martedì 23 febbraio 2016

ASPETTANDO LA FINE - PRE CIRINNÀ







Non so come andrà a finire questa storia: i risultati del ciclopico scontro di civiltà si potrebbero avere già questa settimana, ma per i risultati finali non c'è ancora una data sicura. 
Se vincerà il medioevo continuerò ad avere diritti di cittadinanza diversi dagli altri, ma gli stessi doveri. Se invece vincerà la ragione, altri come me potranno usufruire di possibilità affettive riservate, adesso, solo ai più ricchi. 

Si possono e si devono avere opinioni e pensieri diversi anche se poche volte come adesso, ho assistito ad uno sfoggio di ignoranza, nel senso puro del termine, assunta a dottrina, pensiero, opinione. Poche volte ho visto persone vantarsi con così tanta foga del proprio NON sapere, rimarcare aspetti falsi e preconcetti barbari.  
E mentre da una parte alle manifestazioni in piazza si andava colla sveglia, dall'altra si rispondeva con raduni "oceanici" armati di rosario e megafono. In entrambe le occasioni l'unica vincitrice è stata l'applicazioni per smartphone "Grinder" accesa ovunque e da qualunque fazione per la ricerca di sesso omosessuale.  

Vedremo come andrà quando i giochi saranno fatti e vedremo chi vincerà ed a che prezzo. Perché non sarà gratis, ne sono certo. 
Potrebbe ancora accadere di tutto in un Paese nel quale sono stati capaci di far cadere un governo piuttosto che vendere una compagnia aerea all'unico compratore plausibile, finanziariamente solvibile, che garantiva il minor costo sociale nel passaggio. 
Di buono c'è che, forse, comunque vada, qualcosa è cambiato. E deve essere cambiato anche a livello di percezione di marketing commerciale se così tante aziende hanno deciso di mettere la faccia a favore delle unioni registrate dall'anagrafe, di qualsiasi sesso i componenti siano. Fino a poco tempo fa l'unione gay era una questione marginale e probabilmente pericolosa per essere assunta a livello di campagna pubblicitaria. Ora invece qualcuno sceglie di spostare l'accento per accaparrarsi le simpatie di un "certo gruppo" di consumatori. È solo marcheting? Possibile. 
Mi permetto però di ricordare che questo marcheting poteva essere più facilmente fatto pubblicizzando le idee medievali della parte che la pensa in modo contrario. Parte che, unita al numero di coloro favorevoli alle unioni omosessuali ma non ne è direttamente interessato perché eterosessuale, è la percentuale maggiore nel Paese. Quindi se si è disposti a mettere il proprio logo in favore, vuol dire che le possibilità di marketing sono rassicuranti e lo schifo verso certe realtà è qualcosa di marginale. Marginale anche se rumoroso. Orrendo e bugiardo. Ribadisco: bugiardo. 

Perché è possibile essere contrari ma non è certamente coretto definire questi rapporti confusi: quando lo fossero sarebbe solo per le discriminazioni alle quali vengono sottoposti coloro che le vivono, da parte di chi tali le definisce.

Con questa incertezza ci avviamo a percorrere la settimana che dovrebbe portare alla fine della vicenda incerti sul metodo, canguro o non canguro, stralcio o non stralcio, M5S sì Movimento 5 Stelle no che verrà adottato. E personalmente rattristato da tutta la cattiveria messa in campo dalle parti in causa e che alla fine verrà pagata dalle minori tutele che i bimbi nati e cresciuti nelle coppie omosessuali avranno. Perché alla fine questo governo che ha mandato allo sbaraglio l'Onorevole Cirinnà, pare non abbia nè la forza, ma tanto meno la volontà di portare a casa una legge che dia davvero dei diritti uguali per tutti. 

Ecco perché, se ci sarà lo stralcio, penserò comunque di andarmene da questo paese elitario e clericale. Magari non riuscirò a farlo. Però ci penserò ancora più seriamente che in passato. 


Per finire un piccolo elenco assolutamente velleitario ed incompleto di coloro che cono disperatamente contro. Qualunque cosa venga approvata loro saranno contro. E sono tutti belli:
Formigoni,
La Meloni;
Adinolfi;
Scillipoti;
Gasparri;
Maroni;
ah, dimenticavo la Vanoni e Margioglio. 





