il Moro adagiato sul letto di morte accanto alla sua Beatrice Este - una signora che ci mostra come la moda dell'epoca prevedesse le zeppe per le più bassine -; dall'altre cosce e braccia di visitatori a frotte a sopperire all'ostinazione dei monaci cistercensi nell'indossare enormi sai bianchi con fasce nere.
C'è caldo fuori, mi dilungo nella visita forse oltre il dovuto, ma l'idea di rimettermi in strada, nel traffico del venerdì di fuga dalla città, mi fa un po' impressione. Allora seguo le svirgole di marmi, le false finestre da cui si affacciano falsi monaci a controllare i visitatori, i tabernacoli in marmo cosi' raffinati da parer d'avorio, il giovane annoiato lasciato di guardia al coro ligneo che sogna una partita di pallone, il corpo di marmo del Battista che nei secoli di rappresentazioni non ha mai perso un'erotica movenza.
Le pareti dipinte non attirano lo sguardo, meglio il soffitto stellato.
Mi faccio coraggio. Fuori il sole a picco appiattisce le forme ma non riesce a sfumare la leggidria del lavoro dell'uomo. La facciata bianca e quadrata attira lo sguardo fino a portarti a guardare il cielo. Ancora marmo bianco, ancora il Battista ed il tripudio dei Santi. Cammino lungo il muro ed i mattoni rimandano il calore accumulato durante il giorno. Arrivo al piccolo shop dove i prodotti sono cistercensi ma potrebbero arrivare da Camaldoli come dalla Verna. Unica differenza il sacco di riso carnarli, carissimo tra l'altro, che non posso non comprare. Ah, le gabelle del viaggiatore; questo insano desiderio di portate con se un pezzo, anche il più prosaico, del luogo visitato. In fondo come non pensare che il riso costa molto meno al supermercato? Sì, ma quello lì è quello prodotto dalla comunità dei monaci, quindi vale la pena.
Mi serve un'anziano monaco si colore, le rughe eterne impalcate sul colletto del saio. Tremo all'emissione dello scontrino: azzeccherà i tasti giusti? Lo fa e con sovrana lentezza incarta le saponette che ho preso con il riso. Non avevo bisogno di altra carta, ma quando gli chiedo di lasciarle al naturale o fa finta di non sentire, o ha ormai messo in moto il meccanismo dell'incarto, che nella lentezza eterna non riesce più a fermare.
Esco e trovo ad accogliermi lo stridore della voce di una nonna che, devo presumere, accompagna un nipote sordo. Se non lo è ora lo diventerà a quel ritmo di decibel... Mi siedo a scrivere all'ombra degli alberi ripensando a tutte le foto che non ho potuto fare a rispetto del divieto esposto. Luoghi di libertà queste Certose... Per le zanzare.
E mi prendo un caffè.


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lunedì 21 giugno 2010

AFTER THE ROYAL MATRIMONIO


Nella hall dell'hotel di Palermo, aspetto che si facciano le dodici, quasi le tredici, per risalire sul bus e cominciare a svolazzare per l'Europa come una pallina impazzita di flipper: da Palermo a Milano, da Milano ad Amsterdam - devo controllare se Sua Maestà la Regina è rientrata sana e salva a casa dal ricevimento di nozze - e ritorno.
Ieri sera è stata fatta una visita, con Pippo, a piazza Marina. Vista la lunga permanenza in loco Pippo è sceso qui e insieme ci siamo concessi una cena all'aperto prima del diluvio universale.
La piazza è un grande spazio con al centro un giardino di ficus ENORMI, palazzi nobili simili a castelli arabi, e meno nobili d'abitazione tutt'intorno, che la sera si anima di ristorantini e di gente. La movida gay si svolge non lontano ma non l'abbiamo neppure sfiorata.
Oltre ai ficus, nella piazza di enorme ci sono le portare ai ristoranti, le code per entrarvi e, un tempo, la targa che ricordava come in quel luogo fosse stato ucciso Joe Petrosino, venuto dagli Stati Uniti per cercare di srotolare il bandolo della subdola matassa "mafia", e fatto fuori a pistolettate in mezzo a quel giardino. Ora la targa non l'abbiamo trovata, forse un po' accecati dal buio e dalle luci dei locali, forse divelta dai lavori di sistemazione del giardino. Spero che la rimettano su.

La passeggiata è proseguita poi nei dintorni, tra le magnifiche cancellate in ferro battuto che circondano chiese e palazzi e che la notte acquistano una dignità e una bellezza che di giorno viene offuscata dall'incuria di cui soffrono. La notte, si sa, nasconde i difetti ed esalta le forme dell'anima della materia. Quella del ferro invecchiato mi affascina parecchio: delicato e pesante, elegante e ostruttivo vive le migliaia di forme della sua vita sotto gli occhi indifferenti di chi della materia vede solo l'utilità.

