martedì 20 dicembre 2016

FACCIAMO COSE SBAGLIATE

Non fare 
cose sbagliate
mantiene 
il lobo frontale
piccolo come 
un'uvetta.
RUBATOdalfrigodiun'amica


Mi sono domandato spesso in questi giorni quanto il mondo che mi circonda abbia bisogno della mia sincerità. Dopo un rapido sondaggio ho raggiunto una certezza che dice: per niente, si vive benissimo anche senza... Forse addirittura meglio.

Perché dico questo e mi pongo la domanda: perché dopo aver passato la vita fin qui vissuta a cercare la forza di dire sempre quello che penso anche di fronte alle persone che mi mettono in imbarazzo, anche nelle situazioni che potrebbero nuocermi, anche quando la mia educazione repressiva urlava che me ne dovevo stare zitto ed in silenzio, perché tanto della mia opinione non gliene fregava una emerita cippa a nessuno, ora mi rendo conto che tutto quel tacere può essere una benedizione.

Come l'ho constatato? L'ho letto meglio occhi delle persone alle quali ho detto, sparato quello che pensavo su un qualunque argomento che li riguardava direttamente L'ho sentito nei loro silenzi tra una frase e l'altra che, dopo il mio intervento, duravano un istante di più del normale. Nella loro difficoltà di riprendere a seguire il discorso come se avessero subito un attacco fisico.
Ho avvertito lo sconquasso mentre il mio ego esultava per l'esercizio della propria libertà.

Mi sono allora chiesto a chi serviva tutta questa capacità di esercitare la sincerità che tanto mi sono vantato di aver raggiunto.
Appunto, serviva a me.
La scusa di migliorare il mondo attraverso la VERITÀ, era un assunto che mi era servita per uscire a navigare al largo di sera, scavalcando la vecchia catena che chiudeva l'accesso al porto, ed acquisire una libertà rispetto al mondo che mi intimoriva e relegava.
Ma una volta raggiungo l'obiettivo di cavalcare le onde in piena libertà, di saper resistere allo sconquasso della paura di esprimere la mia opinione, una volta raggiunto quello venivo a scoprire che la manovra da fare era quella di invertire la rotta e tornare a casa. Stavolta però conscio di saper affrontare il mare.

Non faccio un elenco delle verità che ho saputo dire perché alcune sono così riservate che certo non le vado a scrivere su un blog. Basti dire che come ogni persona adulta ho imparato a dire il mio nome senza vergognarmene, ho imparato a stringere la mano offrendo il palmo aperto.
Prima di questo c'è voluto del buono a riuscire ad affermare chi ci fosse dietro quel nome e quella mano.
Passata la prima burrasca tutto sembra più facile, è indubbio.
Carico di quella giustificata fierezza, ho esercitato l'attitudine senza fermarmi, fino a trasformare l'orgoglio in arroganza.
Il segnale d'allarme è arrivato quando ho visto che le parole diventavano giudizi, e chi ne faceva le spese erano le persone che frequentavo e dichiaravo di apprezzare e che, assolutamente senza averlo richiesto, venivano allagato dall'ondata della MIA verità.
Si può sempre chiedere scusa, ma la corrente del sentirsi nel giusto, trascina lontano dalla compassione verso se stessi.

Ecco perché mi son fermato e mi son fatto la domanda:
ma chi ti racconta le proprie cose intime vuole davvero la tua opinione al riguardo? La risposta è no.
Ma chi ti conosce vuole comunque sapere come la pensi anche quando il tuo pensiero contrasta evidentemente con la strada che questi ha scelto? Un altro no.
L'opinione personale è una verità assoluta, come la percepisce chi la dichiara? No, è una verità personale, appunto.

Tutta questa serie di no mi ha convinto che a volte è meglio tacere. Più dell'elenco dei no, mi hanno convinto gli sguardi persi o i silenzi prolungati di chi si sente attaccato. Degli stessi di cui mi dichiaravo amico, che alla fine si costringevano alla mia assenza e mi costringevano alla loro pur di non sentirmi pontificare. E chi lo cerca il rompicoglioni?

Mi son detto allora che se le persone le amo, devo anche riuscire ad amarle in modo da non ferirle. Quindi se la propria verità non è richiesta, se non diventa indispensabile esercitarla, è più importante sapere di esserne capaci. Sapere che se ce ne fosse la necessità si avrebbe a disposizione lo strumento.
Usarlo invece, solo per il gusto di esercitarlo può risultare doloroso agli altri e per me stesso: l'imbarazzo che crea è difficile da dimenticare. Lo sconforto di aver ferito qualcuno solo perché non sono stato capace di trattenere il rospo, altrettanto.







mercoledì 14 dicembre 2016

UFFA È NATALE


fotomiafattadame


Al semaforo vedo la signora accanto a me accoccolarsi per parlare al suo cane, sicuramente un cucciolo. Ad un primo sguardo non sembra portatrice sana di segni di squilibrio: pelliccetta neppure troppo esagerata, borsa elegante al braccio e sacchetto della spesa nella mano del guinzaglio. Una nella norma insomma. Invece di squilibrio ne porta... Ah se ne porta! Perché mentre sta giù piegata spiega al cane, con la voce melensa che si dedica ai bambini, che per attraversare la strada in sicurezza bisogna attendere il verde...
Al cane...
Il cane gira la testa, guarda altrove e non se la fila di pezza. Forse il cane non lo distingue neppure il colore verde.

Arriva il Natale, si avvicinano le feste e diventeremo tutti più buoni. Forse.
Io spero di no, conto nel mantenere anche in questo periodo di luci sfavillanti, un distacco da tutto quello che è il buonismo, altrimenti non mi diverto. Anche quest'anno perderò il treno dello Spirito Natalizio perché ho deciso di non recarmi neppure in stazione. Del resto gli stimoli che mi circondano a sviluppare un innato, perfido cinismo sono così tanti, che rinunciarvi partendo per Gentilandia, mi parrebbe quasi un reato.
Basta che mi metta un cappotto ed esca di casa per vedermi circondato dall'aspetto più sciocco e risibile dell'umanità.

Salto a piè pari l'argomento referendum a cui tanti, troppi hanno partecipato scambiandolo per un golpe invece che per una consultazione popolare, perché ne ho fin sopra i capelli: non ne voglio sentir parlare più fino al prossimo referendum della lista, istituto per il quale nel frattempo avremo sviluppato un patriottico menefreghismo, così da seguir felici le indicazioni dello Zar di turno, che ci inviterà ad andare al mare invece di andare a votare. Che ci piaccia o no sentirlo dire anche questo lo abbiamo fatto, sì sì, pure per argomenti importanti, quindi ne saremmo capaci.

Per esprimere al meglio la mia volontà di non "illuminarmi di melenso" mi piace di più parlare delle cose piccole che vedo in giro, come delle vetrine del Natale che quest'anno mi appaiono minimali, non ridondanti, quasi a proporre un Natale dietetico. Se si escludono quelle di alcune pasticcerie per soli VIP che straboccano di cioccolatini nelle loro cartine metalliche in confezione da due pezzi e fiocco, cesti natalizi cari quanto una notte al Savoy e Papà Natali obesi con la faccia rubizza e il corpo di panettone. Alcuni fatti meglio, altri trasformati in miseri ciccioni con vestiti colanti e appiccicosi, come se le glasse le avessero fatte stendere ad una comunità di gatti in calore. Questi orrori mediamente cari hanno il cartellino del prezzo nascosto. Non si sa mai che ce la fai a fregare qualcuno che per l'imbarazzo di non sembrare un parvenu, comperi comunque l'orrore firmato di cui ha osato chiedere il prezzo, indebitandosi fino al Natale prossimo.

