mercoledì 14 dicembre 2016

UFFA È NATALE


fotomiafattadame


Al semaforo vedo la signora accanto a me accoccolarsi per parlare al suo cane, sicuramente un cucciolo. Ad un primo sguardo non sembra portatrice sana di segni di squilibrio: pelliccetta neppure troppo esagerata, borsa elegante al braccio e sacchetto della spesa nella mano del guinzaglio. Una nella norma insomma. Invece di squilibrio ne porta... Ah se ne porta! Perché mentre sta giù piegata spiega al cane, con la voce melensa che si dedica ai bambini, che per attraversare la strada in sicurezza bisogna attendere il verde...
Al cane...
Il cane gira la testa, guarda altrove e non se la fila di pezza. Forse il cane non lo distingue neppure il colore verde.

Arriva il Natale, si avvicinano le feste e diventeremo tutti più buoni. Forse.
Io spero di no, conto nel mantenere anche in questo periodo di luci sfavillanti, un distacco da tutto quello che è il buonismo, altrimenti non mi diverto. Anche quest'anno perderò il treno dello Spirito Natalizio perché ho deciso di non recarmi neppure in stazione. Del resto gli stimoli che mi circondano a sviluppare un innato, perfido cinismo sono così tanti, che rinunciarvi partendo per Gentilandia, mi parrebbe quasi un reato.
Basta che mi metta un cappotto ed esca di casa per vedermi circondato dall'aspetto più sciocco e risibile dell'umanità.

Salto a piè pari l'argomento referendum a cui tanti, troppi hanno partecipato scambiandolo per un golpe invece che per una consultazione popolare, perché ne ho fin sopra i capelli: non ne voglio sentir parlare più fino al prossimo referendum della lista, istituto per il quale nel frattempo avremo sviluppato un patriottico menefreghismo, così da seguir felici le indicazioni dello Zar di turno, che ci inviterà ad andare al mare invece di andare a votare. Che ci piaccia o no sentirlo dire anche questo lo abbiamo fatto, sì sì, pure per argomenti importanti, quindi ne saremmo capaci.

Per esprimere al meglio la mia volontà di non "illuminarmi di melenso" mi piace di più parlare delle cose piccole che vedo in giro, come delle vetrine del Natale che quest'anno mi appaiono minimali, non ridondanti, quasi a proporre un Natale dietetico. Se si escludono quelle di alcune pasticcerie per soli VIP che straboccano di cioccolatini nelle loro cartine metalliche in confezione da due pezzi e fiocco, cesti natalizi cari quanto una notte al Savoy e Papà Natali obesi con la faccia rubizza e il corpo di panettone. Alcuni fatti meglio, altri trasformati in miseri ciccioni con vestiti colanti e appiccicosi, come se le glasse le avessero fatte stendere ad una comunità di gatti in calore. Questi orrori mediamente cari hanno il cartellino del prezzo nascosto. Non si sa mai che ce la fai a fregare qualcuno che per l'imbarazzo di non sembrare un parvenu, comperi comunque l'orrore firmato di cui ha osato chiedere il prezzo, indebitandosi fino al Natale prossimo.

Gli addobbi luminosi lungo le strade? Che ci scampi e liberi. Se non ti muovi fino a Torino, con le sue Luci d'Artista, o fuori Italia fino a Vienna, Londra o qualche altro luogo che non ho visto ma che si è un po' impegnato, devi solo sperare in un po' di nebbia che tutto avvolga e renda impalpabile, nebulosa la stitica serie di lampadine bianche, che va da un lato all'altro della strada senza creare nessun effetto ridondante. Perché questo ho visto nei paraggi, e vivo a Milano.
Dico: non era meglio il nulla rispetto a questi brutti ghirigori? Forse no, meglio poco che nulla: del resto, dicono in Brianza che piuttosto che niente è meglio piuttosto. Lasciamo quindi che il poco evidenzi la differenza tra normalità e giorni di festa.

