martedì 27 ottobre 2009

IL RENO NON ESONDA

Secondo P. saper parlare e scrivere correntemente tre lingue diverse significa essere "di lingua facile". Secondo R. destreggiarsi solo con una significa essere "di lingua difficile".
Io sto nel mezzo e non mi lamento.

Comunque. Le due lacrime previste fin da prima della partenza ci sono state. Ma sono state calde di commozione e di gioia per un momento importante nella vita di due cari amici. Sono state silenziose e piene, senza singulti. Son colate sul colletto della camicia senza che nessuno, tranne P. se ne accorgesse, poi si sono dissolte nel freddo della mattina tedesca, quando mi hanno portato fuori dalla sala del Comune dove si era celebrato il MATRIMONIO, per fumare ed attendere gli sposi. Il vento freddo asciuga come il caldo di una giornata d'agosto.


La mattina era fredda e brillante all'inizio e ci eravamo svegliati con un buon anticipo per tutte le operazioni di accurata toilettatura canina che si addicevano a due che si erano portati dietro un'intera valigia di abiti. Fuori c'era il sole e dalle finestre della camera i tetti bassi di Colonia erano bagnati dall'umidità della notte. Dalle finestre delle case vicine non protette da nessuna tenda, nessun movimento percettibile. Le cucine sono ancora vuote. Il profumo del caffè nella sala colazione mi ha rimesso in piedi: pane-burro-marmellata e poi di corsa a lavarsi i denti.
Le strade che percorriamo in tre - io, P. e la cugina di uno degli sposi - erano ancora vuote il sabato mattina alle otto e trenta. Aperte le panetterie che accumulano tonnellate di bomboloni in banchini esterni e sfilze di pane con tutti i cereali possibili e immaginabili. Il profumo del pane da voglia di fermarsi e veder cadere i pezzetti di crosta da quelle forme colorate, mentre ci affondo i denti.
Le strade già pulite. Le panchine vuote e le vetrine serrate a chiusura mattutina. Guido il gruppetto tra le strade pedonali, unico possessore di piantina cittadina e di un vago senso dell'orientamento. Camminiamo veloci. Le chiacchiere son poche e vertono sul freddo che ci fa stare rinchiusi in noi stessi in pose rigidissime, mentre l'argomento matrimonio non viene sfiorato: scaramantici forse, di fronte all'immensità della promessa alla quale andavamo ad assistere.


Gli sposi arrivano subito dopo di noi, in netto anticipo rispetto all'orario comunicato per l'appuntamento, così entriamo nell'accaldata sala del Comune - Rathaus - senza aver avuto neppure il tempo di una sigaretta con calma. Ma da quel gelo bisogna scappare. Seguiamo i bouquets che entrambi gli sposi hanno in mano ed i oro abiti grigi ed eleganti, le loro facce eccitate, gli occhi brillanti e un po' stanchi. I parenti e gli amici subito dietro. C'è posto per i cappotti e mi libero del mio come di uno scafandro.
Strette di mano, incontri e re-incontri, chiacchiere, affidi di amici ad altri amici, lingue diverse che si incrociano - spagnolo, olandese, italiano, inglese, israeliano - su di tutto il tedesco, la lingua ospite. E foto, foto, flash.
E sorrisi ancora di più dei flash. Non ho pensieri particolari in quello stanzone con file di sedie allineate in forma di convegno che ci trattiene dalla sala vera e propria dove si celebrerà in matrimonio. Mi sembra lontana anni luce la frase. "Farà di te
una donna un uomo onesto con questo matrimonio". Sbriciolata nell'esplosione dei luoghi comuni, delle convenzioni che QUI non servono più. E ci lasciano liberi di respirare e a me e P., di camminare mano nella mano, forse per la prima volta nei primi otto anni della nostra storia. Nella mia testa di forma a tratti il pensiero di essere finito nel paese del Bengodi. Non è così. Ma almeno ci rassomiglia e fa di tutto per non perdere quest'immagine. Altre immagini non ci sono: non penso all'Italia, da lì non mi appartiene con tutto il suo repertorio di cazzate clericali.


Attraverso un bel chiostro veniamo introdotti nella medievale sala delle cerimonie. Siamo alla base di una torre. C'è un tavolo dove si accomoderanno l'Ufficiale del Comune da un lato, gli sposi, i testimoni, la traduttrice per coloro di lingua difficile, che sono arrivati da fuori.
C'è un pieno di volti sorridenti tra le persone che assistono. Essendomi accomodato a ridosso del muro per poter vedere i volti degli sposi non ho accesso alle espressioni di coloro che sono seduti davanti a me, ma quelli che stanno in piedi e di G. che farà da traduttrice per tutto il tempo, e ad un certo punto mi prenderà come punto fisso da osservare per sopperire alla mancanza di spavelderia e non soccombere alla timidezza, degli altri dicevo, vedo la serenità e la gioia.
Primo attacco di lacrime quando G. traduce una poesia che la Delegata del Sindaco legge agli sposi una breve poesia che parla di frazioni di tempo da dedicare all'altro. Di quelle schegge di attenzione lanciate là nel corso della giornata che alla fine della settimana fanno dire: "Sì, sono importante per questa persona". G. mi guarda negli occhi mentre traduce: è come se lo dicesse solo a me. E mentre lei si fa forza con me, io mi faccio forza per non far crollare lei dopo di me. Mi trattengo mentre cancello dalla memoria della macchina fotografica tutta una parte del discorso appena ascoltato, per aver abbastanza spazio per tutte le altre foto.
Stringo la mano di P. e si arriva all'internazionale: "Vuoi tu etc. etc.".