Gli addobbi luminosi lungo le strade? Che ci scampi e liberi. Se non ti muovi fino a Torino, con le sue Luci d'Artista, o fuori Italia fino a Vienna, Londra o qualche altro luogo che non ho visto ma che si è un po' impegnato, devi solo sperare in un po' di nebbia che tutto avvolga e renda impalpabile, nebulosa la stitica serie di lampadine bianche, che va da un lato all'altro della strada senza creare nessun effetto ridondante. Perché questo ho visto nei paraggi, e vivo a Milano.
Dico: non era meglio il nulla rispetto a questi brutti ghirigori? Forse no, meglio poco che nulla: del resto, dicono in Brianza che piuttosto che niente è meglio piuttosto. Lasciamo quindi che il poco evidenzi la differenza tra normalità e giorni di festa.

Io per me mi son fatto tre alberini di natale ricavati da tre libri ripieghi con ossessiva ripetitività. Piccoli ma dignitosi. Minimali forse. Ma più belli delle luminarie viste in giro, economici ed ecologici perché fatti con libri usati, e ben piantati a terra.
Ma è il Natale che volevo così, visto che poi lo festeggerò lavorando. Quindi che Natale è?


domenica 7 agosto 2016

CHI CHIEDE CHE?



fotomiafattadame


Adesso va di moda la frase: " È il mercato che te lo chiede", come se il mercato finanziario, dotato di voce propria, telefonasse a tutti gli operatori del settore e dicesse: "Ehi balengo, guarda che devi fare così, così e cosà!". 

"È il mercato che te lo chiede!", quasi lo urla dentro il bar, il tipo abbigliato da esploratore sfigato della Namibia al suo accompagnatore, mentre aspettano il caffè. È mattina. Mi sono appena alzato e come ogni giorno della mia vita, del mercato non me ne frega una beneamata m.

Io non so esattamente che cosa chieda questo mercato e con che mezzo lo faccia, perché ogni tanto mi sale il dubbio che siano quelli che dichiarano queste lunghe conversazioni, a sentirne le voci come Giovanna D'Arco, ma ho quasi la certezza che, qualunque cosa il sig. Mercato abbia da chiedere, di certo non lo fa il sabato mattina. 
D'agosto. 
Alle 09:15. 
A Torino. 

Non che voglia sminuire in importanza finanziaria la prima capitale del Paese: adoro questa città. Ma perbacco, vorrete mica dirmi che da qui, oggi, ora partirà la salvezza del mondo, vero?

Perché al contrario sono certo che, spesso, questo fantomatico "mercato" il mondo l'abbia ben rovinato, imprimendogli forzature a vantaggio di pochi che nessuno ha voluto o saputo correggere. 

Quindi caro il mio safariota da passeggio in centro, sentiti le tue voci in silenzio ed in privato e lasciami gustare il mio cappuccino e brioche in santa pace, che già il bar è sufficientemente rumoroso: sono io che te lo chiedo. 

Grazie. 


Inviato da iPhone di Giampiero Pancini

lunedì 18 luglio 2016

FARFALLINE

Bimbi miei che delirio!

Avete presente voi che vivete in città quegli strani animaletti che si vedono ormai solo sui libri dei bambini, che di solito piazzano alla lettera effe e hanno il nome di farfalla? 

Ecco, quelle. Le farfalle. 

Essendo sprovvisto per sopraggiunti limiti di età di una nonna che vive in campagna e mi accoglie i fine settimana per una full immersion nella natura, io non ne vedevo da un pezzo e mi ero quasi dimenticato della loro esistenza. Poi cammino per un bosco e mi appaiono svolazzanti, lievi come fiocchi di neve, ai lati del sentiero. 


Son dovuto salire fin su sulle Dolomiti per rivederle dal vivo. Neppure tantissime. Neppure molto variegate in colori e grandezze. Però presenti. Vivaci. Battagliere.

Tranquille a spartirsi i fiori con quelle isteriche delle api, loro srotolano la loro "lingua di Menelik" e si ripassano l'infiorescenza con la tranquillità di regine. Quando le più feticiste di loro non si fissano in maniera imbarazzante sui piedi nudi del mio amico...


Per chi come me vive in città l'ultima opportunità di vederne è quando quelle piccole, malefiche bianche ti si mangiano la lana nell'armadio costringendoti a ricomprare i maglioni ed investire in altrettanti costosi sacchetti puzzolenti, che più che le tarme respingono il genere umano; o quando apri lo sportello delle farine, da troppo tempo chiuso, e le vedi volteggiare allegre per il vano e non, come vorresti, incollate al cartoncino doverosamente attaccato all'anta e devi gettare tutto nel secchio dell'unido, pasta secca compresa; o ancora quando, sempre quelle piccole e bianche - le farfalle bianche cittadine devono essere le più bastarde - ti girano intorno ai gerani e ti comunicano danzando che la tua fioritura da balcone sta andando in malora. Dopo una settimana dall'avvertimento non avrai più un fiore da far penzolare giù dal balcone...


Stabilito che le farfalle piccole e bianche sono portatrici di rotture di coglioni, mi godo le colorate di qua facendo attenzione a non scacciarle o schiacciarle mentre mi arrampico per raccogliere le fragoline di bosco, unica specie vegetale che è consentito raccogliere a mano, insieme a mirtilli o nocciole. Il resto NON SI TOCCA. Multe salate dietro l'angolo per pigne, fiori di campo e funghi senza permesso temporaneo. 


Desolato nel non poter raspare tutto via come chiunque vorrebbe fare seguendo l'istinto animale, in presenza di tanta abbondanza e varietà, mi concentro nella ricerca e raccolta di altre specie. Consentita la cattura ed il consumo delle farfalle-salsiccia, delle farfalle-polenta, di quelle formaggio, speck, funghi al tegame, uova con speck ed altre infinite varianti, ma soprattutto della meravigliosa farfalla-strudel, che qui svolazza sui piatti lasciando zucchero filato come traccia di sé, mi ci lancio senza cerimonie. Ma soprattutto senza sensi di colpa. 


Slurp. 




Inviato da iPhone di Giampiero Pancini

sabato 25 giugno 2016

BREVE TOUR A BUDAPEST




                                                   


Per essere UOMO a Budapest devi guardare incarognito ogni altro uomo che incontri. 
Per essere MASCHIO a Budapest devi avere sotto pelle almeno un quarto di litro d'inchiostro; meglio se a forma di enorme aquila o croce così arzigogolata da parer blasfema.
Ma se sei MASCHIO ALFA, se credi di essere un vero capobranco, un inseminator da razza ariana è bene che al sorgere delle 10 della mattina tu non ti faccia trovare in giro con un "mocachino vanilla latte dopio", ma con un boccale da litro di birra, dal quale suggere camminando e ruttando contemporaneamente. 

Se sei un uomo mingherlino è bene che ti compri in loco e ti abbigli con una maglietta in cui vengono descritte le innumerevoli posizioni in cui intrattenere le femmine locali - perché i maschi alfa permettano ancora di venderle non si capisce: quelle donne potrebbero essere le LORO donne. L'indossare questa maglietta può in qualche modo testimoniare al mondo la tua non evidente virilità. 
Ma se sei un VERO UOMO una qualunque t-shirt basta per coprirti: la riempirai col le tue ascelle pezzate, coi tuoi muscoli tirati ricamati di Tattoo, o con una bella panza da alcool. 

Ora non so bene quanto questi signori stiano bene con loro stessi o nei loro circolini omofobi dove praticare un fraterno, condiviso, diffuso BRO-JOBBING - su google basta digitare brogob per avere spiegazioni - oppure un altrettanto cameratesco, gagliardo e rumoroso sventrapaper-ismo. 
E quanto, sempre questi signori, rappresentino lo stile della maggior parte degli uomini "normali" di questo Paese, scusate la maiuscola: ho speranza che questi eccessi siano solo un fenomeno locale perché questa Nazione ha tirato fuori figli culturalmente avanzati e rappresentativi, per poter essere ricordata solo come un covo di machi intolleranti. Robert Capa, Joseph Pulitzer, Hanry Houdini, John von Neumann. Solo alcuni. 

