giovedì 28 aprile 2011

FOTO COMPROVANTE E STORIA


Ecco il risultato del pomeriggio di sole mancato:


Un intero catino di CAPONATA-INA.


E una storia di guerra.

Una gentile signora accoglie a pranzo il nipote per parte del marito.
Il giovane arriva in provincia da Palermo e sicuramente è affamato per il viaggio, oltre che per i disagi alimentari a cui tutti sono soggetti durante la seconda guerra mondiale. Sud, centro e nord.
Viene in provincia per riparare dalla guerra? Non si sa.
Quanti anni abbia di preciso neppure, ma essendo giovane, si tratta certamente di una buona forchetta.

Il che va a contrastare con le problematiche dell'epoca: IL RAZIONAMENTO.
Il pane bianco che non si trova e quello di Tumminia che ci si vergogna a mangiare in pubblico perché di colore scuro.
Il pericolo della fucilazione se si va al mulino con il grano da macinare e si tratta di grano che NON si dovrebbe possedere.
Intanto i magazzini sono pieni di orzo e la mancanza di consapevolezza che fosse un prodotto alimentare edibile agli umani lo fa riservare agli animali.
Le campagne sono piene di cibo ma c'è solo la borsa nera per aggirare i razionamenti.
Ed altro. Insomma tutto quello che è più o meno noto a tutti.

Fatto sta che con tutte le ristrettezze presenti, il parente va accolto comunque bene.
Gli viene quindi preparata una CAPONATA ed una volta a tavola il giovane mangia con gusto sia l'intingolo che il prezioso pane offerto.
Mangia e tanto.
Non dimentica però di prodursi in ringraziamenti e complimenti verso la padrona di casa: quello che sta gustando è davvero gustoso, delizioso, sopraffino.
"Grazie, grazie, grazie!".

La padrona di casa osserva elegantemente atterrita il deglutire del nipote che tra un po' avrà finito le scorte di pane della casa per fare la scarpetta a quell'intingolo ed onore a chi l'ha invitato.
Togliere l'insalatiera dalla tavola ed arrestare la razzia, non se ne parla. Eppure quello che era stato preparato era costato faticose ricerche di materia anche lì in campagna.
Ma tant'è: lo sgarbo di interrompere il pranzo non lo si può fare. A costo di rimanere senza pane e companatico il resto della settimana.

Intanto che il nipote mangia si complimenta ancora. "Ma come si chiama questa delizia"?

"Futti-pane", risponde con padronanza linguistica e di sé la padrona di casa.

5 commenti:

ignominia ha detto...

bella, immagini condivisa mentre preparavate la leccornia nel catino... e pensare che ora i pani integrani, neri, di semi e grani misti sono una prelibatezza e costano molto più del pane bianco...
E cosa si paga per l'onore e la dignità, in fame e scomodi, ma ne vale la pena? Io direi di no, ma poi ci si fa comunque in quattro per l'ospitalità... futti-pane - perfetto!
exoryg

UnoQualunque ha detto...

E' proprio vero: chi ha le cose sotto gli occhi quotidianamente, se non le disprezza, le misconosce...io non disprezzo affatto questo alimento dalle note qualità ipocaloriche, tutt'altro (preferisco mangiarne un catino senza pane); ma misconoscevo del tutto la storia.
Per la mia esperienza però, Gno, non credo che in fatto di ospitalità sia questione di onore (come, invece, in tanti altri casi, ahimè). Credo (e in ciò provo il mio unico senso di orgoglio) che sia un sentimento che ci avvicini molto alla tribù, o forse ai nostri antenati. Al sentimento che devono aver provato e che devono provare quelli che condividono per condividere. Poi non so...
ofqcks (saluto tribale, appunto)

UnoQualunque ha detto...

non so se sia stato un lapsus o cosa, ma avrei voluto scrivere che 'disconoscevo' (e non 'misconoscevo') la storia.
e grazie Mel per averla condivisa
(un po' meno grazie per la foto, vista l'acquolina che adesso m'è venuta)

ignominia ha detto...

ca*** avevo scritto un bel commento ad unqua e ho pigiato un tasto sbagliato ed è sparito!
oh well, dovrete credermi sulla parola. Meli la luce di quella foto mi disturba l'appetito, la prossima volta ti prego usa una luce meno viulenta!
rermod

Melinda ha detto...

Igno, è la luce della cucina catturata dal telefono, di meglio non si può fare.
Bella l'idea della trubù, del clan che forse ci farebbe un bel po' di bene se fosse preso ad esempio ed emulato. O forse no. Che alla fine quei sentimenti non sempre sono ragionati per loro natura atavica.
Comunque hanno i loro lati più che positivi.