Lunga passeggiata anche al ritorno con tanto di alluvione, lo dicevo, in fase di arrivo. Siamo arrivati in camera zuppi. Ancora ho i pantaloni bagnati e a colazione sono dovuto scendere in corto, che non mi piace mai a meno che l'albergo non sia in riva al mare. Ma prima abbiano sfiorato il porto con le sue enormi navi in attesa del giorno dopo per la partenza e la grandi gru a penzoloni nel vuoto.
Buona giornata a tutti.

sabato 19 giugno 2010

REALI


Sono ad Alghero, il tempo non è da andare in spiaggia e poi son così stanco che rimanere sul letto è una incedibile figata.

Nel televisore dell'hotel scorrono le immagini satellitari di un matrimonio di una qualche principessa nord europea, non so chi sia, ma è bella, con un bel moro occhialuto che alla fine si commuove. Ma si sa, lei è di sangue reale, lui di lacrima facile, no. Lei ha qualcosa come quattro nomi tra cui Victoria Ingrid Alice Désirée, che lui non sa neppure pronunciare bene... E va bene, ma un piccolo sforzo per andare sul satellite lo poteva fare, no?

In internet scopro che si tratta della Principessa ereditaria Vittoria di Svezia, figlia di Carlo XVI Gustavo di Svezia e di Daniel Westling, proprietario di palestra e suo personal trainer...

Celebrano in quattro: tre uomini ed una donna. Il Santo Papa avrà appena avuto un travaso di bile. La chiesa è piccola, niente di villano ed enorme, lo sfarzo sta nelle musiche orchestrali e nell'impeccabile esecuzione del coro.

Ai lati degli sposi fiori e teste coronate del Nord Europa ed uno sfavillio di pietre preziose da impressionare Cartier. Ammesso che da Cartier esista qualcosa che riesca ancora ad impressionarli. Riconosco la Regina di Danimarca, inconfondibile in verde, lungo e con chilometri di stoffa, la Regina Beatrice d'Olanda - stamani ero in transito a Amsterdam - senza marito, il Re e la Regina del Belgio, la Regina di Spagna senza marito, Alberto di Monaco con a fianco una cosa secca che spero non sia la sua fidanzata e poi mi perdo. Ce n'è una di teste così coronata che la bella signora che ne sta sotto pare la statua della Libertà a Liberty Island.

Insomma tutte quelle Monarchie semplici che andando in bicicletta e conducendo uno stile sobrio e vicino al popolo pare riescano a sopravvivere nel cuore dei loro sudditi senza troppi traumi dovuti all'incauto arrivo dei tempi moderni, più qualcuno che semplice non è e che ce la fa comunque, altri che arrancano un po'.

Fuori dalla chiesa, che da su una stradina stretta stretta e non su una piazza chilometrica come quelle generalmente usate dai regnanti in vena si sfarzo, una galleria di spade dell'esercito aspetta gli sposi. Qualcuno degli spadaccini ride.

Il popolo sta più lontano, dove c'è spazio e segue la cerimonia sui grandi schermi.

Ecco che all'esterno della chiesa arriva la carrozza per caricare gli sposi: scendono le scale, lo strascico dell'abito di lei sollevato dai paggetti, sale prima lui, poi lei con tutte le sue stoffe.

Giro turistico in carrozza comprensivo di viaggetto in barca solo per gli sposini, a presentarsi ai sudditi, tra ali di gente in attesa e esercito schierato. Ho pietà per gli agenti dei servizi che seguono la carrozza correndole a fianco.

Lui saluta sbracciandosi un po' troppo, lei con un garbato sventolio di mano teso a nascondere un qualunque cedimento della pelle del braccio. Hanno bei denti, son molto belli mentre sorridono.

Scendono dalla carrozza e salgono su un barcone blù, bianco e dorato, bellissimo, degno delle navi di Sua Maestà il re di Thailandia. Con tanto di rematori all'opera.

Poi a mangiare. Ammessi che ce la facciano a mangiare con quei pochi millimetri di "comporto" che stanno tra pelle e vestiti cuciti addosso.

Un'inquadratura presa verso un balcone reale mostra le teste coronate che già bevono e mangiano in piedi in un bel salone. Con la bocca piena, ma con tanta, tanta eleganza...

Intanto lungo il percorso di presentazione degli sposi belle pizze di sterco dei cavalli sul selciato, ricordano che le bestie se c'è da sollevare la coda per liberarsi, non guardano in faccia a nessuno, neppure ai regnanti. Presenti o futuri.