Io so solo che tutto questo mostrar di ormone fa decisamente ridere. Tanto. Tanto che se non si è mai stati qui, sarebbe bene cercare nelle guide turistiche i punti di maggior afflusso degli esemplari suddetti, per organizzare dei safari fotografici, come in Africa si fa per zebre, gazzelle, giraffe... Chiedo scusa: come in Africa si fa per facoceri, rinoceronti e gorilla - mi scusassero i gorilla. 
Non si dimentichino comunque il Palazzo del Parlamento, il Ponte delle Catene, la città vecchia, il memoriale delle vittime del nazismo sul Danubio, che la maggior parte dei turisti ignora, l'enorme Mercato coperto, e la strapiena Galleria Nazionale d'arte. Anche quelli son bei ricordi da fotografare per portarli a casa. 

E la storica pasticceria Gerbaud, dove a colazione poter mangiare una meravigliosa fetta di torta Dobos, loro specialità, invece che trincare in litrozzo di birra, caracollando per la City ridendo sguaiatamente. 
Ma si sa: noi gay siamo così, siamo strani, siamo un po' troppo portati a goderci il bello della vita. È uno stereotipo, lo so, ma in questo caso calza bene. Altroché se calza! 



giovedì 23 giugno 2016

TAORMINA




fotomiafattadame


Un ultimo sforzo in questo viaggio e sono risalito su fino a Taormina. Un tempo avrei detto "la mia Taormina". 
Un tempo non sarebbe esistita vacanza in Sicilia diversa da quella trascorsa a Taormina, adesso è solo una tappa di un tour. 

È ancora bellissima lì maestosa, adagiata sul crinale a far bella mostra di sé mentre controlla l'ingresso al trafficato stretto di Messina, che neppure si vede ma c'è, perché nelle giornate limpide si vede la Calabria che sembra a due passi. Quindi siamo in vicinanza di "stretto".
È colorata e vivace, piena di fiori, di gente e di così tante gioiellerie che ti stupisci che ci possano essere gioielli di così tanti stili in vendita. 
Poi ci sono le ceramiche tutte belle e tutte colorate, le pasticcerie con la pasta di mandorle, gli immancabili monomarca dell'abbigliamento di alto livello; ma per soddisfare il mare di gente che la invade dall'alba al tramonto, ho trovato vetrine di prodotti cosmetici a bassissimo costo e pizzerie a taglio che, tra l'altro, lavorano a pieno ritmo. 

Non per quello che prima non c'era e adesso c'è che l'ho sentita meno mia. 
Però così è stato. Prima il cuore palpitava ogni qualvolta mettevo piede lassù, anzi ogni volta che progettavo di passarvi qualche giorno. Già la telefonata alla pensione Adele per prenotare una stanza, dava inizio al batticuore: le secche precisazioni della proprietaria nulla toglievano alla magia di cui ella stessa faceva parte. 
Non è che la signora Genoveffa fosse un'arpia, anzi era quanto di più accogliente ci potesse essere a livello di ospitalità, ma commercialmente parlando era un panzer, e con lei i conti dovevano tornare pur col più affezionato degli ospiti. Io. 

Ho passato lì da lei i momenti più sessualmente attivi della mia vita giovane e pure quelli più tristi perché ho sempre considerato quella pensione e quella città, un balsamo per l'anima, un buen retiro quando il mondo è la vita di sconti non me ne facevano. Arrivavo lì in corriera e lasciavo che la magia dei profumi di quel mare e di quella terra fossero rigeneranti, fortissimi, e simulassero una vita felice che magari in quel momento non avevo. 

Ero lì il famigerato 11 settembre, ed ero lì a far finta che mia madre non fosse morta un mese prima. E visto l'accaduto, meno male che ero lì e non altrove. 
Quindi ho un debito verso questo "punto cardinale". E non lo dimentico. 
Infatti appena scendo dall'auto cerco la pensione Adele e la trovo lì, al solito posto, o quanto meno la sua insegna spenta e invecchiata; ma l'hotel è serrato dalla voracità dei padroni dell'immobile, che fecero chiudere la pensione storica per avviare non si sa quale impresa, per poi non venire a capo di nulla. 

Sono io che adesso sono meno pronto a dimenticare le folle umane che risalgono la collina a mattina per una breve visita e la occupano fino al tramonto. Folle di cui anche io faccio parte. 

Le vecchie francesi che mi allontanano con un colpo di gomito dalla balaustra da cui ammiro il mare e l'Etna. Le fiatelle da vodka e fegato spappolato di chi è seduto a
a farsi l'ennesimo cicchetto. Le innumerevoli file di croceristi a zonzo col loro numero adesivo attaccato alle t-shirt. Le famiglie zoccolanti e zigzaganti per il corso nel vano tentativo di contenere i marmocchi. La cinese che cerca di vendere sciarpette di seta. Il negozio che si ostina ad esporre busti del duce in pietra lavica. 
Sì, lo so, c'era tutto anche prima e tutto si sopportava in attesa della sera quando lo sfollamento era palpabile e chi restava su aveva modo di sentirsi nuovamente parte della colonia di ospiti stanziali. Quando ci si guardava attorno e ci si vedeva distaccati anche dalla Sicilia, un'isola nell'isola. E si camminava trascinando i piedi in una qualche conversazione Gino a che il corso principale non fosse diventato deserto ed immobile. 

Quindi non è così cambiata Taormina. Si è solo abbassato il mio livello di sopportazione. Mi mancano probabilmente i mecenati che mi invitavano qui a godermi l'attimo e la vita. Mi manca di vivere tutta la mia vacanza qui. Di scendere al mare al mattino e risalire l'infinito gradinata il pomeriggio. Mi mancano i miei aperitivi all'Arco Rosso e le mie vene a 'U Lanternaru. 

Non potendo riportare indietro le lancette del tempo è bene che viva le ferie in luoghi meno angusti. 


domenica 12 giugno 2016

DOMENICA TI PORTERÒ SUL LAGO



fotomiafattadame

Faccio due passi di domenica pomeriggio intorno alle rive di un lago cittadino a Bucarest. Non è ancora iniziata l'estate ma certo non sono l'unico in sandali e pantaloni corti. 

Anni luce lontani dall'orrorifico concetto socialista del "vestito della domenica", se guardo chi mi circonda, potrei essere ovunque in Europa se non fosse per questa lingua gutturale, sparata con toni aspri in faccia al mondo. Profusione di jeans, sneakers, e telefoni interattivi. 

Ecco, che questo sia stata una capitale del blocco socialista lo si intravede ormai sono in cotonature bionde troppo vaporose e magliette leopardate di signore avanti negli anni. Ma potrei essere benissimo in una balera nostrana. 

Esce il sole tra le piante e fa caldo. Il verde scuro del lago, il verde dei salici, il battello bianco per l'isola, gli stand del cibo, la musica alta, la pace più avanti, con le barche a remi sul lago ed i ragazzi con le fidanzate. 

Nel parco ci sono coppiette giovani, coppiette adolescenti, coppie giovanissime tamarre, coppie mature romanticissime, persone coi pattini, col pancione da birra, con lo skateboard, tanti con la bici, qualcuno che corre, quelli che marciano veloci e altri che, come me, camminano e basta. Cani a forma e sembianza di topo, roseti, case galleggianti, gente che scatta tonnellate di selfie, che se i pixel avessero un peso sprofonderebbero le panchine. 

Girano coni gelato, patatine da passeggio, dolci fritti e rotondi arpionati con lo stecchino, bibite dai colori spaziali che non capisco se sono alcoliche i solo cancerogene, e rotoli di dolci fatti... a rotolo, come il Domopack, che viaggiano per mano avvolti in cellophane rigido che sembra una cartellina da ufficio. Questi tutti li portano in giro ma nessuno li mangia per strada. 