Io per me mi son fatto tre alberini di natale ricavati da tre libri ripieghi con ossessiva ripetitività. Piccoli ma dignitosi. Minimali forse. Ma più belli delle luminarie viste in giro, economici ed ecologici perché fatti con libri usati, e ben piantati a terra.
Ma è il Natale che volevo così, visto che poi lo festeggerò lavorando. Quindi che Natale è?


domenica 7 agosto 2016

CHI CHIEDE CHE?



fotomiafattadame


Adesso va di moda la frase: " È il mercato che te lo chiede", come se il mercato finanziario, dotato di voce propria, telefonasse a tutti gli operatori del settore e dicesse: "Ehi balengo, guarda che devi fare così, così e cosà!". 

"È il mercato che te lo chiede!", quasi lo urla dentro il bar, il tipo abbigliato da esploratore sfigato della Namibia al suo accompagnatore, mentre aspettano il caffè. È mattina. Mi sono appena alzato e come ogni giorno della mia vita, del mercato non me ne frega una beneamata m.

Io non so esattamente che cosa chieda questo mercato e con che mezzo lo faccia, perché ogni tanto mi sale il dubbio che siano quelli che dichiarano queste lunghe conversazioni, a sentirne le voci come Giovanna D'Arco, ma ho quasi la certezza che, qualunque cosa il sig. Mercato abbia da chiedere, di certo non lo fa il sabato mattina. 
D'agosto. 
Alle 09:15. 
A Torino. 

Non che voglia sminuire in importanza finanziaria la prima capitale del Paese: adoro questa città. Ma perbacco, vorrete mica dirmi che da qui, oggi, ora partirà la salvezza del mondo, vero?

Perché al contrario sono certo che, spesso, questo fantomatico "mercato" il mondo l'abbia ben rovinato, imprimendogli forzature a vantaggio di pochi che nessuno ha voluto o saputo correggere. 

Quindi caro il mio safariota da passeggio in centro, sentiti le tue voci in silenzio ed in privato e lasciami gustare il mio cappuccino e brioche in santa pace, che già il bar è sufficientemente rumoroso: sono io che te lo chiedo. 

Grazie. 


Inviato da iPhone di Giampiero Pancini

lunedì 18 luglio 2016

FARFALLINE

Bimbi miei che delirio!

Avete presente voi che vivete in città quegli strani animaletti che si vedono ormai solo sui libri dei bambini, che di solito piazzano alla lettera effe e hanno il nome di farfalla? 

Ecco, quelle. Le farfalle. 

Essendo sprovvisto per sopraggiunti limiti di età di una nonna che vive in campagna e mi accoglie i fine settimana per una full immersion nella natura, io non ne vedevo da un pezzo e mi ero quasi dimenticato della loro esistenza. Poi cammino per un bosco e mi appaiono svolazzanti, lievi come fiocchi di neve, ai lati del sentiero. 


Son dovuto salire fin su sulle Dolomiti per rivederle dal vivo. Neppure tantissime. Neppure molto variegate in colori e grandezze. Però presenti. Vivaci. Battagliere.

Tranquille a spartirsi i fiori con quelle isteriche delle api, loro srotolano la loro "lingua di Menelik" e si ripassano l'infiorescenza con la tranquillità di regine. Quando le più feticiste di loro non si fissano in maniera imbarazzante sui piedi nudi del mio amico...


Per chi come me vive in città l'ultima opportunità di vederne è quando quelle piccole, malefiche bianche ti si mangiano la lana nell'armadio costringendoti a ricomprare i maglioni ed investire in altrettanti costosi sacchetti puzzolenti, che più che le tarme respingono il genere umano; o quando apri lo sportello delle farine, da troppo tempo chiuso, e le vedi volteggiare allegre per il vano e non, come vorresti, incollate al cartoncino doverosamente attaccato all'anta e devi gettare tutto nel secchio dell'unido, pasta secca compresa; o ancora quando, sempre quelle piccole e bianche - le farfalle bianche cittadine devono essere le più bastarde - ti girano intorno ai gerani e ti comunicano danzando che la tua fioritura da balcone sta andando in malora. Dopo una settimana dall'avvertimento non avrai più un fiore da far penzolare giù dal balcone...


