domenica 15 aprile 2012

TURISMO


fotomiafattadame


Non di solo olfatto vive l'uomo, ma anche di vista, di colori, di percezioni cutanee.

Potrebbe essere il freddo, il vento a stimolarle, una giornata di pioggia, o semi pioggia, vissuta pericolosamente tra reperti archeologici ad Agrigento e giardini segreti. Specialmente se questa è il proseguo di un giorno annusato in montagna.

Le colonne doriche bagnate di scrosci: per la prima volta le ho viste di quel caldo colore giallo e dorato insieme, che solo la pioggia può dare. Fin'ora i miei ricordi di quell'area archeologica erano legati al caldo e al sole abbacinate che tutto appiattisce e scolora. Rendendo la bellezza solare e mozzafiato ma meno mozzafiato di adesso.
O forse solo diversa, perché quei templi sotto il sole che picchia non sono certo una stravaganza climatica.

Quindi tra un'apertura e una chiusura di ombrelli, siamo saliti fino al Tempio della Concordia, consolati dalla presenza di pochi turisti - le folle oceaniche presuppongono giornate di cielo limpido - e da una bellezza sconosciuta, rarefatta. Il panorama sugli altri reperti è stranamente autunnale. Nebbioso. Potremmo non essere qui. Ma la realtà colpisce il naso e lascia poco spazio all'equivoco. L'occhio si invaghisce di prati fioriti che stanno ai margini e sorreggono gli ulivi.

Prima ci eravamo immersi nei giardini della Kolymbetra restituiti alla visita dal FAI al quale dobbiamo dire: "Chapeau", senza reticenze.
In un canyon tra pareti di tufo a strapiombo la fioritura e i frutti degli agrumeti, le vasche dell'irrigazione, gli orticelli zappati nella terra scura e pastosa che, umida, si attacca sotto le scarpe e ti incolla eretto se non ti muovi in fretta. L'odore è persistente. E' aspro, oleoso, inebriante, complice il verde scuro e virile delle foglie, l'arancio ed il giallo lucido dei frutti che contrastano col bianco carnoso dei petali dei fiori sullo stesso albero.
E' così tanto, troppo, come suggeriva Titina, da "non saper dove sbattere il capo", o "a chi dare i resti" e più di una sosta è richiesta per riordinare le idee.


Le gite scolastiche scatenano il peggio in me, ma fortunatamente la noia delle spiegazioni, il pantano e la pioggia annientano pure in quelle mandrie la voglia di scappare e disperdersi. Restano le urla inutili da schiavi greci costretti a scavare, lo sciamare sgaNGHeRAto verso le piante da osservare, l'occupazione impunita dei ponticelli da attraversare. Sono viaggi della speranza... Speranza che si facciano un po' furbi. Ma ne dubito!

Scopro che il fico d'india non è una specie autoctona ma importata dall'America - ???!!! - le "altre indie", e che i greci non ne hanno mai viste le pale intorno ai loro templi e mi sembra impossibile...
Non mi va giù. E mi indigno.

Per non farci mancare niente passiamo anche dalla Scala dei Turchi. Non c'è bisogno del sole a picco per capirne il candore e per vederlo sparare la propria luminosità sul blu scuro del cielo in tempesta ma che cerca di aprirsi.

Con questo è troppo. E' tempo di tornare a casa. Mettere il punto e riprendere fiato fino a domani.
Potremmo provare il desiderio di scappare annientati da tanta bellezza. Da troppa bellezza.

2 commenti:

titina ha detto...

Davvero bello, grazie per avermi restituito nel tuo stile le sensazioni e le emozioni, un modo in più per conservare tutto quello, tanto, che abbiamo visto

Melinda ha detto...

Grazie a te