Avanzo fino a teste in bronzo di politici europei, c'è pure De Gasperi ed Altiero Spinelli, disposte in circolo  intorno alla piazza con la bandiera Europea, che la gente ci passa in mezzo e fa tic toc con le dita sui crani enormi e nessuno gli risponde. 

Il mondo riversato all'aperto in un bel pomeriggio festivo. 

Poi arriva uno squadrone di mezza dozzina di biciclette e sento avvicinarsi l'italico idioma con accento lombardo. Starnazzano discorsi alti e esistenziali: parlano di figa.
Uno fa ad un altro: "Ma io non sono come il .... (soprannome maschile), lui esce dal locale, né punta una e via. Io ho bisogno di stabilire un contatto umano prima". Prima di che? Le parole di perdono con l'andata delle bici. 

Resta un fatto però. 
Ok amico, sei frocio, fattene una ragione. 


Inviato da iPhone

sabato 4 giugno 2016

UNIFORMIAMOCI



ilmare.com

È una cosa emotiva quella che sta precipitando addosso a noi che dopo vent'anni cambiamo uniforme. E se ci lasciamo trasportare solo dal "dolore del distacco", senza porre attenzione "all'eccitazione della novità", finiamo per ignorare una delle poche verità dell'esistenza: tutto cambia. 
Non prendiamoci per il culo, è così la storia. 

Certo le cose belle ci piacerebbe restassero per sempre, ma chi ci può garantire che così sarà? Nessuno. E poi, era davvero così bella l'uniforme che stiamo per mettere definitivamente nell'armadio? 
No. Rappresentativa sì, bella proprio no. 

Ora, uscire dalla confort zone di anni e anni di abitudini, e non scordiamolo di critiche e ritocchi sartoriali non autorizzati, può essere dura, ma ragazzi.... Avanti, siamo adulti. Non dobbiamo vivere senza un rene,  rinunciare alla cittadinanza o andare in giro vestito da pervertiti al parco pubblico, no, dobbiamo solo vivere senza pantaloni con le pences che, a dire il vero, a me davano l'impressione di essere portatore sano di LINIDOR. 

Confinato per mia scelta ponderata sui voli brevi, non mi mancherà questa uniforme; mi mancheranno piuttosto tutti i posti dove mi ha portato, le macchine volanti che mi ha fatto cavalcare, i colleghi conosciuti e frequentati, conosciuti ed amati, conosciuti ed odiati; i voli verso il Sud America che non avevano fine di tempo e di richieste, i disciplinati voli verso il Giappone, quelli chiassosi verso l'Australia, i passeggeri isterici di ritorno dall'India perché lì la pace non l'avevano trovata, la maestosità degli aeroporti americani... Etc. etc. etc. 

Quindi guardo la sequela di foto d'addio al l'abito postate dai colleghi che si pubblicano su Facebook non tanto per trovarmi in uno scatto vicino a loro, quanto per rivedere il B767, il B747, l'MD80, Bue, Accra, Bangkok, Washington, e mi commuovo ai ricordi, odori, luci, persone che ritornano. 

Ecco. Con la vecchia uniforme era questo il mio vivere. Ed è questo che mi manca/mancherà di più. Non i tessuti ormai scadenti ed il modello più adatto ad un matrimonio in Ghana che ad una moderna azienda europea. Mi mancherà la gioventù che ha rappresentato. Mettendo il blu nell'armadio e indossando il verde petrolio voglio aprirmi all'ineluttabile nuovo, e sottolineo INELUTTABILE, con spirito positivo.
Come tutte le novità potrà essere deludente? Possibilissimo. Ci sono già appunti da fare? Plausibilissino. Ma sarà la stessa delusione, gli stessi appunti che facevo quando, scartando un uniforme "old style" nuova di pacca, trovavo l'inaspettato, INEVITABILE difetto. 

Lasciamo passare i giorni, lasciamo che finalmente si completino le forniture e prepariamoci a dimenticare questa crisi. Come abbiamo fatto per le cravatte. Facciamo solo in modo di trovare in tutto questo almeno una cosa positiva. Farà bene a noi. 



Inviato da iPhone di Giampiero Pancini

lunedì 9 maggio 2016

HULK



montagna.tv


Certo per l'elettore medio vedere che Donald Trump sta raccogliendo proseliti in tutti gli stati dell'Unione potrebbe essere la prova provata della bontà della sua politica.
Più o meno quanto è successo in passato per le elezioni italiane quando Berlusconi faceva saccheggio di voti da tutti gli angoli del pensiero politico, e tutti ad urlare al miracolo: s'era trovato il Salvatore.

Poi ci siamo resi conto che non era così: l'Unto dal Signore fu allontanato dalla politica per evasione fiscale.

Ora quello che mi spaventa di più di questo nuovo magnate, più volte in bancarotta, sono i suoi sostenitori. Un bell'insieme di immagini pubblicate dal Corriere della Sera in web mi inchioda allo schermo. Non che le sue idee di barriere fisiche e rimpatri forzati mi facciano star tranquillo sulla lungimiranza del possibile nuovo condottiero della Nazione più ammirata del mondo. Ma vedere chi lo sostiene mi fa pensare. E parecchio sorridere.

Perché uno può essere figo quanto vuole, un capo illuminato che ha capito che il buonismo politico (leggi anche come: più diritti anche sanitari per tutti) circolato a Washington in questi ultimi anni di amministrazione Obama sia stato deleterio per la Nazione più figa ed incazzata di tutte, ma se tra coloro che ti vogliono eletto c'è un signore che di nome fa Mike e di cognome Tyson, che una volta tranciò con un morso il lobo dell'orecchio di un avversario di ring... Ecco, una qualche domanda avremmo pure il diritto di farcela, no? Certo il signor Tyson ha tutto il diritto di dichiarare chi preferisce tra i candidati, io quello di dire: "Bene, se piace a lui c'è qualcosa che mi da la certezza che non possa piacere a me".

Poi c'è pure l'ex moglie Ivana che tifa per lui. Dopo averlo spolpato ben bene con un divorzio sanguinolento ora tifa per lui. Del resto un tempo lo ha sposato e probabilmente amato, quindi perché stupirsi? Dubito invece che la ultima ex signora Berlusconi voterebbe il marito ad una elezione che non ci sarà mai.

E poi cantanti, attori dai volti devastati dalla chirurgia, e produttori di moto, e tanti altri. Tanti davvero se vince con questa facilità su tutti gli altri candidati repubblicani.
Concludo con Lou Ferrigno, l'Incredibile Hulk, quello verde, sì proprio lui, ed una qualche star del wrestling giusto per non farsi mancare una bella dose di testosterone.

Ora dico io, posso considerare credibile un candidato sostenuto anche dall'Incredibile Hulk e da un mangiatore di orecchie?

La risposta è: sì.



venerdì 29 aprile 2016

RIFLE-zone




fotomiafattadameconcontributodiElena


Sera davanti alla TV. 
In "Bones" una anamopatologa single e di colore ha adottato una bimba;
in "Grace Anatomy" due donne sposate tra di loro hanno una figlia, mentre una coppia di papà porta il figlio in ospedale per un infortunio subito su un campo da baseball;
in "Sex and The City" l'amico di Charlotte si sposa l'amico di Carrie. 
In Modern Family uno dei figli del capostipite è sposato ed ha una figlia col marito. 
La Maria de Filippi porta sul trono tornisti omo.  
Al cinema Kung Fu Panda ha il disprezzo del ciccione orrendo (possono due papà crescere un figlio?!?!?!?!?!)

La certezza che certi bigotti medievali non guarderanno queste trasmissioni, questi film gender/sconvenienti, mi fa godere profondamente, sprofondato sul divano, di questa confort zone.
Comunque vada in Parlamento a maggio, è il mondo che ci circonda. Non il contrario. 