Domanda: i due sposini avranno arredato l'alcova - Palazzo Haga, costruito nel 1802, nella periferia si Stoccolma con mobili Ikea, oppure quelle cose ce le spediscono solo a noi che abbocchiamo a tutto, soprattutto da quando i nostri mobilieri ci fanno prezzi inarrivabili per qualunque pezzo di compensato verniciato?

Spero per loro di sì. Sono così carini che se li meritano.


Un dubbio m'assale: ma la mia pronipote che si chiama Victoria Alice, ha avuto il nome in suo onore? Mi viene da svenire all'idea.



Provo a spiegare la questione della crocchia del post precedente dall'Iran.

Dunque: immaginate di farvi crescere i capelli molto lunghi e con questi costruirvi un'impalcatura/crocchia che prolunghi il cranio nella sua parte posteriore, e che con questo accrocco la vostra testa vista di profilo assomigli ad un triangolo appoggiato su un angolo, che punti verso il dietro. Ora appoggiate il foulard d'ordinanza sull'attacco della crocchia così da avere la testa scoperta, ma il foulard in capo. Tutto qua. Non so se sono stato chiaro, ma le ragazzine girano tutte così.

Alla fine del volo di rientro si è ripetuto il miracolo dell'apparizione delle teste: la maggior parte delle signore, salite a bordo a testa coperta, sono sbarcate con le chiome al vento. Bellissime, come sempre.


L'ultima sera siamo stati a mangiare ad un fast food locale, una specie di KFC. Era in corso una festa di compleanno. La festeggiata una ragazza, le invitate solo ragazze. Ad un paio di tavoli di distanza un paio di ragazzi della stessa età che assistevano ammirati, come se facessero parte del gruppo ma non potessero unirsi. Che le feste pubbliche non possano essere miste ma mono-genere?

Quelle tristesse!


domenica 13 giugno 2010

DA QUI


Siamo arrivati a Teheran ieri notte consolati, rassicurati da un bollettino del Ministero degli Esteri italiano che invitava gli stranieri a rimanere serrati in camera senza mettere il naso fuori dalla zona dell'albergo riservata agli stranieri.

Motivo le manifestazioni di piazza, che poi si sono rivelate anche violente, durante il primo anniversario delle conteste elezioni dell'attuale Presidente del Paese. La paura era che la folla se la prendesse con gli stranieri per la ferma condanna da parte dell'occidente alla politica di espansione nucleare di questa amministrazione.

Risultato non ci siamo mossi dalla sezione dell'ottavo piano a noi riservata, facendo room service a prezzi strepitosi e annoiandoci a morte, a parte le felici conversazioni tra di noi. La TV non è mai stata il mio passatempo preferito, quindi ho letto parecchio. C'è proprio una porta che divide il piano dell'hotel in due zone separate e su quella che porta c'è un cartello che la riserva a noi e ne vieta l'ingresso ad altri... Abbiamo altresì coperto che la piscina c'è ma non è utilizzabile in quanto svuotata e la palestra è riservata due giorni alla settimana alle donne e cinque agli uomini. Naturalmente con un orario ridotto per le donne che devono andare a casa prima che faccia buio.

Oggi invece, esasperati dalla noia, abbiamo scafandrato la collega con una sciarpa sulla testa ed un cappottino che ne coprisse le forme e ci siamo gettati all'avventura. Il che significa che ci siamo fatti una passeggiata fino ad un bazar che ci era stato consigliato con una temperatura che sfiorava i trenta gradi. Poveretta, non so come ha fatto a resistere a tutta quell'impalcatura che doveva trascinarsi dietro. Per gli uomini, come sempre, è più facile.

La regola, se l'ho capita bene, consiste nel coprire la testa e coprire le forme del corpo. La cosa più semplice da indossare sarebbe un sacco, ma l'ostinazione e la vitalità della popolazione femminile di questa capitale ha fatto i suoi adattamenti. Tutte indistintamente, tutte le donne coprono il capo e la maggior parte usa un foulard. Per allontanare il più possibile dalla faccia il tessuto, costruiscono delle enormi crocchie sul dietro della nuca, sulle quali fanno scivolare il fazzoletto che piano piano arretra fino a coprire solo la crocchia. La testa è coperta ma nello stesso tempo è scoperta.

Per il corpo indossano tutte indistintamente un grembiule nero che non arriva a coprire le ginocchia e che a forza di cunei e cuciture mostra senza mostrare, la linea dei fianchi e della vita. Quindi sono insaccate ma non lo sono nella realtà. Il nero aiuta a dissimulare, ecco perché non si vedono in giro altri colori per questi soprabiti, ed i pochi bianchi, gialli, beige che circolano sono realmente dei sacchi lunghi quasi alle caviglie. Ma da lì escono strepitosi tacchi a spillo.