Stabilito che le farfalle piccole e bianche sono portatrici di rotture di coglioni, mi godo le colorate di qua facendo attenzione a non scacciarle o schiacciarle mentre mi arrampico per raccogliere le fragoline di bosco, unica specie vegetale che è consentito raccogliere a mano, insieme a mirtilli o nocciole. Il resto NON SI TOCCA. Multe salate dietro l'angolo per pigne, fiori di campo e funghi senza permesso temporaneo. 


Desolato nel non poter raspare tutto via come chiunque vorrebbe fare seguendo l'istinto animale, in presenza di tanta abbondanza e varietà, mi concentro nella ricerca e raccolta di altre specie. Consentita la cattura ed il consumo delle farfalle-salsiccia, delle farfalle-polenta, di quelle formaggio, speck, funghi al tegame, uova con speck ed altre infinite varianti, ma soprattutto della meravigliosa farfalla-strudel, che qui svolazza sui piatti lasciando zucchero filato come traccia di sé, mi ci lancio senza cerimonie. Ma soprattutto senza sensi di colpa. 


Slurp. 




Inviato da iPhone di Giampiero Pancini

sabato 25 giugno 2016

BREVE TOUR A BUDAPEST




                                                   


Per essere UOMO a Budapest devi guardare incarognito ogni altro uomo che incontri. 
Per essere MASCHIO a Budapest devi avere sotto pelle almeno un quarto di litro d'inchiostro; meglio se a forma di enorme aquila o croce così arzigogolata da parer blasfema.
Ma se sei MASCHIO ALFA, se credi di essere un vero capobranco, un inseminator da razza ariana è bene che al sorgere delle 10 della mattina tu non ti faccia trovare in giro con un "mocachino vanilla latte dopio", ma con un boccale da litro di birra, dal quale suggere camminando e ruttando contemporaneamente. 

Se sei un uomo mingherlino è bene che ti compri in loco e ti abbigli con una maglietta in cui vengono descritte le innumerevoli posizioni in cui intrattenere le femmine locali - perché i maschi alfa permettano ancora di venderle non si capisce: quelle donne potrebbero essere le LORO donne. L'indossare questa maglietta può in qualche modo testimoniare al mondo la tua non evidente virilità. 
Ma se sei un VERO UOMO una qualunque t-shirt basta per coprirti: la riempirai col le tue ascelle pezzate, coi tuoi muscoli tirati ricamati di Tattoo, o con una bella panza da alcool. 

Ora non so bene quanto questi signori stiano bene con loro stessi o nei loro circolini omofobi dove praticare un fraterno, condiviso, diffuso BRO-JOBBING - su google basta digitare brogob per avere spiegazioni - oppure un altrettanto cameratesco, gagliardo e rumoroso sventrapaper-ismo. 
E quanto, sempre questi signori, rappresentino lo stile della maggior parte degli uomini "normali" di questo Paese, scusate la maiuscola: ho speranza che questi eccessi siano solo un fenomeno locale perché questa Nazione ha tirato fuori figli culturalmente avanzati e rappresentativi, per poter essere ricordata solo come un covo di machi intolleranti. Robert Capa, Joseph Pulitzer, Hanry Houdini, John von Neumann. Solo alcuni. 