Sì sì sì


Inviato da iPhone di Giampiero Pancini

giovedì 28 aprile 2016

NOTTURNI




fotomiafattadame



Durante le ormai frequenti, lunghe notti d'insonnia, passo le ore pensando le cose più strane.
Prima di tutto penso di essere diventato vecchio, vecchio perché la leggenda vuole che i vecchi dormano di meno dei giovani, per non perdere tempo. Non si sa mai che quei pochi minuti passati in Morfeo Town possano essere quelli decisivi dopo una vita di cacca.

Poi penso di essere scemo perché non ne parlo con la mia omeopata, visto che il disturbo del sonno si è reso più evidente da quando mi sta curando con discreto successo, una gastrite con reflusso che mi impediva una vita attiva: sembravo entrambi i gemelli della pubblicità del G., noto prodotto deputato al sollevare dal reflusso, solo senza Bar-B-Q e mazzo di fiori da gestire. Ma gliene parlerò a breve perché spero di incontrala al più presto.

Poi penso di prendere in mano un libro ma sono un po' di mesi che sono diventato ipercritico e nulla mi soddisfa a pieno. Proverei volentieri anche l'ultimo di J. Franzen, ma essendo un tomo di una certa consistenza, pervicacemente incartato con la plastica termosaldata per impedirne lo sfogliamento", temo di inciampare in un mattone buono solo per innalzare un tramezzo: sarò certamente smentito, ma pure i grandi a volte falliscono... Ho la Fitzgerald al momento tra le mani, ma posso dire che non mi fa volare come altri suoi libri? E poi tutti quei termini tedeschi che come tutta la lingua tedesca non mi resta in testa... Ne sa qualcosa la mia insegnate di quella lingua che, disperata, si perde per Arezzo seguendo le mie bislacche istruzioni per raggiungere il Duomo.

Quando ogni tentativo di addormentarmi fallisce, e son già le tre come adesso, mi incanto a vedere precipitare da scaffali capienti, giù nel condotto buio che porta ai miei neuroni, tutti i ricordi, le tensioni, gli avvenimenti che hanno caratterizzato il giorno prima. Ho visto un bel film? Lo rivedo tutto, scena per scena.
Ho fatto un concorso interno aziendale? Lo ripercorro tutto, risposta per risposta, sensazione per sensazione, errore o successo in maniera circostanziata, chirurgica.
C'è un dolore, una frustrazione che non posso scacciare? Tranquilli: è già lì, posizionata sul tavolo anatomico ed io son pronto a fare l'autopsia del cadavere, che essendo una frustrazione passata è già defunta di certo. Ed quanto puzza!

Poi c'è la digestione ed il pensiero del viaggio di rientro o quello di partenza. C'è il cuscino freddo, il piumone caldo, la stanza silenziosa, il palazzo poco abitato, la luce mancante, la fifa di essere da solo. Altro?

C'è tutto questo ma non c'è il sonno.
Mannaggia a me!
E soprattutto manca un bel farmaco dopante che mi faccia dormire.

Aaaaahhhhhhhhh!!!!!!!!!!!!!

Inviato da iPad di GP

martedì 26 aprile 2016

EVVIVA L'INTERNET


tuttofotografie.blogspot.com

Posta, montagne di posta da smaltire ogni volta che metto piede in casa. Come se l'elettronica ed i suoi archivi non esistessero e ancora strani, microscopici, ineffabili amanuensi lavorassero ad ogni ora del giorno e della notte con  il solo intento di riempire la mia cassetta della posta. Così che quando arrivo in Toscana, attraverso la finestrella di vetro, vedo una massa minacciosa di buste commerciali con finestrella trasparente che mi attende ed attende di essere smistata e divisa e controllata.

Tanto io ho così taantooo tempo da perdere a guardare le bollette le poche volte che vengo a casa, che che cosa volete mi costi??? Nulla.

Nulla...

Nulla????????????????

Non è che non ci abbia provato a fare le cose per bene, a non avere più bollette in carta, estratti conto in cassetta e fatture da catalogare nello schedario. Ci ho provato eccome!

È solo che la tecnologia non collabora. Ho un blocco all'ingresso del sito della Tim da mesi: vedo i conti ma quando cerco di andare più in profondità e cambiare l'indirizzo della fattura... Il delirio. Password che non prendono, nuove password che non aprono, mi riconosce il DNA ma l'iride fa cilecca.

Per parlare con l'Enel potrei affittare un camper per piazzarmi davanti alla casella postale di Potenza: ci metterei meno tempo che aspettare la telefonata sia smistata dal call centre.

Per la bolletta dell'acqua: "Lei vuole cambiare l'indirizzo a cui spedire la  bollettaaaa?!?!?!? No, al telefono non si può fareee. Lei deve prendere un foglio di carta bianca e scriverci - ha detto proprio così, assumendo un tono di maestrina annoiata - io sottoscritto, nome e cognome, numero utente, indirizzo, chiedo di ricevere la fattura all'indirizzo tal de tali. Poi lo manda via fax al numero...": Le ho detto che non disponendo di fax non avevo intenzione di spendere neppure un centesimo per inoltrare la domanda e che esistendo la posta elettronica che più o meno è gratuita...

Poi l'ho piantata lì perché davvero non posso reggere più di tre rifiuti in un giorno solo.
Anzi due, che la fattura Tim adesso me la manderanno a Milano.

Perché voglio quegli inutili pezzi di carta dove vivo? Perché pochi mesi fa alla mia banca, che non nominerò perché se mi fanno causa anche se ho ragione io vincono loro, perché hanno avvocati e potere da urlo, alla mia banca dicevo, hanno deciso di bloccarmi tutti i pagamenti che si depositavano nel conto da secoli, da quando ho bollette mie proprie. Ho avuto la bella idea di chiedere il blocco di un pagamento di una sola utenza e pochi mesi dopo mi hanno bloccato telefono, carta di credito ed sono stato fortunato che non mi abbiano tagliato la luce, l'acqua, ripreso la macchina indietro e denunciato per mancato pagamento dell'assicurazione.

Ecco perché, non riuscendo a farmele mandare via mail voglio le bollette dove vivo: posso vedere se vanno pagate o no.

Sempre che riesca sconfiggere la tecnologia, e le centraliniste maestrine...


lunedì 11 aprile 2016

MONTAGNE DI PLURIBALL


fotomiafattadame

Gambe in spalla. Se davvero il mal di stomaco è passato dimostriamolo camminando.
Quindi: gambe in spalla.

Approfitto della giornata di un cielo limpido e spropositatamente grande per andare in Moscova per stampare il racconto su cui sto lavorando da tempo: è lui che mi tiene lontano da queste pagine elettroniche - ammesso che a qualcuno manchino - e lo continuo a stampare perché mi sono accorto che le correzioni si individuano meglio quando ho in mano la carta stampata ed una banale penna rossa.
È una scusa, null'altro, ho una serie infinita di copisterie vicino casa, ma lo so e mi va di fare una bella passeggiata. In più: la gentilezza della signora della copisteria, la sua proverbiale e sempre presente pazienza, fanno sì che abbia davvero voglia di rivolgermi a lei nel momento del bisogno. È un po' come quando si decide di spendere i propri soldi in un posto piuttosto che in un altro: lo si fa per X ragioni. Le stesse, ma opposte, quelle che non ci fanno più frequentare altri luoghi.
Due gironi fa sono stato testimone di una sbuffata e di un'alzata di occhi al cielo perché avevo osato chiedere tre caffè in un bar... Vigliacco, li ho pagati e mi son pentito di averlo fatto: pagandoli ho pure dato l'impressione di aver approvato l'agire del barista.


