mercoledì 24 febbraio 2016

PIANTO / CIRINNÀ 2




fotomiafattadame


" Nulla è più testardo dei fatti. È per questo che li odiate tanto. Vi offendono. È per questo che posso innervosirti semplicemente dicendo che io, Anatolij Tarasovič Brodskij, sono un veterinario. La mia innocenza ti offende perché vorresti che io fossi colpevole. E vorresti che fossi colpevole perché mi hai arrestato".

T.R.Smith, l'autore, la mette in bocca ad un uomo che da lì a poco morirà sotto tortura per non aver confessato i delitti ascrittigli. Per altro falsi. 
In realtà morirebbe comunque anche se li confessasse. Cosciente di questo, perché dare ai carnefici la soddisfazione di confessare anche il falso, nella speranza vana che all'ultimo momento la clemenza venga concessa? La pena cambiata in un'altra non così definitiva? Anatolj muore come previsto ma il carnefice sa già di non aver vinto lui. 

È la certezza assoluta insita nella realtà che non piace al potere, a tutte le persone che pensano di averlo ed a quelle che credono di doverlo conquistare. L'autorità che tutto vuole cambiare a suo tornaconto viene esasperata dal concetto semplice, a volte banale, che dice più o meno così: "Datevi pace", oppure: "Così è se vi pare". Soprattutto se la realtà servita è quella da lui stesso percepita. 

La Ministra della sanità che con puntiglio vuole espellere dal ddl Cirinnà ogni analogia col matrimonio vuole negare la realtà delle famiglie arcobaleno perché accettarla renderebbe automaticamente lei priva di utilità/identità politica. Sa di dire e fare cose assurde per questo periodo, ma ammetterlo equivarrebbe a dire: "Io non esisto". Anzi: "Le mie idee non esistono".

Irrita il cliente il giorno di chiusura del negozio; fa impazzire il passeggero il ritardo del bus, del treno, della nave, dell'aereo anche se non ha appuntamenti imminenti. Fa imbufalire il parente del malato la consapevolezza che la medicina non sia una scienza esatta. Che i misteri alchemici dell'omeopatia funzionino di più e meglio di quanto dicono i medici allopatici. 

Perché il gioco delle incertezze mina il cammino lastricato di mattoni lisci e innocui di cui vorremmo fosse fatta la nostra strada da percorrere. 
Vorremmo che tutto fosse semplice come lo interpretiamo noi nella nostra versione di realtà. 

Ed ecco allora che ci accomuniamo a coloro che percepiscono la stessa sfumatura di colore nello stesso quadro, cibo o profumo. Ci dà forza. Sicurezza di appartenenza al gruppo. Risorse per affrontare la vita, a volte impossibile senza occhiali rosa. 
E "accumularci" sotto una stessa idea da forza al potere perché noi, allocchi, non siamo nemmeno in grado di comprendere quanto potere potremmo avere usando quest'unità. Siamo già abbastanza felici di non essere soli, perché incaponirci a voler star meglio? Perché incaponirsi a voler capire?

Soprattutto se la nostra realtà ha un carattere compiuto. 



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