Inviato da iPhone

giovedì 11 febbraio 2016

MA BUONGIORNO!




simpsons.wikia.com


Non capisco che ci trovi la gente ad andare in TV a fare la figura dell'idiota. Non bastavano i tanti che si espongono in rete, nei social fotografici/cinguettati/faccialibrati - come il sottoscritto. Bisognava eruttare presenza di se stessi anche in TV. Che poi è stato il primo dei veri social, prima che le altre app distruggessero i diari chiusi da un patetico lucchetto che ogni madre di media grandezza era in grado di forzare, e consegnassero ai consumatori di Moleskine un alone romantico. 

Prendi quelli che chiamano la tata a rimettere in riga i figli indemoniati, prodotti dal maleficio dell'unione feconda di due incapaci. Lei, la tata poveraccia, va là solo per fare quello che avrebbero dovuto fare i genitori fin dal momento in cui hanno saputo di essere in dolce attesa: fare gli adulti. 
Loro invece no: non gli riesce neppure di ragionarlo come un pensiero astratto, un'idea irrazionale che siano loro gli adulti e le presenze pestifere i figli e stanno impuniti a perpetrare nell'errore. 

Nell'orrore. 

E cosi, neppure nel momento di richiedere aiuto, e Dio solo sa se ne hanno bisogno, loro non vanno da un terapista. Non parlano con un educatore. Non sentono un parente che pare abbia avuto maggior successo nello svezzare "le creature". No, vanno in TV. E grazie a Dio solo il 3 o 4% dello share nazionale può vedere bene che buscheri sono! Perché non li sfiora neppure lontanamente di essere loro la causa dei loro stessi problemi. Se così fosse si rintanerebbero in solaio ad elaborare una strategia di successo. 
Ed i figli cresceranno con la convinzione che sono una bella famiglia perché sono stati su La7. 

Oso immaginare che crescere i figli sia un lavoro sfibrante, continuo, senza garanzia di successo, ma questi esagerano. Accetto pure che mi si dica che non avendo figli: "Non posso capire", anche se come ho detto altre volte mi arrogo il diritto di parlare in quanto futuro concittadino di quei mostri urlanti. Pure io devo essere stato un figlio mica facile da gestire! Mettici pure che i due poveri genitori hanno dovuto inventarsi tutto di sana pianta: e chi lo aveva mai cresciuto prima un figlio omosessuale? Che paragoni potevano avere per saper come gestire la situazione, la vergogna? Nessun paragone. E all'inizio, credo, tanta vergogna. 
Ma ci hanno provato e ci son riusciti decentemente. In silenzio, senza chiamare la radio, neppure "Chiamate Roma 3131", che mia madre ascoltava religiosamente tutte le mattine. Non sono un serial killer, e neppure le mie sorelle, che neppure loro sono passate in famiglia come una ventata di ottimismo, lo sono. 

Siamo stati adolescenti ed adulti come molti altri, coi conflitti e le caparbietà non molto diversi da quelli di adesso. 
Certo il regime di autorità durante l'infanzia è stato ben diverso da quello che vedo ora spacciato come tale: addirittura quella nazista di mia madre mi obbligava a chiedere scusa se disturbavo e usare parole strane tipo: "grazie", "prego", costruzioni linguistiche difficilissime con: "per favore". Mi impediva di rivolgermi agli adulti dandogli del tu come se fossero coetanei... E tanto altro che mi ha segnato "profondamente". Anni di terapia da adulto per scoprire che avevano fatto di me una PERSONA EDUCATA!!!! Ma si può?

Quindi? Quindi, dico io, se ce l'hanno fatta loro, con nessun mezzo a disposizione tranne la caparbietà e l'amore, perché adesso si deve passare per la TV? 

Potete dire che oggi è diverso fino allo sfinimento che le cose sono cambiate, la società si è evoluta, i bimbi sono costretti ad apprendere più dai network che dai nonni; ma accertato che effettivamente le cose si sono "evolute", nulla mi fa cambiare idea sul fatto che io a quelli, glieli toglierei i figli. Dichiarerei i due incapaci e li affiderei si servizi sociali. Loro, i genitori. Mentre i bimbi spalmati equamente tra i nonni: che si prendessero la responsabilità di aver cresciuto due beoti in grado di prolificare. 