Faccio un giro molto più largo del necessario, indugio davanti alle poche vetrine allestite o visibili dall'esterno. Mi godo una parete intera di fiori d'orchidea, messa su con solo tre piante dai fiori immensi e perfetti. Ai loro piedi due cassette di legno da cui sbucano ranuncoli coloratissimi: bellissimi. Oppure il negozio all'angolo di Richard-Ginori, con i suoi piatti con scene di caccia in sfondo rosso e le suo uova coloratissime.
Le altre vetrine non si vedono, si preparano all'inaugurazione del Salone coperte da pesanti fogli di carta bianca che impediscono la vista dall'esterno: tutto dev'essere una sorpresa.
La città è in fermento. Non c'è Settimana della Moda che tenga, Artigiano in Fiera o fiera del Trespolo Estivo Ricollocato in Collina: il vero boom di iniziative, eventi e vivacità è concentrato nella settimana del Salone del Mobile. Il quale è detto solo :"il Salone", e l'abbreviazione vale l'importanza.

Passo per Brera, il quartiere eletto come Design District dove è tutto un montare e smontare di istallazioni. Tutto un lavorare nei numerosi cortili di ringhiera dove ditte specializzate offriranno "EVENTI" al grande pubblico oppure ad una ristretta cerchia di critici ed addetti ai lavori. Davanti alle porte di questi locali sono già piazzate le guardie che impediscono l'accesso ai comuni mortali, in completo rigorosamente nero e radiolina all'orecchio. Manco dovessero aspettare Obama.  Se ti affacci a vedere una pittura che sta all'ingresso del cortile e sta lì da sempre, quelli che stanno tirando via fogli e fogli e fogli di pluriball da oggetti misteriosi, con la cura che contraddistingue il trasporto di un Van Gogh, ti guardano male come se fossi entrato a spiare.
Batto in ritirata prima che venga cacciato in malo modo.

Non c'è aria di trasgressione, di leggerezza, di inutilità durante il Salone. C'è invece aria di solidità, di persone che lavorano e vengono a Milano, indiscussa capitale italiana delle idee, per mostrare il loro lavoro, il loro impegno, la loro ricerca che poi, inevitabilmente, da qui partirà per fare il giro del mondo del buongusto. Perché se è vero come è vero che questo Paese arranca, che ancora nel 2016 alcuni medievalisti restano ancorati ai posti del potere politico e mediatico, le idee, le belle idee non ci sono mai mancate.
Anni fa, parlando con chi si occupava della vendita di beni di lusso, ma di quelli solidi e non delle borsette barocche della Dolce e della Gabbana, questo signore mi disse che nella sua boutique le vendite vere si facevano durante il Salone e non durante lo sfarzo modaiolo delle sfilate che tanta "gente porta, ma vendite davvero poche".

Ecco perché vedendo tutto questo darsi da fare mi fa pensare che io, mannaggia, la prossima settimana la passerò lavorando: "mi darò da fare" altrove, in luoghi ameni come Lamezia Terme e Brindisi e mi perderò tutto il perdibile. Avrò una pausa, tra una partenza e l'altra, solo venerdì e non è detto che me la senta di girovagare per la città. Potrei sentirmi provato...
Peccato: l'anno scorse riuscì a vedere alcune cose in giro e mi piacquero davvero tanto.

Pazienza.
Rientro in casa che già il cielo sta cambiando e mi metto a stirare. Se voglio partire per il lavoro ho bisogno di stirare un po' di camicie per l'uniforme.

Buon salone a tutti.
Raccontatemelo voi.


mercoledì 2 marzo 2016

POST CIRINNÀ


BLVCHIROPRATICA.IT

Alla fine mi son ritrovato con un potente mal di stomaco. C'era già da prima, ma leggendo le dichiarazioni bolse di intelligenza, circolate con la foga che solo i premi Nobel si dovrebbero permettere, mentre si trattava solo rigurgiti di coglioni rivestiti di autorità istituzionale, il dolore in quei giorni ha raggiunto vette pericolose ed insopportabili.
Gastrite, dicono i medici, nulla da segnalare a livello di introspezione diagnostica, [mi hanno infilato un tubo in gola e hanno esplorato la caverna "stomacosa" (questo vocabolo lo brevetto io ed i soldi non li metto via per la beneficienza!)], il dolore è dovuto a stress.

Allora ho deciso di fare un tentativo autogestito ed livello di dolore va meglio da quando non frequento Facebook, il caffè Nespresso, e prendo con attenzione le mie goccioline omeopatiche.
A parte l'omeopatico, i miei rimedi più che semplici possono essere definiti semplicistici. Però pare che funzionino.

Vediamo come va tra una settimana.

Buon web a voi, ma usato bene, mica come me che m'infurio!


mercoledì 24 febbraio 2016

PIANTO / CIRINNÀ 2




fotomiafattadame


" Nulla è più testardo dei fatti. È per questo che li odiate tanto. Vi offendono. È per questo che posso innervosirti semplicemente dicendo che io, Anatolij Tarasovič Brodskij, sono un veterinario. La mia innocenza ti offende perché vorresti che io fossi colpevole. E vorresti che fossi colpevole perché mi hai arrestato".

T.R.Smith, l'autore, la mette in bocca ad un uomo che da lì a poco morirà sotto tortura per non aver confessato i delitti ascrittigli. Per altro falsi. 
In realtà morirebbe comunque anche se li confessasse. Cosciente di questo, perché dare ai carnefici la soddisfazione di confessare anche il falso, nella speranza vana che all'ultimo momento la clemenza venga concessa? La pena cambiata in un'altra non così definitiva? Anatolj muore come previsto ma il carnefice sa già di non aver vinto lui. 

È la certezza assoluta insita nella realtà che non piace al potere, a tutte le persone che pensano di averlo ed a quelle che credono di doverlo conquistare. L'autorità che tutto vuole cambiare a suo tornaconto viene esasperata dal concetto semplice, a volte banale, che dice più o meno così: "Datevi pace", oppure: "Così è se vi pare". Soprattutto se la realtà servita è quella da lui stesso percepita. 

La Ministra della sanità che con puntiglio vuole espellere dal ddl Cirinnà ogni analogia col matrimonio vuole negare la realtà delle famiglie arcobaleno perché accettarla renderebbe automaticamente lei priva di utilità/identità politica. Sa di dire e fare cose assurde per questo periodo, ma ammetterlo equivarrebbe a dire: "Io non esisto". Anzi: "Le mie idee non esistono".

Irrita il cliente il giorno di chiusura del negozio; fa impazzire il passeggero il ritardo del bus, del treno, della nave, dell'aereo anche se non ha appuntamenti imminenti. Fa imbufalire il parente del malato la consapevolezza che la medicina non sia una scienza esatta. Che i misteri alchemici dell'omeopatia funzionino di più e meglio di quanto dicono i medici allopatici. 

Perché il gioco delle incertezze mina il cammino lastricato di mattoni lisci e innocui di cui vorremmo fosse fatta la nostra strada da percorrere. 
Vorremmo che tutto fosse semplice come lo interpretiamo noi nella nostra versione di realtà. 

Ed ecco allora che ci accomuniamo a coloro che percepiscono la stessa sfumatura di colore nello stesso quadro, cibo o profumo. Ci dà forza. Sicurezza di appartenenza al gruppo. Risorse per affrontare la vita, a volte impossibile senza occhiali rosa. 
E "accumularci" sotto una stessa idea da forza al potere perché noi, allocchi, non siamo nemmeno in grado di comprendere quanto potere potremmo avere usando quest'unità. Siamo già abbastanza felici di non essere soli, perché incaponirci a voler star meglio? Perché incaponirsi a voler capire?

Soprattutto se la nostra realtà ha un carattere compiuto. 



Inviato da iPhone 

martedì 23 febbraio 2016

ASPETTANDO LA FINE - PRE CIRINNÀ







Non so come andrà a finire questa storia: i risultati del ciclopico scontro di civiltà si potrebbero avere già questa settimana, ma per i risultati finali non c'è ancora una data sicura. 
Se vincerà il medioevo continuerò ad avere diritti di cittadinanza diversi dagli altri, ma gli stessi doveri. Se invece vincerà la ragione, altri come me potranno usufruire di possibilità affettive riservate, adesso, solo ai più ricchi. 

