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mercoledì 15 aprile 2020

ERBACCE




Non rido di fronte a trasmissioni che mostrano come si trasformerebbe la terra se ad un certo punto, all'improvviso, scomparisse l’uomo che la percorre. Piuttosto mi affascinano. Le cerco nei canali di scienze per seguirle in diretta, oppure le trovo sul web.

Oddio, soffro anche di una qualche perversione che mi porta a vedere pure altre trasmissioni “strane” come quella della dottoressa che schiaccia i brufoli e quella dei dottori che segano le unghie e le dita di piedi disastrati.
Senza parlare di quella dei maniaci dell’igiene che vanno nelle case degli accumulatori compulsivi, nella disperata speranza di rimetterle a posto.
O i tutorial di come ripiegare le cose negli armadi che poi ci provo io e sembra che in camera si sia scatenata la terza guerra mondiale.

Forse se non fossi un maniaco dell’ordine, dell’assenza di difetti non le seguirei.

Però lo faccio. E per ritornare al punto mi piacciono le trasmissioni nelle quale in nostra assenza la natura si riprende il controllo sul pianeta. Le graminacee, il trifoglio e le radici crescono, si inseriscono, sollevano e ricoprono l’asfalto, gli animali fuggiti dallo zoo pascolano indisturbati per le strade delle metropoli americane, le muffe attaccano le travi in legno e le facciate degli edifici crollano. Figo vero?

Deve piacere anche a chi le fa. In verità l'ipotesi non ha nulla di cruento: non si sa cosa sia accaduto per farci vaporizzare tutti allo stesso momento. Semplicemente non ci siamo più e una volta tanto abbiamo avuto il buon senso di non lasciare tracce della nostra partenza, neppure i nostri cadaveri. Potrebbe anche essere un esodo verso il Pianeta delle Meraviglie e di certo non c'è distruzione nucleare nelle immagini.

Mi pare che non sia quello il punto. Si mostra invece quanto sia fugace e assolutamente non imperitura la traccia che potremmo lasciare di noi. Perché alla fine il famoso filo d’erba nascerà nella crepa dell’asfalto e dimostrerà di essere molto più resistente.

Supposizioni? No: immagini dalle cittadine evacuate da anni intorno alla centrale atomica di Chernobyl mostrano chiaramente l’inconsistenza dei nostri manufatti non appena noi giriamo le spalle.

In questi giorni in cui la specie umana gira più per casa che per le strade, almeno così dovrebbe nei centri abitati, un quotidiano ha pubblicato la foto di un filo d’erba a che si era fatto spazio tra i sanpietrini di una piazza di Roma. La didascalia diceva più o meno che per la mancanza di scalpiccio, l’erba sta ricrescendo tra le pietre di Roma.
Mi ha colpito. Mi ha ricordato quei documentari. Ho subito cercato nel piazzale condominiale dove scendo a camminare per la mia ora d’aria tracce di questo movimento di riappropriazione. E c’era infatti qualche bel filo d’erba rigoglioso tra le pietre che compongono il pavimento, che mi guardava dicendo: “Prova a fermarmi”. E alzava arzillo il dito medio.



Oh certo, torneranno presto tutti i condomini a percorrere quel selciato e a far retrocedere nella sicurezza dello spazio tra pietra e pietra il germoglio del seme. Ma il seme resterà lì ad attendere senza fretta la prossima pausa.

E più del filo d’erba ha potuto il glicine della villetta accanto. Esploso nella fioritura emanava un profumo celestiale indipendentemente da chi potesse goderne la bellezza o annusarne l’aroma. Nel silenzio della città era il rumore più forte. Come dire: "Ho fiorito qualunque distanziamento sociale voi stiate affrontando. Che voi godiate oppure no dello spettacolo di questo colore abbondante, io fiorisco e spando profumo. Comunque. Sta a voi coglierne l'attimo come stanno facendo le api".