Inviato da iPhone di Giampiero Pancini

venerdì 15 gennaio 2016

CORI RUSSI




www.ilpost.it

🎶 "Non sopporto i cori russi,
la musica finto rock,
la new wave italiana,
Il free jazz, punk inglese...", cantava e canta ancora il poeta. 

Invece ieri sera sono andato a vedere il Coro e Complesso di Ballo dell'Armata Russa, "Armata" che con un semplice cambio di vocale è uscita dall'era comunista. E mi son divertito: il miglior gruppo orchestrale bombardone mai sentito in un teatro sinfonico. Il miglior coro di artisti bassi, e non solo di statura, che abbia mai ascoltato; certo quella divisa col cappello a eliporto non slancia.
Poco importa che la musica sia troppo spesso un bombardamento di marce in salita che si concludono inevitabilmente con un danno ai timpani. Che i coristi abbiano diaframmi e strumenti possenti. Che l'età dei militari componenti il coro vada dai venti ai sessanta. Che i direttori d'orchestra siamo due, uno definito "principale" che si presenta con una gran medaglia pendente dal petto ed uno addetto solo alla musica suonata per i ballerini, il che provoca continui cambi sul podio e la richiesta di ulteriori applausi.  

Poco importa perché le marce trionfali, vigorose, maschie che l'ensemble propone, coinvolgono la platea in furiosi, spesso fuori tempo battimani, che se ci provassero a sbagliare così a Vienna per il Concerto di Capodanno li radierebbero subito dalla sala. A vita! Rausch!
Ma l'accento popolare della serata si vede anche da questo. E non solo. Si vede, anzi si ascolta pure dalla presentazione del gruppo enunciata in un accento russo da operetta. Sul nulla di decoro che completa le scene grigie. Sul pubblico mai così poco in pompa magna, come questa sera. 

I solisti del coro si esibiscono evitando in maniera pedissequa di trovarsi illuminati dalla luce dei riflettori: con l'eliporto piazzato in testa l'effetto sul volto è spettrale. Prendono con dignità i loro personali applausi e li dividono, "collettivamente" col coro che li ha accompagnati, mai oltre il secondo, rigido inchino. 

Le ballerine sono vestite con abiti bellissimi, emettono squittii e urletti, ballano benissimo ed il massimo che si beccano è un applauso di riporto per un passo di danza che le fa roteare per tutto il palco, mostrando i casti mutandoni. Una di loro ha un vitino non proprio da libellula... Ma le cinture piazzate sotto il seno aiutano sempre. 

I ballerini, loro indossano i leggings con le casacche, fischiano ed urlano, ballano e si beccano tutti gli applausi perché i loro passi son tutti acrobatici. Più d'uno ha la pancia gagliarda e quando si tratta di rotolare sulla schiena, dalla sinistra alla destra del palco, indossano una giacca nera che non c'entra nulla col costume, ma così non macchiano la casacca. 

Dei brani non capisci una mazza. Sono in russo tranne il coro degli schiavi del Nabucco che cantano alla fine. 
Riconosci "Kalinka Moja!" ed il "Casatchiok" di Dori Ghezzi e scopri che quando lei canta: "Kasachiok è il ballo della steppa" il motivo originale fa solo un gran: "La lalla lalla la".   Del "Canto dei battellieri del Volga" nessuna traccia. 

Effetti luminosi? Nulla. 
Effetti sonori? Solo la chitarra elettrica inserita nell'orchestra classica. 
Scena? Ho già detto: grigi teloni. 
Sipario? Non c'è. Tutti entrano ed escono di scena come in un dramma di B. Brecht. 

Ma il tutto risulta divertente, godibile e allegro. Bella serata. 

"Non sopporto i cori russi,
la musica finto rock,
la new wave italiana,
Il free jazz, punk inglese. 
Neanche la nera africana! 🎶".



Inviato da iPhone 

martedì 5 gennaio 2016

AL MUSEO CON GLI AMICI



www.napolike.it

Oggi sono andato con due amici al museo. 
Per entrare al museo si fa una coda lunga un chilometro e mentre si sta in piedi si parla con le signore anziane che ti chiedono perché ci sia tanta gente in coda, davanti, al museo. 
Poi le signore anziane escono dalla coda, non prima di essersi fatte promettere di conservar loro il posto, per accogliere altre signore anziane che si erano perse, e loro la coda non la fanno perché hanno le gambe che gli fanno male. E hanno i nipoti che non vogliono stare in fila, ordinati. 

