giovedì 22 settembre 2011

FINITO UN ALTRO PAVESE

industriadelturismo.com


Leggo Pavese e a volte mi rendo conto di farlo solo..., anzi ANCHE, perché parla di Torino. Nomina strade, luoghi che fanno parte anche della mia memoria. Luoghi che ho... Amato? Odiato? Sfiorato?
Non lo so. Certamente li ho vissuti appieno.

Una volta scrissi una serie di pensieri: occupavano una cinquantina di pagine e donai queste pagine alla persona che divideva con me la vita e per la quale mi ero trasferito a Torino, pur lavorando io, prima e Roma poi a Milano. Scrivevo di quella città e delle altre che incontravo lavorando in giro per il mondo. Come a lasciare un filo di me e del mio vissuto a chi con me non poteva esserci e a volte ne sentiva la difficoltà.
Scrivevo che quella città mi era sembrata appartenermi poco, che troppo spesso mi era sembrato di viverla come un turista di passaggio veloce. Avvertivo la necessità di viverla con maggiore intensità, pienezza. Di fondermi nei suoi viali, nelle sue luci violente e prealpine, come in quelle, rare, nebbiose.

Non che non ci fossero i cieli grigi della pianura Padana. Ma erano molto meno frequenti di quello che pensano coloro che non la conoscono.
Ricordo intere giornate passate ad assaporare un inverno di una luminosità cristallina.
Altre a provare a riempire una vita che non voleva saperne di essere satolla.

Non vivo lì da anni, undici e più e adesso mi rendo conto di quanto invece quella città mi sia dentro. Di quanto faccia parte di me. E quelle parole scritte al momento che parlavano di estraneità, siano invece da rivedere, riconsiderare.

Non vivo più lì da anni, ormai. Ma ancora mi chiedo come sarebbe andata se lì fossi rimasto e lì avessi acquistato quell'attico con l'enorme terrazza che guardava le montagne in via Asinari di Bernazzo che non presi per quella musica assordante che si sentiva arrivare dall'appartamento vicino, la mattina che lo andai a rivedere per prendere la decisione finale. Cercavo una casa e nel gergo locale mi venivano proposti "alloggi"... Palchetti invece di parquet...

Ritrovo molto di questo in Pavese, se escludo il gap degli anni che ci dividono. Una certa ingenuità di quei luoghi che lui ha saputo descrivere e che io vivevo e apprezzavo.
Quando ripasserò da Torino, mi fermerò qualche istante a ringraziarlo davanti all'Hotel Roma.


martedì 20 settembre 2011

TERMINARE


L'arrivo del freddo porta con sé un po' malinconia. E' quasi da bastardi dirlo, ma ora abituarmi a questo cambiamento climatico mi fa tristezza. Non sopportavo più il caldo, lo confesso, mi aveva anestetizzato alle emozioni, ma oggi mi sento un po' un automa. Allora ho deciso di fare qualcosa di estremo.
E l'ho fatto, lo confesso.  Ho preso il coraggio a due mani e l'ho ucciso. Il lievito naturale, naturalmente. La pasta madre.   Lo dovevo accudire come un bimbo. Cambiare ogni tre giorni la farina, oppure usarlo d'obbligo. Ed era solo un lievito, non un bimbo.  E' stato un compagno di viaggio e l'ho portarlo con me in vacanza nascosto dentro la valigia in stiva, che in cabina non me lo facevano portare. Ha visitato frigoriferi di altri, e ha fatto amicizia con pietanze sconosciute ai più.  Ho dovuto fare attenzione che non s'inacidisse come una vecchia padrona che viene contraddetta, se stava troppo al caldo, o non "cresceva" per il troppo freddo, dal momento in cui mi è stato donato come una cosa preziosa. E in realtà lo era...  Peccato per lui. L'ho amato ed usato fino a che non mi è venuti sulle palle: le focacce ed il pane fatti con lui erano una rogna di programmazione, ma erano buoni ed aciduli come si conviene.
Poi ho scoperto che non l'usavo più. Era finito un feeling. Troppo pane mangiavo se lo mettevo in forno. Troppo spesso buttavo via farina solo per mantenerlo vivo.
Quindi l'ho terminato dentro il sacchetto dell'umido.

domenica 4 settembre 2011

FESTA AL PONTE

32° Festa del Vecchio Ponte. Ponte alla Chiassa. AR.

Il sabato sera invece della discoteca. Casino sovrumano di voci che rimbombano sotto la tettoia. Urla per sovrastare il casino altrui. Ulteriore casino che si crea.
Più che i volumi assordano le frequenze sonore. Ci trasformiamo tutti in soprano per sostenere una conversazione. Le mamme spingono i passeggini avanti, comunque avanti, sugli stinchi e le caviglie altrui come se guidassero rompighiaccio. Le nonne accaparrano posti alle tavolate impiegando ogni pezzo disponibile di abbigliamento in sovrappiù: pare che partano armate di guardaroba mezza stagione alla bisogna e le vedi lì, solitarie, l'aria incarognita da cane da guardia, sole tra un mare di sedie vuote e facce altrui altrettanto incarognite che vorrebbero quei posti. I più spiritosi chiedono se le persone che le occuperanno sono ancora a casa.
Ma le feste popolari sono anche questo. Poche storie.
In compenso la coda alla cassa si snoda veloce ed in dieci minuti siamo seduti. I maccheroni al sugo (ragù) sono da paura, giusti in tutto: unto, sale, aromi, carne, spessore e ruvidezza della pasta.