Si possono e si devono avere opinioni e pensieri diversi anche se poche volte come adesso, ho assistito ad uno sfoggio di ignoranza, nel senso puro del termine, assunta a dottrina, pensiero, opinione. Poche volte ho visto persone vantarsi con così tanta foga del proprio NON sapere, rimarcare aspetti falsi e preconcetti barbari.  
E mentre da una parte alle manifestazioni in piazza si andava colla sveglia, dall'altra si rispondeva con raduni "oceanici" armati di rosario e megafono. In entrambe le occasioni l'unica vincitrice è stata l'applicazioni per smartphone "Grinder" accesa ovunque e da qualunque fazione per la ricerca di sesso omosessuale.  

Vedremo come andrà quando i giochi saranno fatti e vedremo chi vincerà ed a che prezzo. Perché non sarà gratis, ne sono certo. 
Potrebbe ancora accadere di tutto in un Paese nel quale sono stati capaci di far cadere un governo piuttosto che vendere una compagnia aerea all'unico compratore plausibile, finanziariamente solvibile, che garantiva il minor costo sociale nel passaggio. 
Di buono c'è che, forse, comunque vada, qualcosa è cambiato. E deve essere cambiato anche a livello di percezione di marketing commerciale se così tante aziende hanno deciso di mettere la faccia a favore delle unioni registrate dall'anagrafe, di qualsiasi sesso i componenti siano. Fino a poco tempo fa l'unione gay era una questione marginale e probabilmente pericolosa per essere assunta a livello di campagna pubblicitaria. Ora invece qualcuno sceglie di spostare l'accento per accaparrarsi le simpatie di un "certo gruppo" di consumatori. È solo marcheting? Possibile. 
Mi permetto però di ricordare che questo marcheting poteva essere più facilmente fatto pubblicizzando le idee medievali della parte che la pensa in modo contrario. Parte che, unita al numero di coloro favorevoli alle unioni omosessuali ma non ne è direttamente interessato perché eterosessuale, è la percentuale maggiore nel Paese. Quindi se si è disposti a mettere il proprio logo in favore, vuol dire che le possibilità di marketing sono rassicuranti e lo schifo verso certe realtà è qualcosa di marginale. Marginale anche se rumoroso. Orrendo e bugiardo. Ribadisco: bugiardo. 

Perché è possibile essere contrari ma non è certamente coretto definire questi rapporti confusi: quando lo fossero sarebbe solo per le discriminazioni alle quali vengono sottoposti coloro che le vivono, da parte di chi tali le definisce.

Con questa incertezza ci avviamo a percorrere la settimana che dovrebbe portare alla fine della vicenda incerti sul metodo, canguro o non canguro, stralcio o non stralcio, M5S sì Movimento 5 Stelle no che verrà adottato. E personalmente rattristato da tutta la cattiveria messa in campo dalle parti in causa e che alla fine verrà pagata dalle minori tutele che i bimbi nati e cresciuti nelle coppie omosessuali avranno. Perché alla fine questo governo che ha mandato allo sbaraglio l'Onorevole Cirinnà, pare non abbia nè la forza, ma tanto meno la volontà di portare a casa una legge che dia davvero dei diritti uguali per tutti. 

Ecco perché, se ci sarà lo stralcio, penserò comunque di andarmene da questo paese elitario e clericale. Magari non riuscirò a farlo. Però ci penserò ancora più seriamente che in passato. 


Per finire un piccolo elenco assolutamente velleitario ed incompleto di coloro che cono disperatamente contro. Qualunque cosa venga approvata loro saranno contro. E sono tutti belli:
Formigoni,
La Meloni;
Adinolfi;
Scillipoti;
Gasparri;
Maroni;
ah, dimenticavo la Vanoni e Margioglio. 





Inviato da iPhone

giovedì 11 febbraio 2016

MA BUONGIORNO!




simpsons.wikia.com


Non capisco che ci trovi la gente ad andare in TV a fare la figura dell'idiota. Non bastavano i tanti che si espongono in rete, nei social fotografici/cinguettati/faccialibrati - come il sottoscritto. Bisognava eruttare presenza di se stessi anche in TV. Che poi è stato il primo dei veri social, prima che le altre app distruggessero i diari chiusi da un patetico lucchetto che ogni madre di media grandezza era in grado di forzare, e consegnassero ai consumatori di Moleskine un alone romantico. 

Prendi quelli che chiamano la tata a rimettere in riga i figli indemoniati, prodotti dal maleficio dell'unione feconda di due incapaci. Lei, la tata poveraccia, va là solo per fare quello che avrebbero dovuto fare i genitori fin dal momento in cui hanno saputo di essere in dolce attesa: fare gli adulti. 
Loro invece no: non gli riesce neppure di ragionarlo come un pensiero astratto, un'idea irrazionale che siano loro gli adulti e le presenze pestifere i figli e stanno impuniti a perpetrare nell'errore. 

Nell'orrore. 

E cosi, neppure nel momento di richiedere aiuto, e Dio solo sa se ne hanno bisogno, loro non vanno da un terapista. Non parlano con un educatore. Non sentono un parente che pare abbia avuto maggior successo nello svezzare "le creature". No, vanno in TV. E grazie a Dio solo il 3 o 4% dello share nazionale può vedere bene che buscheri sono! Perché non li sfiora neppure lontanamente di essere loro la causa dei loro stessi problemi. Se così fosse si rintanerebbero in solaio ad elaborare una strategia di successo. 
Ed i figli cresceranno con la convinzione che sono una bella famiglia perché sono stati su La7. 

Oso immaginare che crescere i figli sia un lavoro sfibrante, continuo, senza garanzia di successo, ma questi esagerano. Accetto pure che mi si dica che non avendo figli: "Non posso capire", anche se come ho detto altre volte mi arrogo il diritto di parlare in quanto futuro concittadino di quei mostri urlanti. Pure io devo essere stato un figlio mica facile da gestire! Mettici pure che i due poveri genitori hanno dovuto inventarsi tutto di sana pianta: e chi lo aveva mai cresciuto prima un figlio omosessuale? Che paragoni potevano avere per saper come gestire la situazione, la vergogna? Nessun paragone. E all'inizio, credo, tanta vergogna. 
Ma ci hanno provato e ci son riusciti decentemente. In silenzio, senza chiamare la radio, neppure "Chiamate Roma 3131", che mia madre ascoltava religiosamente tutte le mattine. Non sono un serial killer, e neppure le mie sorelle, che neppure loro sono passate in famiglia come una ventata di ottimismo, lo sono. 

Siamo stati adolescenti ed adulti come molti altri, coi conflitti e le caparbietà non molto diversi da quelli di adesso. 
Certo il regime di autorità durante l'infanzia è stato ben diverso da quello che vedo ora spacciato come tale: addirittura quella nazista di mia madre mi obbligava a chiedere scusa se disturbavo e usare parole strane tipo: "grazie", "prego", costruzioni linguistiche difficilissime con: "per favore". Mi impediva di rivolgermi agli adulti dandogli del tu come se fossero coetanei... E tanto altro che mi ha segnato "profondamente". Anni di terapia da adulto per scoprire che avevano fatto di me una PERSONA EDUCATA!!!! Ma si può?

Quindi? Quindi, dico io, se ce l'hanno fatta loro, con nessun mezzo a disposizione tranne la caparbietà e l'amore, perché adesso si deve passare per la TV? 