Durante la coda si possono ascoltare i discorsi degli altri ed ogni tanto si fa un passo in avanti. Quando siamo fortunati due. Indietro non si torna mai, gli altri non te lo consentono. 

Gli amici che ci raggiungono quando siamo congelati dal freddo che fa, non ti portano neppure una tazza di caffèlatte caldo perché erano in ansia perché erano in ritardo. E neppure un biscotto: mannaggia alla fretta! Quelli che passano accanto per andare in fondo alla coda ti guardano con odio perché tu sei più avanti di loro e loro non hanno amici a tenergli il posto. Ma non per questo li lasciamo passare avanti. Altri ci contano e più o meno decidono che "di coglioni in coda ce n'è abbastanza" e tornano a casa loro. 

Più stiamo fermi e più mi chiedo se questo signor Monet lo sa che ci sono tante persone che aspettano per entrare a vedere i suoi quadri. E per fortuna che non piove altrimenti più che un quadro di Monet potemmo essere "In un olio di Callebotte", dice uno che ha l'aria di averne visti parecchi di musei. Non conosco neppure il signor Caillebotte, ma immagino che gli piacciano le persone fangose e senza ombrello. 

Esce il sole ma noi cambiamo posto perché non ci muoviamo più ed andiamo verso gli stampini del signor Matisse: lì si spera di entrare. 
Forse sì perché davanti alla sua porta c'è meno gente. Penso che sia meno bravo del signor Monet se nessuno vuol vedere i suoi quadri. Non proprio nessuno nessuno, perché  siamo dentro velocissimamente e le persone, tante, stavano dentro e non fuori ed il mio zaino finisce dentro un cassone chiuso a chiave sennò non mi fanno entrare. 

Il signor Matisse aveva molti amici e ci sono molte pitture di tutti loro. In ogni stanza c'è un quadro suo e gli altri sono di questi altri signori: il signor Picasso, il signor Renoir, il signor  Modigliani, il signor Braque, il signor Derain, Léger e Severini che era nato a Cortona, in Italia. Alcuni di questi signori li hanno chiamati belve/selvaggi, e non per fargli un complimento... Però loro se ne vantarono e si riunirono in un circolo che si chiamava così: le belve. 
Più di tutte mi piacciono le pitture di Picasso perché per lui tutti i lati delle persone o delle cose devo essere dipinti sulla stessa faccia del foglio. 
A me non piacciono molto tutti quei segni, le stelle, le figure di uomini che ballano, sembrano i collage coi figli colorati, neanche tagliati tanto bene, però i colori sono belli. Mi dicono che il Matisse li faceva quando ormai era anziano e famoso e anche un po' malato. Prima dipingeva come tutti gli altri. 

Alle fine usciamo e c'è anche il sole fuori. Meno male che ora fa un po' caldo. 
Uno dei miei amici dice che da questa mostra si capisce che, di certo, le belve erano un gruppo di amici a cui piaceva senza dubbio quella cosa lì delle ragazze. Tutti ridono, rido anche io. 

Ora mangiamo che ho fame. Pastasciutta di Torino. Insalata di Torino, panettone di Torino. 
Mi piace proprio questa Torino. 


Inviato da iPhone 

sabato 26 dicembre 2015

TRONFIO DI PANETTONE



giallozafferano.it

Tronfio di panettone guardo la collega che non conosco. La saluto con un cenno da lontano pensando a quanta gente, in azienda, mi sia ancora estranea. Eppure navigo in questi corridoi da più di vent'anni, possibile che non ci siamo mai incontrati? La mente vaga vagabonda nell'attesa che la mia giornata lavorativa si compia: ho il tempo per annoiarmi non dovendo far altro che farmi portare dal punto B al punto A senza avere il dovere di impegnarmi in alcunché. 

