sabato 26 dicembre 2015

TRONFIO DI PANETTONE



giallozafferano.it

Tronfio di panettone guardo la collega che non conosco. La saluto con un cenno da lontano pensando a quanta gente, in azienda, mi sia ancora estranea. Eppure navigo in questi corridoi da più di vent'anni, possibile che non ci siamo mai incontrati? La mente vaga vagabonda nell'attesa che la mia giornata lavorativa si compia: ho il tempo per annoiarmi non dovendo far altro che farmi portare dal punto B al punto A senza avere il dovere di impegnarmi in alcunché. 

Obbedientemente seduto al mio posto la guardo meglio. Ma certo che la conosco: abbiamo lavorato assieme! Certamente non ricordo né dove, né quando questo sia accaduto; tanto meno posso far risalire dal nero più nero della mia memoria, quale sia il suo nome. Ma è voce comune, provata, che io non abbia memoria dei nomi infiniti che mi transitano a fianco: nel giro di quattro giorni posso dimenticare il nome di chiunque: mettetemi alla prova? 
Al contrario le facce restano impresse indelebilmente nella classifica basica di: "conosco", "non conosco", che, divisa nettamente in due da un rigo verticale, porto dentro l'hard disk biologico. 

Il motivo per cui non l'avevo riconosciuta ad un primo sguardo è dovuto al fatto che tra oggi ed il momento, sia chiaro non lontano, nel quale abbiamo lavorato insieme, il suo volto è stato rimaneggiato selvaggiamente da un lifting cattivo e prepotente. 

L'operazione ha innanzitutto rosicchiato il lobo dell'orecchio che, da tondeggiante, incuneato sopra il baratro delle profondità dell'orecchio esterno, trampolino pendilo nel vuoto caldo e colloso, è scomparso, diventando il lato geometrico di una piscina, probabilmente sporca ed inospitale. Un costone diritto di diga da cui fare il bungy jumping legati al cotton fioc. Dietro l'orecchio zona non raggiunta dal trucco, un reticolo di cicatrici sottili e rosate. 

I vuoti naturali del volto sono stati sapientemente riempiti così che ogni increspatura potesse essere livellata in un unico massetto pre-piastrellatura che sa di fragile e gonfio. 

In questo arricchimento di volumi le labbra sono state adeguatamente sopraelevate, anche se il lato destro di quello superiore risulta essere un po' più basso del sinistro. 

Trucco abbondante ad esasperare il tono orientale dell'occhio, anche se la collega NON È cinese, e ricciolo birichino che cade simmetrico sulle guance, completano il parrucco. Lei china la testa ed anche quello si rivela un sistema frangia/frontale posticcio, fermagliato in alto. 
Il tutto un capolavoro d'ingegneria meccanica. 

Lo so bene che ricorrere al trattamento estetico può essere sia una necessità che una scelta: dice bene quel saggio che raccomanda di non giudicare mai le necessità/scelte altrui, non avendo certezza di quali stati d'animo vi si celino dietro.  Eppoi ancora vige la libertà di scelta e di pensiero, o almeno credo... Quindi reprimo la critica ma ne racconto solo i risultati.
L'importante è che il progetto edilizio sia stato attuato cercando di piacersi prima che di piacere. 

Però mi arrogo in ultimo il diritto di dubitare della terza abbondante in coppa C. Credo di poterlo pensare. 
Non che la cosa mi interessi: mi appassiona solo l'aspetto etnografico del fenomeno di costruzione DELLA BELLEZZA. 

Rischio di diventare maleducato a guardare così insistentemente. Mi viene in aiuto uno sgradevole gruppo di quelle checche esibizioniste, fastidiose e rumorose non meno esibizioniste, fastidiose e rumorose dei loro confratelli etero/smargiassi. Blaterano a voce alta verità assolute, ricordano insulsi ricordi comuni, fanno casino per il gusto di dire che ci sono. Non è mai stata una questione di genere: i rompiscatole travalicano tutti gli steccati. 

Le ascolto un po' divertito constatando che, in gruppo, tutti si divertono un po' più rumorosamente del dovuto. 
Naturalmente la collega si accorge di loro e si unisce al gruppo: come potevo dubitarne?! Elevando il livello di baracconaggine ben oltre la cupola della compianta Moira Orfei. Diventano amici da subito, di quell'amicizia profondissima ed istantanea che unisce solo coloro che si riconoscono come UGUALI. Ci manca solo lo scambio dell'indirizzo del chirurgo estetico poi siamo apposto. 

Per fortuna il volo dura solo un ora e venti. Più o meno sono già arrivato a Milano. Qui potrò dimenticare tutti in un attimo. Anzi, l'ho già fatto. 

Pure la collega che non so che faccia avrà quando ci ritroveremo ancora. 

Buone feste. 


Inviato da iPhone

giovedì 10 dicembre 2015

A ZONZO PER PREMIO



ilrespiro.eu


La cosa che fa più male passando davanti al Parlamento è vedere tutte le persone che stanno protestando, transennate a debita distanza, avvolte in questa bolla d'indifferenza che dal Palazzo esce, rotola e le ingloba. Come se non fossero lì. Come se i cartelli che espongono fossero bianchi invece che scritti. 
Neppure le telecamere dei giornalisti televisivi che trasmettono dal selciato, ostentando baldanza d'incarico, osano girarsi verso di loro. Eppure sono sempre interessati a tutto quello che è scontro, è polemica, è difficoltà: la lacrima, il cruccio provocato dalle miserie altrui vende sempre bene. Ma pare molto più interessante scapicollarsi verso l'inutile politico di passaggio, piuttosto che capire le rimostranze dei suoi elettori. 