Io so solo che tutto questo mostrar di ormone fa decisamente ridere. Tanto. Tanto che se non si è mai stati qui, sarebbe bene cercare nelle guide turistiche i punti di maggior afflusso degli esemplari suddetti, per organizzare dei safari fotografici, come in Africa si fa per zebre, gazzelle, giraffe... Chiedo scusa: come in Africa si fa per facoceri, rinoceronti e gorilla - mi scusassero i gorilla. 
Non si dimentichino comunque il Palazzo del Parlamento, il Ponte delle Catene, la città vecchia, il memoriale delle vittime del nazismo sul Danubio, che la maggior parte dei turisti ignora, l'enorme Mercato coperto, e la strapiena Galleria Nazionale d'arte. Anche quelli son bei ricordi da fotografare per portarli a casa. 

E la storica pasticceria Gerbaud, dove a colazione poter mangiare una meravigliosa fetta di torta Dobos, loro specialità, invece che trincare in litrozzo di birra, caracollando per la City ridendo sguaiatamente. 
Ma si sa: noi gay siamo così, siamo strani, siamo un po' troppo portati a goderci il bello della vita. È uno stereotipo, lo so, ma in questo caso calza bene. Altroché se calza! 



giovedì 23 giugno 2016

TAORMINA




fotomiafattadame


Un ultimo sforzo in questo viaggio e sono risalito su fino a Taormina. Un tempo avrei detto "la mia Taormina". 
Un tempo non sarebbe esistita vacanza in Sicilia diversa da quella trascorsa a Taormina, adesso è solo una tappa di un tour. 

È ancora bellissima lì maestosa, adagiata sul crinale a far bella mostra di sé mentre controlla l'ingresso al trafficato stretto di Messina, che neppure si vede ma c'è, perché nelle giornate limpide si vede la Calabria che sembra a due passi. Quindi siamo in vicinanza di "stretto".
È colorata e vivace, piena di fiori, di gente e di così tante gioiellerie che ti stupisci che ci possano essere gioielli di così tanti stili in vendita. 
Poi ci sono le ceramiche tutte belle e tutte colorate, le pasticcerie con la pasta di mandorle, gli immancabili monomarca dell'abbigliamento di alto livello; ma per soddisfare il mare di gente che la invade dall'alba al tramonto, ho trovato vetrine di prodotti cosmetici a bassissimo costo e pizzerie a taglio che, tra l'altro, lavorano a pieno ritmo. 

Non per quello che prima non c'era e adesso c'è che l'ho sentita meno mia. 
Però così è stato. Prima il cuore palpitava ogni qualvolta mettevo piede lassù, anzi ogni volta che progettavo di passarvi qualche giorno. Già la telefonata alla pensione Adele per prenotare una stanza, dava inizio al batticuore: le secche precisazioni della proprietaria nulla toglievano alla magia di cui ella stessa faceva parte. 
Non è che la signora Genoveffa fosse un'arpia, anzi era quanto di più accogliente ci potesse essere a livello di ospitalità, ma commercialmente parlando era un panzer, e con lei i conti dovevano tornare pur col più affezionato degli ospiti. Io. 

Ho passato lì da lei i momenti più sessualmente attivi della mia vita giovane e pure quelli più tristi perché ho sempre considerato quella pensione e quella città, un balsamo per l'anima, un buen retiro quando il mondo è la vita di sconti non me ne facevano. Arrivavo lì in corriera e lasciavo che la magia dei profumi di quel mare e di quella terra fossero rigeneranti, fortissimi, e simulassero una vita felice che magari in quel momento non avevo. 

Ero lì il famigerato 11 settembre, ed ero lì a far finta che mia madre non fosse morta un mese prima. E visto l'accaduto, meno male che ero lì e non altrove. 
Quindi ho un debito verso questo "punto cardinale". E non lo dimentico. 
Infatti appena scendo dall'auto cerco la pensione Adele e la trovo lì, al solito posto, o quanto meno la sua insegna spenta e invecchiata; ma l'hotel è serrato dalla voracità dei padroni dell'immobile, che fecero chiudere la pensione storica per avviare non si sa quale impresa, per poi non venire a capo di nulla. 