Obbedientemente seduto al mio posto la guardo meglio. Ma certo che la conosco: abbiamo lavorato assieme! Certamente non ricordo né dove, né quando questo sia accaduto; tanto meno posso far risalire dal nero più nero della mia memoria, quale sia il suo nome. Ma è voce comune, provata, che io non abbia memoria dei nomi infiniti che mi transitano a fianco: nel giro di quattro giorni posso dimenticare il nome di chiunque: mettetemi alla prova? 
Al contrario le facce restano impresse indelebilmente nella classifica basica di: "conosco", "non conosco", che, divisa nettamente in due da un rigo verticale, porto dentro l'hard disk biologico. 

Il motivo per cui non l'avevo riconosciuta ad un primo sguardo è dovuto al fatto che tra oggi ed il momento, sia chiaro non lontano, nel quale abbiamo lavorato insieme, il suo volto è stato rimaneggiato selvaggiamente da un lifting cattivo e prepotente. 

L'operazione ha innanzitutto rosicchiato il lobo dell'orecchio che, da tondeggiante, incuneato sopra il baratro delle profondità dell'orecchio esterno, trampolino pendilo nel vuoto caldo e colloso, è scomparso, diventando il lato geometrico di una piscina, probabilmente sporca ed inospitale. Un costone diritto di diga da cui fare il bungy jumping legati al cotton fioc. Dietro l'orecchio zona non raggiunta dal trucco, un reticolo di cicatrici sottili e rosate. 

I vuoti naturali del volto sono stati sapientemente riempiti così che ogni increspatura potesse essere livellata in un unico massetto pre-piastrellatura che sa di fragile e gonfio. 

In questo arricchimento di volumi le labbra sono state adeguatamente sopraelevate, anche se il lato destro di quello superiore risulta essere un po' più basso del sinistro. 

Trucco abbondante ad esasperare il tono orientale dell'occhio, anche se la collega NON È cinese, e ricciolo birichino che cade simmetrico sulle guance, completano il parrucco. Lei china la testa ed anche quello si rivela un sistema frangia/frontale posticcio, fermagliato in alto. 
Il tutto un capolavoro d'ingegneria meccanica. 

Lo so bene che ricorrere al trattamento estetico può essere sia una necessità che una scelta: dice bene quel saggio che raccomanda di non giudicare mai le necessità/scelte altrui, non avendo certezza di quali stati d'animo vi si celino dietro.  Eppoi ancora vige la libertà di scelta e di pensiero, o almeno credo... Quindi reprimo la critica ma ne racconto solo i risultati.
L'importante è che il progetto edilizio sia stato attuato cercando di piacersi prima che di piacere. 

Però mi arrogo in ultimo il diritto di dubitare della terza abbondante in coppa C. Credo di poterlo pensare. 
Non che la cosa mi interessi: mi appassiona solo l'aspetto etnografico del fenomeno di costruzione DELLA BELLEZZA. 

Rischio di diventare maleducato a guardare così insistentemente. Mi viene in aiuto uno sgradevole gruppo di quelle checche esibizioniste, fastidiose e rumorose non meno esibizioniste, fastidiose e rumorose dei loro confratelli etero/smargiassi. Blaterano a voce alta verità assolute, ricordano insulsi ricordi comuni, fanno casino per il gusto di dire che ci sono. Non è mai stata una questione di genere: i rompiscatole travalicano tutti gli steccati. 

Le ascolto un po' divertito constatando che, in gruppo, tutti si divertono un po' più rumorosamente del dovuto. 
Naturalmente la collega si accorge di loro e si unisce al gruppo: come potevo dubitarne?! Elevando il livello di baracconaggine ben oltre la cupola della compianta Moira Orfei. Diventano amici da subito, di quell'amicizia profondissima ed istantanea che unisce solo coloro che si riconoscono come UGUALI. Ci manca solo lo scambio dell'indirizzo del chirurgo estetico poi siamo apposto. 

Per fortuna il volo dura solo un ora e venti. Più o meno sono già arrivato a Milano. Qui potrò dimenticare tutti in un attimo. Anzi, l'ho già fatto. 

Pure la collega che non so che faccia avrà quando ci ritroveremo ancora. 

Buone feste. 