Stringo la mano di P. con forza e lui ricambia. E tra un semplice "Ja" e un "Ja, lo voglio", detto dallo sposo tedesco, come a farci sapere a noi lenti di lingua che le sue intenzioni sono serie e si prenderà cura di R., alla fine scoppia l'applauso liberatorio. Al quale non partecipo perché con una mano stringo la mano di P. come a sorreggermi, con l'altra la macchina fotografica che continua a filmare il momento. Solo dopo saprò che il film è venuto decentemente, perché non so voi, ma io attraverso lacrime ed occhiali non vedo bene.


Mi ricompongo, abbraccio gli sposi e vengo trascinato fuori a fumare e a non dare spettacolo di me stesso.
E' finita? No. Prima ci sono il lancio del riso, il lancio dei petali di rosa, il dono di un bimbo che consegna una deliziosa tavoletta di compensato colorato su cui ha attaccato due sposi LEGO che si tengono per mano. E tanto altro ancora.
C'è il suonatore di organetto che gira la ruota per riprodurre il suono della marcia nunziale.
Ci sono le altre coppie che escono dallo stesso comune ma da cerimonie altrui.
C'è il nostro prossimo rifugio: la casa le caffè del Museo di fronte ad offrirci rifugio e rinfresco.


Restano i ricordi nella testa e quelli in formato elettronico con le immagini.
E la certezza di aver vissuto il matrimonio più emozionante a cui abbia mai assistito.
A mezzogiorno, dopo una colazione, ci separiamo sotto un cielo che promette pioggia.
I soliti tre si avviano verso le stanze d'albergo prima di una incontro pomeridiano con gli sposi, una passeggiata, un aperitivo e a finire, una cena tipica.


Ha piovuto, ma né la pioggia, né le mie lacrime hanno gustato la giornata o fatto esondare il Reno. Risalito dalle sue chiatte, il fiume non ha assistito alla rovina di nessuna famiglia perché due uomini si sono sposati. Nessuno è rimasto ferito, nessuno è corso a presentare istanza di divorzio, l'ira divina non si è scatenata. LOL. Tutti hanno invece gioito. Ho un ricordo di gioia dentro di me. Quello che voglio conservare. Mentre il fiume continua indifferente a scorrere.

6 commenti:

ignominia ha detto...

grazie di averci fatti partecipi, ho sentito buona parte della tua emozione. Certo che per te e molti altri questi matrimoni sono inevitabilmente "storici" per cui le emozioni vengono amplificate per il significato che hanno nel mondo di oggi dove tale matrimonio è -ancora- raro e coraggioso. Certo che significa di più per te per tante ragioni personali e perchè, dannazione! questa è un'affermazione del vostro diritto a condividere la vostra felicità di fronte alla legge, e nessuno ve lo dovrebbe poter negare. Ma ahimè viene negato e quindi questo matrimonio ti permette di dire "io c'ero", il giorno in cui -mi auguro presto- nessuno sentirà la particolarità dell'unione di due persone di sesso uguale. Per il resto ti vedo con gli occhi lucidi dentro alla cornice di quegli occhiali che ti stanno tanto bene, e ti vedo finalmente tenere la mano di P in pubblico.

Melinda ha detto...

Ehi! Che fai? Mi fai commuovere anche tu?

ignominia ha detto...

sei proprio cotto bello mio, pronto ad esondare come il Reno.... ti capisco, le forti emozioni non si chiudono come i rubinetti. ho sentito il P da Palermo, speriamo abbia capito qualcosa dell'esperienza, te che dici?

Melinda ha detto...

Quanto meno ha visto che esiste un mondo POSSIBILE e questo non può che fargli bene.
Conto anche io sul fatto che le emozioni non si chiudono come i rubinetti. E meno male che è così. Altrimenti...

titina ha detto...

Meli, ho un treno da prendere ma vorrei lasciare un commento anch'io.
Ci parli di cuore, anima, emozioni, sentimenti, ma anche di aspettative, scelte, impegno e responsabilità. Il che di fronte alla sciatteria dei sentimenti imperante, alla superficialità diffusa e al disimpegno endemico è grande e importante.
L'altra considerazione è che io penso che quando mi commuovo e piango a calde lacrime è perchè vedo qualcosa che nel mio intimo so di non avere e rimpiango. Se per te è lo stesso ti auguro di avere anche te questa cosa che ancora non hai. Di cuore.
Sono stata troppo strappalacrime? Vabbè.

ignominia ha detto...

per me la commozione ha a che vedere con la consapevolezza di essere in un momento unico e per la gioia di esserci. Non c'è come un attimo di pura bellezza per farmi venire le lacrime agli occhi. Attimi strappati al caso, come un gesto aggraziato che uno vede dall'autobus, un commento "colorito" che risveglia ricordi sopiti di altri tempi, e finalmente l'essere presente in un momento storico in cui io vedendomi da fuori come se fosse un film mi emoziono per il fatto di esserci. Sono Scema? (non rispondete, è retorica la domanda! ;-) Buon viaggo a Titina, ti aspetto!