Sono io che adesso sono meno pronto a dimenticare le folle umane che risalgono la collina a mattina per una breve visita e la occupano fino al tramonto. Folle di cui anche io faccio parte. 

Le vecchie francesi che mi allontanano con un colpo di gomito dalla balaustra da cui ammiro il mare e l'Etna. Le fiatelle da vodka e fegato spappolato di chi è seduto a
a farsi l'ennesimo cicchetto. Le innumerevoli file di croceristi a zonzo col loro numero adesivo attaccato alle t-shirt. Le famiglie zoccolanti e zigzaganti per il corso nel vano tentativo di contenere i marmocchi. La cinese che cerca di vendere sciarpette di seta. Il negozio che si ostina ad esporre busti del duce in pietra lavica. 
Sì, lo so, c'era tutto anche prima e tutto si sopportava in attesa della sera quando lo sfollamento era palpabile e chi restava su aveva modo di sentirsi nuovamente parte della colonia di ospiti stanziali. Quando ci si guardava attorno e ci si vedeva distaccati anche dalla Sicilia, un'isola nell'isola. E si camminava trascinando i piedi in una qualche conversazione Gino a che il corso principale non fosse diventato deserto ed immobile. 

Quindi non è così cambiata Taormina. Si è solo abbassato il mio livello di sopportazione. Mi mancano probabilmente i mecenati che mi invitavano qui a godermi l'attimo e la vita. Mi manca di vivere tutta la mia vacanza qui. Di scendere al mare al mattino e risalire l'infinito gradinata il pomeriggio. Mi mancano i miei aperitivi all'Arco Rosso e le mie vene a 'U Lanternaru. 

Non potendo riportare indietro le lancette del tempo è bene che viva le ferie in luoghi meno angusti. 


domenica 12 giugno 2016

DOMENICA TI PORTERÒ SUL LAGO



fotomiafattadame

Faccio due passi di domenica pomeriggio intorno alle rive di un lago cittadino a Bucarest. Non è ancora iniziata l'estate ma certo non sono l'unico in sandali e pantaloni corti. 

Anni luce lontani dall'orrorifico concetto socialista del "vestito della domenica", se guardo chi mi circonda, potrei essere ovunque in Europa se non fosse per questa lingua gutturale, sparata con toni aspri in faccia al mondo. Profusione di jeans, sneakers, e telefoni interattivi. 

Ecco, che questo sia stata una capitale del blocco socialista lo si intravede ormai sono in cotonature bionde troppo vaporose e magliette leopardate di signore avanti negli anni. Ma potrei essere benissimo in una balera nostrana. 

Esce il sole tra le piante e fa caldo. Il verde scuro del lago, il verde dei salici, il battello bianco per l'isola, gli stand del cibo, la musica alta, la pace più avanti, con le barche a remi sul lago ed i ragazzi con le fidanzate. 

Nel parco ci sono coppiette giovani, coppiette adolescenti, coppie giovanissime tamarre, coppie mature romanticissime, persone coi pattini, col pancione da birra, con lo skateboard, tanti con la bici, qualcuno che corre, quelli che marciano veloci e altri che, come me, camminano e basta. Cani a forma e sembianza di topo, roseti, case galleggianti, gente che scatta tonnellate di selfie, che se i pixel avessero un peso sprofonderebbero le panchine. 

Girano coni gelato, patatine da passeggio, dolci fritti e rotondi arpionati con lo stecchino, bibite dai colori spaziali che non capisco se sono alcoliche i solo cancerogene, e rotoli di dolci fatti... a rotolo, come il Domopack, che viaggiano per mano avvolti in cellophane rigido che sembra una cartellina da ufficio. Questi tutti li portano in giro ma nessuno li mangia per strada. 

Avanzo fino a teste in bronzo di politici europei, c'è pure De Gasperi ed Altiero Spinelli, disposte in circolo  intorno alla piazza con la bandiera Europea, che la gente ci passa in mezzo e fa tic toc con le dita sui crani enormi e nessuno gli risponde. 