Inviato da iPhone

giovedì 10 dicembre 2015

A ZONZO PER PREMIO



ilrespiro.eu


La cosa che fa più male passando davanti al Parlamento è vedere tutte le persone che stanno protestando, transennate a debita distanza, avvolte in questa bolla d'indifferenza che dal Palazzo esce, rotola e le ingloba. Come se non fossero lì. Come se i cartelli che espongono fossero bianchi invece che scritti. 
Neppure le telecamere dei giornalisti televisivi che trasmettono dal selciato, ostentando baldanza d'incarico, osano girarsi verso di loro. Eppure sono sempre interessati a tutto quello che è scontro, è polemica, è difficoltà: la lacrima, il cruccio provocato dalle miserie altrui vende sempre bene. Ma pare molto più interessante scapicollarsi verso l'inutile politico di passaggio, piuttosto che capire le rimostranze dei suoi elettori. 

Ed il fatto che ci sia "sempre" qualcuno che protesta davanti al Palazzo non giustifica l'indifferenza di nessuno, anzi dovrebbe essere uno stimolo a capirne il perché.

Roma mi ha accolto con una mattinata di sole spettacolare: l'aria tersa parrebbe quasi nordica se la luce non fosse ambrata e calda. La metropoli vive e si muove con vigore, l'oretta che mi separa dell'appuntamento per il quale sono sceso in città, voglio passarla a passeggiare per il centro centro: quello di via Condotti e limitrofe. 

Vedo cose bellissime, gioielli mozzafiato, vestiti per le feste, oggetti dal prezzo così alto da domandare dove possa essere il valore effettivo dell'oggetto decontestualizzato dal marchio e dalla boutique. Ragionamenti perdenti fin dal principio perché tutto è contesto, tutto è marchio. 

Decido che la giornata è così intensamente bella, sorridente, accogliente nonostante l'avvocato che dovrò vedere, che mi merito una passeggiata più in là delle vetrine addobbate. Metto su google maps e mi immergo nei viali di Villa Borghese. 

Che dire? Spettacolare. Frizzante. Un mondo verde che ti fa dimenticare che sotto il ponte che attraverso scorre un'arteria trafficatissima. Neppure il guardone che scende a spiare la coppietta  che pomicia, già con la mano a rastrellare il batacchio dalla patta, mi infastidisce. Mi provoca invece una risata alta che si perde tra le note della tromba del musicista di strada. 
Passeggio godendomi la brillantezza dell'aria tiepida senza lo stress dell'orario  dell'appuntamento imminente a cui arriverò spaccando il minuto per essermi perso lungo la stessa strada. Aspiro in cerca di profumi che l'aria quasi primaverile promette ma non può mantenere e, perdonatemi, non riesco a preoccuparmi per i disagi provocati dai parcheggi rimossi intorno alle splendide palazzine delle Ambasciate per il piano sicurezza richiesto dal Giubileo. 

Il panorama che mi fa planare sui tetti della Capitale è mozzafiato. Non posso non fermarmi, appoggiare la cartella a terra e le mani sul marmo tiepido della balconata. Riconosco i tetti e le maestose facciate degli edifici più famosi ed ammiro quello di una chiesa coperto di muschio verde a cui non so dare un nome: una macchia di colore in questa luce traversa che tutto sembra dorare. Immagino tutta la gente che, nascosta, passeggerà loro intorno o transiterà in religioso silenzio al loro interno. Una massa invisibile da qui e quindi irrilevante. 
Godo del privilegio di questa vista che alcuni godono dopo migliaia di chilometri passati a volare e mi riempie la tenerezza di quando, in questa città, mi sono per la prima volta innamorato. Innamorato sul serio intendo - senza offesa per gli amori di "prima". Sarò passato pure di qui, allora? Chissà. 
Quelli erano tempi di ore passate a zonzo per la città, angoli che non saprei ritrovare, sapori ed emozioni che non potevano che diventare consuetudini nel tempo, ricerca affannosa di alberghi accoglienti per esprimere i bisogni dei corpi nudi. E la tolleranza dei passanti al procedere di due giovani uomini, impavidi, mano nella mano. 

È il suo aver accolto questo sentimento prepotentissimo a darmi la grazia di non giudicare questa città come intollerabile anche quando lo è. È una tenerezza ed una mancanza di obiettività dovuta, che non fatico a ricordare. 

Lascio la balconata e proseguo verso il mio appuntamento che nulla di romantico ha. Ma se in queste pochissime ore sarò sereno a prescindere... Beh, lo devo a questa vista. 
Perché Roma è molto bella oggi. 