Potete dire che oggi è diverso fino allo sfinimento che le cose sono cambiate, la società si è evoluta, i bimbi sono costretti ad apprendere più dai network che dai nonni; ma accertato che effettivamente le cose si sono "evolute", nulla mi fa cambiare idea sul fatto che io a quelli, glieli toglierei i figli. Dichiarerei i due incapaci e li affiderei si servizi sociali. Loro, i genitori. Mentre i bimbi spalmati equamente tra i nonni: che si prendessero la responsabilità di aver cresciuto due beoti in grado di prolificare. 


Inviato da iPhone di Giampiero Pancini

venerdì 15 gennaio 2016

CORI RUSSI




www.ilpost.it

🎶 "Non sopporto i cori russi,
la musica finto rock,
la new wave italiana,
Il free jazz, punk inglese...", cantava e canta ancora il poeta. 

Invece ieri sera sono andato a vedere il Coro e Complesso di Ballo dell'Armata Russa, "Armata" che con un semplice cambio di vocale è uscita dall'era comunista. E mi son divertito: il miglior gruppo orchestrale bombardone mai sentito in un teatro sinfonico. Il miglior coro di artisti bassi, e non solo di statura, che abbia mai ascoltato; certo quella divisa col cappello a eliporto non slancia.
Poco importa che la musica sia troppo spesso un bombardamento di marce in salita che si concludono inevitabilmente con un danno ai timpani. Che i coristi abbiano diaframmi e strumenti possenti. Che l'età dei militari componenti il coro vada dai venti ai sessanta. Che i direttori d'orchestra siamo due, uno definito "principale" che si presenta con una gran medaglia pendente dal petto ed uno addetto solo alla musica suonata per i ballerini, il che provoca continui cambi sul podio e la richiesta di ulteriori applausi.  

Poco importa perché le marce trionfali, vigorose, maschie che l'ensemble propone, coinvolgono la platea in furiosi, spesso fuori tempo battimani, che se ci provassero a sbagliare così a Vienna per il Concerto di Capodanno li radierebbero subito dalla sala. A vita! Rausch!
Ma l'accento popolare della serata si vede anche da questo. E non solo. Si vede, anzi si ascolta pure dalla presentazione del gruppo enunciata in un accento russo da operetta. Sul nulla di decoro che completa le scene grigie. Sul pubblico mai così poco in pompa magna, come questa sera. 

I solisti del coro si esibiscono evitando in maniera pedissequa di trovarsi illuminati dalla luce dei riflettori: con l'eliporto piazzato in testa l'effetto sul volto è spettrale. Prendono con dignità i loro personali applausi e li dividono, "collettivamente" col coro che li ha accompagnati, mai oltre il secondo, rigido inchino. 

Le ballerine sono vestite con abiti bellissimi, emettono squittii e urletti, ballano benissimo ed il massimo che si beccano è un applauso di riporto per un passo di danza che le fa roteare per tutto il palco, mostrando i casti mutandoni. Una di loro ha un vitino non proprio da libellula... Ma le cinture piazzate sotto il seno aiutano sempre. 

I ballerini, loro indossano i leggings con le casacche, fischiano ed urlano, ballano e si beccano tutti gli applausi perché i loro passi son tutti acrobatici. Più d'uno ha la pancia gagliarda e quando si tratta di rotolare sulla schiena, dalla sinistra alla destra del palco, indossano una giacca nera che non c'entra nulla col costume, ma così non macchiano la casacca. 

Dei brani non capisci una mazza. Sono in russo tranne il coro degli schiavi del Nabucco che cantano alla fine. 
Riconosci "Kalinka Moja!" ed il "Casatchiok" di Dori Ghezzi e scopri che quando lei canta: "Kasachiok è il ballo della steppa" il motivo originale fa solo un gran: "La lalla lalla la".   Del "Canto dei battellieri del Volga" nessuna traccia. 

Effetti luminosi? Nulla. 
Effetti sonori? Solo la chitarra elettrica inserita nell'orchestra classica. 
Scena? Ho già detto: grigi teloni. 
Sipario? Non c'è. Tutti entrano ed escono di scena come in un dramma di B. Brecht. 

Ma il tutto risulta divertente, godibile e allegro. Bella serata. 

"Non sopporto i cori russi,
la musica finto rock,
la new wave italiana,
Il free jazz, punk inglese. 
Neanche la nera africana! 🎶".



Inviato da iPhone 

martedì 5 gennaio 2016

AL MUSEO CON GLI AMICI



www.napolike.it

Oggi sono andato con due amici al museo. 
Per entrare al museo si fa una coda lunga un chilometro e mentre si sta in piedi si parla con le signore anziane che ti chiedono perché ci sia tanta gente in coda, davanti, al museo. 
Poi le signore anziane escono dalla coda, non prima di essersi fatte promettere di conservar loro il posto, per accogliere altre signore anziane che si erano perse, e loro la coda non la fanno perché hanno le gambe che gli fanno male. E hanno i nipoti che non vogliono stare in fila, ordinati. 

Durante la coda si possono ascoltare i discorsi degli altri ed ogni tanto si fa un passo in avanti. Quando siamo fortunati due. Indietro non si torna mai, gli altri non te lo consentono. 

Gli amici che ci raggiungono quando siamo congelati dal freddo che fa, non ti portano neppure una tazza di caffèlatte caldo perché erano in ansia perché erano in ritardo. E neppure un biscotto: mannaggia alla fretta! Quelli che passano accanto per andare in fondo alla coda ti guardano con odio perché tu sei più avanti di loro e loro non hanno amici a tenergli il posto. Ma non per questo li lasciamo passare avanti. Altri ci contano e più o meno decidono che "di coglioni in coda ce n'è abbastanza" e tornano a casa loro. 

Più stiamo fermi e più mi chiedo se questo signor Monet lo sa che ci sono tante persone che aspettano per entrare a vedere i suoi quadri. E per fortuna che non piove altrimenti più che un quadro di Monet potemmo essere "In un olio di Callebotte", dice uno che ha l'aria di averne visti parecchi di musei. Non conosco neppure il signor Caillebotte, ma immagino che gli piacciano le persone fangose e senza ombrello. 

Esce il sole ma noi cambiamo posto perché non ci muoviamo più ed andiamo verso gli stampini del signor Matisse: lì si spera di entrare. 
Forse sì perché davanti alla sua porta c'è meno gente. Penso che sia meno bravo del signor Monet se nessuno vuol vedere i suoi quadri. Non proprio nessuno nessuno, perché  siamo dentro velocissimamente e le persone, tante, stavano dentro e non fuori ed il mio zaino finisce dentro un cassone chiuso a chiave sennò non mi fanno entrare. 

Il signor Matisse aveva molti amici e ci sono molte pitture di tutti loro. In ogni stanza c'è un quadro suo e gli altri sono di questi altri signori: il signor Picasso, il signor Renoir, il signor  Modigliani, il signor Braque, il signor Derain, Léger e Severini che era nato a Cortona, in Italia. Alcuni di questi signori li hanno chiamati belve/selvaggi, e non per fargli un complimento... Però loro se ne vantarono e si riunirono in un circolo che si chiamava così: le belve. 
Più di tutte mi piacciono le pitture di Picasso perché per lui tutti i lati delle persone o delle cose devo essere dipinti sulla stessa faccia del foglio. 
A me non piacciono molto tutti quei segni, le stelle, le figure di uomini che ballano, sembrano i collage coi figli colorati, neanche tagliati tanto bene, però i colori sono belli. Mi dicono che il Matisse li faceva quando ormai era anziano e famoso e anche un po' malato. Prima dipingeva come tutti gli altri. 

Alle fine usciamo e c'è anche il sole fuori. Meno male che ora fa un po' caldo. 
Uno dei miei amici dice che da questa mostra si capisce che, di certo, le belve erano un gruppo di amici a cui piaceva senza dubbio quella cosa lì delle ragazze. Tutti ridono, rido anche io. 

Ora mangiamo che ho fame. Pastasciutta di Torino. Insalata di Torino, panettone di Torino. 
Mi piace proprio questa Torino. 


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