mercoledì 9 settembre 2009

DALLA TERRAZZA




Sulla terrazza del b&b c'è vento fresco e forte. Il cielo si è un po' incupito al tramonto, è la luce che va a riposare. Davanti a me il picco che copre il testro greco, a destra lo Ionio aperto con qualche nave di passaggio che sbuffa di nero, a sinistra le coste della Calabria visibilissime. Stanotte ne vedremo le luci. Dicono che questo tratto di mare sia uno dei più trafficati al mondo. A vederlo così non sembra, anzi, pare spesso quasi deserto. Sarà che nel conto ci mettono pure i traghetti da e per il continente che da qui non si vedono. Domanda: si vedrà da qui lo scempio del ponte prossimo futuro? La promessa di una mente alterata dalla necessità di affari, rovinerà ancor di più questa vista? Avremo, oltre al mare azzurro, campate di cavi e cemeto a distoglierci lo sguardo e il cuore da questa poesia di tetti? Non so dire quello che ci darà il futuro, ma Taormina ormai, è anche troppo raggiungibile. Così raggiungibile durante il giorno da mandrie brutte e vocianti, che la sera mi pare abbastanza deserta. Peccato.

Osservo i volti di chi la vive come un'altra Disney World, che arriva, scatta foto incontrollate, applaude all'uscita dalla chiesa dell'immancabile sposa pomeridiana, e poi risale in enormi autobus che bloccano la circolazione in queste strade strettissime, e se ne va a dormire chissà dove, forse in qualche nave attraccata nella rada di Giardini Naxos. Ma non sta qui. Perdendosi la parte più bella del giorno offerto da questo magnifico gioiello: la notte.

Il giorno con la sua luce forte, a picco, i colori sono quelli della Sicilia tradizionale e la ricerca dell'ombra nasconde alla vista piccoli capolavori archiettonici. La sera invece, messa da parte la fretta di raggiungere la funivia e le sue code per scendere al mare, la passeggiata rallenta e l'aria rilascia i profumi. Tutti quelli immaginabili: i fiori, le cucine dei ristoranti, i sigari fumati ai tavolini all'aperto, le scie di persone indegnamente profumate, e sopra tutti, nelle terrazze che guardano al maere quasi 200 metri più in basso, quello del mare. Azzurro e trasparente durante il giorno, una lastra nera e oleosa di notte di cui non mi è dato sentire i rumori.

Dalla terrazza di piazza IX aprile, nelle notti di eruzione, il vulcano attrae l'attenzione per lo show annuale. Quest'anno se ne sta tranquillo e spento, almeno da qui sembra così.

Non c'è il vulcano in vista ma riesco a scorgere il peduncolo esagerato di un fiore di agave. Non ho mai accettano che rappresentasse l'anteprima spettacolare della sua morte. M'intristisce. La pianta, arrivato il suo momento, spara più in alto che può il bozzolo dei suoi semi, come a spedire il suo splendore carnoso e rigido alla ricerca di terreni diversi. E mentre lei marcisce, lì vicino, ma non troppo, rinasceranno altri piccoli germogli a coprire la terra dal sole e dal caldo.

Nessuna terra come questa mi richiama la durezza della vita e la sua capacità di rigenerarsi altre l'uomo e le sue sciocchezze. E mi tocca il cuore in profondità, anche se come per Tiziano Terzani il Giappone, credo che non la capirò mai, pur avendone sposato un germoglio spinoso. Rimarrà sempre un po' non detta, autocelebrandosi nell'orgoglio del suo segreto. E per chi vuole ad ogni costo capire, resta la consolazione dell'omaggio della sua bellezza ruvida e scontrosa. E della sua gente assolutamente inadatta all'ospitalità del viandante, perfetta per accogliere chi appartiene al gruppo, anche se non nato qui. Te ne rendi conto anche prendendo un caffè nel bar vicino casa: sei accolto da chi il mondo lo vede passare forse sperando che si tolga dalle scatole il prima possibile. L'orgoglio di essere una città indipendentemente dal turista di passaggio pervade gli sguardi sfuggenti. Il palcoscenico che ci regalano ripaga però ogni gesto distaccato. E' un posto magico, mi auguro che riescano a conservarlo tale. Per questo rimpiango la mia vecchia pensione che me l'ha fatta scoprire che adesso non c'è più, rimpiangerò il "mio" ristorante "U lantirnaru" che a fine anno lascerà il posto ad un grande albergo, i caffè che chiudono per le vetrine delle grandi firme frequentate da russi brutti e danarosi - le lei secche e bionde, i lui panzuti e in infradito - i negozi di ceramiche sempre più vuoti e sforniti. Tutto cambia. Anche la presenza omosessuale mi pare meno numerosa: poche le coppie individuabili, nessuna che si tiene per meno come un tempo. L'isola felice sta cambiando la fauna centenaria.

Nel frattempo che pesto sui tasti sta scendendo la sera. Non è poesia spicciola, ma vedo un'ultima vela bianca che si dirige verso la osta e la prima luce che si è accesa in Calabria. Anzi due.Tre. Ceneremo in terrazza, poi passeggeremo per il corso.


2 commenti:

titina ha detto...

era l'ora che volge al desio e ai naviganti intenerisce il core..
ciao navigante, sai che ti dico? TI INVIDIO!
ma, non dire che non capisci la sicilia perchè da come ne scrivi direi che la capisci, o quantomeno c'è un'intesa.
e inoltre, qui si dimostra che le persone che sanno far ridere hanno poi una sensibilità speciale (parlo di te).
e mo' basta coi complimenti.
buon proseguimento.

ignominia ha detto...

"because the night belong to lovers, because the night belongs to us"
Patti Smith

Quando torni dobbiamo andare a FI per vedere insieme la mostra di Mapplethorne esposta all'accademia, a contrasto delle opere di Michelangelo. Prima del 26 che chiude, me lo devi!