Il costoliccio (il custoliccio) è eccellente. Le salsicce (i rocchi) un po' salatine ma si può fare. Il vino rosso sincero, anche se un po' "vinoso" e si taglia col coltello.
Scelta tra due torte: buone. Ci rinuncio. Le porzioni di tutte le portate sono tutt'altro che nouvelle cuisine... E c'ho un'età.
La lingua parlata cambia radicalmente appena passate le mura. Non che in città si parli meglio, ben inteso. Ma certe raffinatezze si notano solo qui. A riprova i vicini commensali urlano che una tal signora è: "altalocata"...
Del resto si parla di "signora", quindi donna, quindi ci va il femminile di alta. Non il maschile di alto.
Poi va via la luce.

Salta la festa danzante, la corrente alle casse per le ordinazioni e la nostra festa finisce al bar per prendere il caffè.
A casa un sorso di amaro di Camaldoli funge da idraulico liquido. Ci va tutto.

giovedì 1 settembre 2011

L'AMARISSIMO





Al mare, in spiaggia, sotto l'ombrellone.

Il lusso di stare sdraiato su un lettino di alluminio e plastica, non viene intaccato dalla troppa vicinanza degli altri obrelloni: sono a distanza fisica di sicurezza e poco popolati.

Per non incorrere nella calca da corpi stesi al sole bisogna fare qualche metro in più e spingersi all'estremità della cittadina balneare adriatica, dove il bagno "L'Amarissimo" ha scelto di offrire ai bagnanti una bella distanza tra un ombrellone e l'altro. C'è pure una zona VIP più costosa dove le distanze sono addirittura raddoppiate, ma non ce n'è necessità: la fine del mese di agosto aiuta la desertificazione con il suo naturale controesodo.

L'acqua non è calma: è piatta; la sera gruppi di signore allineate e piegate come mondine andranno alla ricerca di telline e cannolicchi in una bassa marea che si fa un baffo della profondità marine. Un rito a cui, confesso, partecipavo ad ogni bassa marea dell'infanzia, a procacciar molluschi per gli spaghetti dei miei mentre io stavo rigorosamente sul burro.

Resto steso e immobile a leggere. A volte mi fermo, chiudo il libro e mi faccio raccontare le vite delle vicine di ombrellone riunite a gruppetti di cinque, sei. Le storie, urlate a volumi e cadenze emiliane, son sempre quelle e trattano di famiglia, nipoti e divismi televisivo. La politica viene sfiorata solo per l'argomento "tasse", nota dolente per i proprietari di una seconda casa...
Così s'impara in breve tempo chi sia nonna e di quanti nipotini;
quantità e qualità umane ed economiche dei generi ufficiali, presunti o futuri - e qui le preferenze e le antipatie saltano all'occhio;
quanto siano buoni i rapporti familiari, economici e lavorativi di TUTTA la famiglia;
se le bagnanti sono proprietarie o meno degli alloggi che le accolgono al mare, come sono i vicini marinari o quelli cittadini e le piccole pesti che hanno deciso di allevare per figlioli: "Che quella volta che gliel'ho salvato che stava su in piedi sulla balaustra del terrazzino, manco grazie mi han detto!";
quante suocere siano ancora in vita e quanto siano amate, dove fanno le ferie, NATURALMENTE NON LI', e cosa lasceranno o hanno lasciato ai figli;
ricette di cucina varie ed eventuali, sparate in faccia alle vicine a colpi di bassa considerazione per l'abilità ai fornelli di chiunque altro non siano loro stesse.

Così se mi assopisco, posso davvero pensare che questi trent'anni non siano mai passati e tra le tante voci che sento c'è pure quella di mia madre, risucchiata NON suo malgrado, da questa comunità che si forma nei bagni a colpi di permanenze di quindici, trenta giorni. Se fossi ancora un bimbo sarei a dormire sulla sabbia all'ombra di una sdraio - allora i lettini erano un lusso futuribile - infatti alla fine mi ci lascio scivolare tra una pennichella indotta e l'altra, tra un chiacchiericcio e l'altro.

Pips, che non è cresciuto d'estate tra piadine e fritture di pesce, trova lo stesso chiacchiericcio irritante. Io ne vengo cullato e alla fine leggo pochissimo perché sonnecchio rassicurato.

Puoi pensare di aver scordato, ma dal profondo certe voci, conversazioni, luoghi dell'infanzia riaffiorano e si fanno beffe del nuovo che pretendi di far diventare l'unica realtà.
Ti dimentichi, in pratica, di quali erano le tue abitudini, ma è certo che prima o poi queste tireranno fuori le loro zampette pelose e verranno a farti sorridere di te stesso e della tua supponenza.

O più semplicemente ti dimentichi, e basta.