Le gambe sono rigorosamente coperte da pantaloni più o meno attillati, le scarpe hanno tacchi e le unghie che sporgono sono laccate.

Di necessità virtù. Non potendo esporre la mercanzia, queste ragazze puntano sul volto e sugli occhi. Quindi non ci sono sopracciglia che non abbiano subito un qualche ritocco da pinzetta o dal tatooatore. I nasi sono spesso rimodellati ed il trucco ed i profumi onnipresenti. Le unghie, se visibile, perché tra le varie versioni di occultameto c'è pure quella dei guanti in cotone bianco, curatissime.

Insomma un popolo femminile in qualche modo non domato dal regime e che fa bene al cuore vedere così vitale. Certo qui ancora una donna può ancora uscire di casa senza essere accompagnata da un familiare maschio come invece succede in Afganistan, ma la voglia di vedere quante di loro si abbiglierebbero in tal modo se non costrette stimola la curiosità.


Gli uomini invece son sempre uguali. Indifferenti a tutto, allo straniero di sicuro, alle straniere un po' meno, tanto che ho visto numerose occhiate scivolare sulla micro scollatura della collega quando si è aperta il soprabito per poter resistere al caldo. Alcuni belli, certo meno numerosi delle bellissime donne, molti un po' caprigni.

Tutti però, indistintamente GENTILI.

Vediamo domani se facciamo ancora un giro.


venerdì 4 giugno 2010

FRULLATORE EMOZIONALE DI PARTICELLE


Scusate il ritardo, ma l'autobus per Milano ci ha messo giorni a passare alla fermata, farmi salire a bordo e portarmi a destinazione. Un viaggio che, come tutti i viaggi, è iniziato contro corrente: via Roma. Da sud a nord, via sud...

Roma, che praticamente non ho visto, mi ha ospitato per quattro giorni di corso di rientro nelle mie vecchie funzioni pre-CIGS, che si sono inevitabilmente trasformati in un frullatore di nozioni e sensazioni. Risultato? Herpes labiale di dimensioni bibliche. Il corpo ha una strana forma di combattere e portare in superficie lo stresssssssss: ad uguale stressssssss da uguale risultato, così mi sono ritrovato con le labbra bruciate dal virus esattamente come ormai diciotto anni fa quando affrontai per la prima volta questo tipo di esperienza. Che culo! Anzi: "Fantastico!", come il bon ton della famosa barzelletta vorrebbe si dicesse in luogo di " 'Sti cazzi!".


Finito il corso una puntatina a casa per organizzare le valigie, un altro ritorno a Roma per la firma del contratto, ed una corsa a fari spenti nella notte verso Milano per prendere servizio a Malpensa alle sei del mattino successivo. Con tanto di deviazione da autostrada a statale della CISA per aggirare un blocco sugli Appennini causato da un incidente. Ed infine il lavoro.

Ora, seduto sul divano della casa presa in affitto con il mio compagno di corso, di prima stagione lavorativa e prima casa nel 1995 - a volte ritornano, dice Stephen King - , guardo indietro e provo pochissime emozioni. Il ritorno al volo mi ha reso felice ma non mi ha provocato nessuna particolare emozione. Se devo dare una descrizone di quello che ho sentito dico... NULLA. Non un nulla da leggere in maniera negativa, ma un nulla da comparare alla sensazione che quest'anno e mezzo di black out lavorativo non fosse mai esistito. La naturalezza dei luoghi - angusti -, la familiarità con rumori, situazioni, persone e accadienti ha fatto sì che non provassi la gioia che mi aspettavo.

Il che è comunque stato positivo perché la mole di lavoro che mi è piovuta addosso fin dal primo giorno era tale che avrei potuto sopportarla solo se avessi provato familiarità e un sano distacco dal vortice di cose, rumori, persone e accadimenti. Così è stato infatti. Ho fatto tutto quello che dovevo fare con la consapevolezza di avere gli strumenti per saperlo fare.

E proprio questa è stata l'unica novità, perché in vita mia mai mi sono sentito all'altezza, anche se ci hanno provato in tutti i modi e in tutte le salse a farmi capire che lo ero. Me lo hanno pure detto in faccia, ma io ho ripetutamente chiuso gli occhi.

Adesso ho questi due giorni di riposo e cerco di rimettere apposto questa casa e le sue cose perché dovrò viverla abbastanza e io odio lo sporco e il disordine. Spero che lei, la casa intendo, non opponga una troppo fiera resistenza.