Il mondo riversato all'aperto in un bel pomeriggio festivo. 

Poi arriva uno squadrone di mezza dozzina di biciclette e sento avvicinarsi l'italico idioma con accento lombardo. Starnazzano discorsi alti e esistenziali: parlano di figa.
Uno fa ad un altro: "Ma io non sono come il .... (soprannome maschile), lui esce dal locale, né punta una e via. Io ho bisogno di stabilire un contatto umano prima". Prima di che? Le parole di perdono con l'andata delle bici. 

Resta un fatto però. 
Ok amico, sei frocio, fattene una ragione. 


Inviato da iPhone

sabato 4 giugno 2016

UNIFORMIAMOCI



ilmare.com

È una cosa emotiva quella che sta precipitando addosso a noi che dopo vent'anni cambiamo uniforme. E se ci lasciamo trasportare solo dal "dolore del distacco", senza porre attenzione "all'eccitazione della novità", finiamo per ignorare una delle poche verità dell'esistenza: tutto cambia. 
Non prendiamoci per il culo, è così la storia. 

Certo le cose belle ci piacerebbe restassero per sempre, ma chi ci può garantire che così sarà? Nessuno. E poi, era davvero così bella l'uniforme che stiamo per mettere definitivamente nell'armadio? 
No. Rappresentativa sì, bella proprio no. 

Ora, uscire dalla confort zone di anni e anni di abitudini, e non scordiamolo di critiche e ritocchi sartoriali non autorizzati, può essere dura, ma ragazzi.... Avanti, siamo adulti. Non dobbiamo vivere senza un rene,  rinunciare alla cittadinanza o andare in giro vestito da pervertiti al parco pubblico, no, dobbiamo solo vivere senza pantaloni con le pences che, a dire il vero, a me davano l'impressione di essere portatore sano di LINIDOR. 

Confinato per mia scelta ponderata sui voli brevi, non mi mancherà questa uniforme; mi mancheranno piuttosto tutti i posti dove mi ha portato, le macchine volanti che mi ha fatto cavalcare, i colleghi conosciuti e frequentati, conosciuti ed amati, conosciuti ed odiati; i voli verso il Sud America che non avevano fine di tempo e di richieste, i disciplinati voli verso il Giappone, quelli chiassosi verso l'Australia, i passeggeri isterici di ritorno dall'India perché lì la pace non l'avevano trovata, la maestosità degli aeroporti americani... Etc. etc. etc. 

Quindi guardo la sequela di foto d'addio al l'abito postate dai colleghi che si pubblicano su Facebook non tanto per trovarmi in uno scatto vicino a loro, quanto per rivedere il B767, il B747, l'MD80, Bue, Accra, Bangkok, Washington, e mi commuovo ai ricordi, odori, luci, persone che ritornano. 

Ecco. Con la vecchia uniforme era questo il mio vivere. Ed è questo che mi manca/mancherà di più. Non i tessuti ormai scadenti ed il modello più adatto ad un matrimonio in Ghana che ad una moderna azienda europea. Mi mancherà la gioventù che ha rappresentato. Mettendo il blu nell'armadio e indossando il verde petrolio voglio aprirmi all'ineluttabile nuovo, e sottolineo INELUTTABILE, con spirito positivo.
Come tutte le novità potrà essere deludente? Possibilissimo. Ci sono già appunti da fare? Plausibilissino. Ma sarà la stessa delusione, gli stessi appunti che facevo quando, scartando un uniforme "old style" nuova di pacca, trovavo l'inaspettato, INEVITABILE difetto. 

Lasciamo passare i giorni, lasciamo che finalmente si completino le forniture e prepariamoci a dimenticare questa crisi. Come abbiamo fatto per le cravatte. Facciamo solo in modo di trovare in tutto questo almeno una cosa positiva. Farà bene a noi. 



Inviato da iPhone di Giampiero Pancini