mercoledì 28 aprile 2010

PERINEO E PARTENZE


Ormai per dimostrare una gioia forte, bisogna emettere una voce forte.
Una risata forte, invadente, che sta in bilico tra quella di un sobrio e quella di un ubriaco dimostra allegria forte. Parecchio.
Così stanotte, verso l'una, tornato dal cinema, sono stato assalito dalle voci che arrivavano dalla strada - urla e risate amplificate - di chi doveva dimostrare al quartiere, meglio al branco che frequenta, quanto si stesse divertendo. Quanto fosse figo essere lì in quella situazione.

Per quel che mi riguarda io venivo da un film giapponese, fatto di silenzi e linee oblique, di colori che erano sfumature del grigio, di musica alta - nel senso di alta qualità, non a tutto volume - e lì per lì, ho avuto la tentazione di riportare al silenzio la massa di decerebrati, attraverso il lancio obliquo di un vaso dal quarto piano, onde poter ammirare la materia grigia sparsa sul marciapiedi nuovo, ed andare a letto rigenerato, cullato dal suono della musica alta dell'ambulanza che si precipita.

Per questa composizione meglio il vaso in plastica di circa 20 litri, con dentro l'iris che sta per sbocciare, oppure il piccolo germoglio di quercia nel minuscolo vaso in coccio? Il primo!

Lo avrei sollevato con leggerezza vista l'anteprima cinematografica svoltasi a contrarre e decontrarre LO perineo e gli addominali durante la lezione di yoga. A proposito, i miei addominali vanno meglio ma ancora non ne vogliono sapere di sollevare le mie gambe in un movimento congiunto con LO perineo. Io mi esercito e quando riusciranno a sbattere le gambe e il bacino al di là delle mia testa in una posizione di fellazione dannunziana vi farò sapere... O forse no.

Ma torniamo all'argomento che mi ha fatto accendere il computer, che non sono le scimmie urlatrici o le lezioni a cercare di riportare un po' di agilità in questo vecchio corpo di gallina, ormai pronto alla bollitura. L'argomento era il film: "DEPARTURES" di Yogiro Takita che si è meritato l'Oscar come miglior film straniero quest'anno. Se avete tempo e voglia, ma soprattutto, trattandosi di un film giapponese, pazienza, andatelo a vedere certi di trovarvi di fronte ad una storia di un'eleganza senza pari.
Di cosa parla è resto detto. Un giovane e bel musicista di violoncello si trasferisce con la moglie nel paese natale quando la sua orchestra viene chiusa. Lì trova lavoro in un agenzia di ricomposizione, vestizione e trucco defunti. E attraverso l'arte del ridare dignità, bellezza, rispetto alle salme, ritrova un filo diretto con la musica ed il padre, che l'ha abbandonato da bambino. Nel frattempo fa tanti bagni.... E meno male!
Non è un giallo.
E' un film dove l'eleganza del Giappone viene messa in mostra durante la cerimonia di vestizione del cadavere, eseguita di fronte alla famiglia del defunto riunita ad assistere. Un eleganza fatta di gesti, linee dritte ed oblique, colori tenui, silenzi interrotti solo dal fruscio dei tessuti, Elegante è preservare il corpo del defunto dagli sguardi altrui e quindi lavarlo e vestirlo, senza che gli astanti non ne vedano che la sola faccia. Elegante è il silenzio in cui quasi tutte le scene si svolgono. Elegante è quel gran figo di Masahiro Mitoki, protagonista del film, sempre in giacca, gilè e cravatta. O quasi.
Fate caso alla perfezione della linea della schiena del protagonista, inclinata a porgere un fazzoletto per lavare la fatica dalla fronte della vecchia proprietaria del bagno pubblico. E fate caso all'angolo perfetto delle sue braccia leggermente piegate nel gesto contemporaneo del porgere. Fate caso a come l'immagine viene composta, con quale rara perfezione e sobrietà ed allora capirete perché amo tanto il Giappone.
Che insieme a Boston è l'unico posto che mi manca del mio lavoro.

Certo il Giappone che ho conosciuto io è ben lontano da questo tipo di cerimonie. Ma poi non troppo e lo si vedeva dalla cura con cui la l'anziana signora friggeva le mie foglie di acero, aiutandosi con le bacchette, per prepararmi un piccolo snack prima della passeggiata. Oppure dalla cura con cui ogni pezzo di sushi viene posto sul piattino da cui lo si mangia, anche nel più infimo dei ristoranti. Oppure dal fatto che qualunque cosa ti viene porta, sia essa il resto o un biglietto del treno, il pacchetto con gli acquisti, o il piatto di portata, ti viene sempre data con due mani, mai con una mano sola. Senza neppure nominare l'inchino. Che a forza di vederlo fare alla fine della permanenza ti viene da farlo anche a te.
Mi fermo con gli esempi.
Amo quel paese e mi manca. Ieri sera ho respirato un po' d'aria buona.


2 commenti:

ignominia ha detto...

come hai colto l'eleganza Giapponese, Meli, bravissima. L'hai visto al cinema il film? Che bello! Io sto ancora aspettando la versione DVD che non abbia il sonoro fuori sincronia... Noi abbiamo rivisto WONDERFURU RAIFU qualche sera fa che è un'altro capolavoro sebbene diverso e non così stilizzato come Departures. L'argomento è lo stesso ma visto dall'altra parte....
Mi piace come nei film Giapponesi, il silenzio sia così prominente. Un silenzio anche non sonoro, me riflesso nella lentezza e premeditatezza dei gesti, che invitano quasi a trattenere il fiato come per non disturbare la scena neanche con il suono del respiro dentro di noi...
Perchè Boston?

Melinda ha detto...

Io e te dovremmo scrivere insieme... la tua frase "il silenzio anche non sonoro" è bellissima e RENDE in toto la mia idea.
Visto al cinema.
Boston perché ha questi meravigliosi luoghi dove il silenzio non è sonoro ma d'immagine, di momento. Confesso di guardare Crossing Jordan sulla 7 solo per le immagini della città.