Inviato da iPhone di Melinda

martedì 8 dicembre 2015

CONSIDERAZIONI IN ATTESA DEL REGALO DI NATALE.



attaccabrighe.it


Gli adesivi sul retro delle auto che richiedono a chi sta dietro maggior prudenza alla guida perché a bordo c'è un bebè, mi irritano senza rimedio per non dir peggio. 
La mia guida è già egoisticamente prudente a prescindere da quell'avviso: tengo a me più che a chiunque altro, alla mia auto più che alla tua. E quindi che tu mi faccia sapere che hai generato la cosa non cambia. E non cambia neppure il risultato finale da ottenere: tutti a casa sani e salvi. Io, la mia auto, la tua ed i suoi occupanti. 

A questo vorrei aggiungere che se dopo aver letto che la tua pargola si chiama Francesca, ti sorpasso e mentre guidi stai digitando un messaggino sull'iPhone, beh il vaffa ci calza a pennello. E nutro fortissimamente la speranza di poterti rincontrare per lasciare un bel post.it sull'adesivo che recita più o meno così: "Quindi?". 
Se guidi con l'attenzione di un cercopiteco in coma, non rompere le balle al mondo. 

Le auto sono da sempre portatrici di messaggi imbarazzanti. Un tempo, questi messaggi, erano relegati all'interno, sui cruscotti metallici, ad orrende calamite che portavano foto di figli che imploravano di rallentare la velocità relativa, santi di ogni genere e misura con preferenza giustificata per San Cristoforo. Ne ho vendute a centinaia nella mia precedente vita in tabaccheria. 
A distruggere il sogno delle calamite ed a transitarle sui frigoriferi delle case, sono arrivati i cruscotti fatti di materiali sintetici. 
È nato quindi l'arbre magique che in breve è diventato il segno distintivo del proprietario. Gli orrori raggiunti in questo spiegamento di alberelli dal profumo intensissimo, sono stati tali che da simbolo di cura dell'auto, sono diventati indicatori di pochissima, o nessuna raffinatezza. Ne ho visto interi grappoli penzolare dallo specchietto retrovisore, arcobaleni inutili e pacchiani. Perché se uno era brutto, il grappolo che penzola come le salsicce dal bancone del macellaio raggiungeva i limiti invalicabili per la tolleranza. 

Quindi, quando anche questo è diventato troppo, le info di base sono state spostate sul culo dell'auto. In bellavista come le aragoste sul vassoio, posso sapere con uno sguardo: numero di figli in fasce con tanto di nomi, calcolare l'età di questi da quanto vecchi sono gli adesivi, composizioni di famiglie intere rappresentate con figure di cartoni animati, cane compreso, credenze religiose, teorie filosofiche, mele che ci fanno sapere che marca di telefoni/computer si usano, chi sono gli spacciatori di erbevita...

Nell'era della vita vissuta in pubblico attraverso internet, le info sugli sconosciuti che ci sfiorano durante il giorno passano anche da qui. 
Che poi già l'auto in sé è veicolo di una bella quantità di messaggi. Ma se il mezzo meccanico non è così imponente, mentre la necessità di comunicare la propria convinzione cerca sfogo verso il fuori, allora si passa alla decorazione del baule. 
Ed ecco che mentre sto in coda al semaforo tu mi metti a conoscenza dei fatti tuoi. Pensare che ho campato benissimo fino ad ora senza saperlo manco ti sfiora. 

Fate, fate pure, la macchina è vostra ed io posso sempre guardare altrove. 
Quello che vorrei dire a tutti coloro che si sentono in diritto di "farci sapere" è che forse non è così necessario. Non mi cambia la vita sapere che sei vegano o "arrostista", me la può cambiare solo se guidi bene e se non sei un pericolo per me. Poi, puoi pure generare o pregare chi ti pare. Sii solo un po' coerente, rendi il tuo modo di comportanti in macchina conforme a quanto segnalato dietro. 
Se hai figli guida meglio tu per primo. 
Se credi in un Dio buono non guidare come un nazista. 
E se hai una macchina così figa da lampeggiarmi da dietro perché ti faccia spazio, almeno lavala con frequenza. 


Inviato da iPhone di Giampiero Pancini