Ed il fatto che ci sia "sempre" qualcuno che protesta davanti al Palazzo non giustifica l'indifferenza di nessuno, anzi dovrebbe essere uno stimolo a capirne il perché.

Roma mi ha accolto con una mattinata di sole spettacolare: l'aria tersa parrebbe quasi nordica se la luce non fosse ambrata e calda. La metropoli vive e si muove con vigore, l'oretta che mi separa dell'appuntamento per il quale sono sceso in città, voglio passarla a passeggiare per il centro centro: quello di via Condotti e limitrofe. 

Vedo cose bellissime, gioielli mozzafiato, vestiti per le feste, oggetti dal prezzo così alto da domandare dove possa essere il valore effettivo dell'oggetto decontestualizzato dal marchio e dalla boutique. Ragionamenti perdenti fin dal principio perché tutto è contesto, tutto è marchio. 

Decido che la giornata è così intensamente bella, sorridente, accogliente nonostante l'avvocato che dovrò vedere, che mi merito una passeggiata più in là delle vetrine addobbate. Metto su google maps e mi immergo nei viali di Villa Borghese. 

Che dire? Spettacolare. Frizzante. Un mondo verde che ti fa dimenticare che sotto il ponte che attraverso scorre un'arteria trafficatissima. Neppure il guardone che scende a spiare la coppietta  che pomicia, già con la mano a rastrellare il batacchio dalla patta, mi infastidisce. Mi provoca invece una risata alta che si perde tra le note della tromba del musicista di strada. 
Passeggio godendomi la brillantezza dell'aria tiepida senza lo stress dell'orario  dell'appuntamento imminente a cui arriverò spaccando il minuto per essermi perso lungo la stessa strada. Aspiro in cerca di profumi che l'aria quasi primaverile promette ma non può mantenere e, perdonatemi, non riesco a preoccuparmi per i disagi provocati dai parcheggi rimossi intorno alle splendide palazzine delle Ambasciate per il piano sicurezza richiesto dal Giubileo. 

Il panorama che mi fa planare sui tetti della Capitale è mozzafiato. Non posso non fermarmi, appoggiare la cartella a terra e le mani sul marmo tiepido della balconata. Riconosco i tetti e le maestose facciate degli edifici più famosi ed ammiro quello di una chiesa coperto di muschio verde a cui non so dare un nome: una macchia di colore in questa luce traversa che tutto sembra dorare. Immagino tutta la gente che, nascosta, passeggerà loro intorno o transiterà in religioso silenzio al loro interno. Una massa invisibile da qui e quindi irrilevante. 
Godo del privilegio di questa vista che alcuni godono dopo migliaia di chilometri passati a volare e mi riempie la tenerezza di quando, in questa città, mi sono per la prima volta innamorato. Innamorato sul serio intendo - senza offesa per gli amori di "prima". Sarò passato pure di qui, allora? Chissà. 
Quelli erano tempi di ore passate a zonzo per la città, angoli che non saprei ritrovare, sapori ed emozioni che non potevano che diventare consuetudini nel tempo, ricerca affannosa di alberghi accoglienti per esprimere i bisogni dei corpi nudi. E la tolleranza dei passanti al procedere di due giovani uomini, impavidi, mano nella mano. 

È il suo aver accolto questo sentimento prepotentissimo a darmi la grazia di non giudicare questa città come intollerabile anche quando lo è. È una tenerezza ed una mancanza di obiettività dovuta, che non fatico a ricordare. 

Lascio la balconata e proseguo verso il mio appuntamento che nulla di romantico ha. Ma se in queste pochissime ore sarò sereno a prescindere... Beh, lo devo a questa vista. 
Perché Roma è molto bella oggi. 


Inviato da iPhone di Melinda

martedì 8 dicembre 2015

CONSIDERAZIONI IN ATTESA DEL REGALO DI NATALE.



attaccabrighe.it


Gli adesivi sul retro delle auto che richiedono a chi sta dietro maggior prudenza alla guida perché a bordo c'è un bebè, mi irritano senza rimedio per non dir peggio. 
La mia guida è già egoisticamente prudente a prescindere da quell'avviso: tengo a me più che a chiunque altro, alla mia auto più che alla tua. E quindi che tu mi faccia sapere che hai generato la cosa non cambia. E non cambia neppure il risultato finale da ottenere: tutti a casa sani e salvi. Io, la mia auto, la tua ed i suoi occupanti. 

A questo vorrei aggiungere che se dopo aver letto che la tua pargola si chiama Francesca, ti sorpasso e mentre guidi stai digitando un messaggino sull'iPhone, beh il vaffa ci calza a pennello. E nutro fortissimamente la speranza di poterti rincontrare per lasciare un bel post.it sull'adesivo che recita più o meno così: "Quindi?". 
Se guidi con l'attenzione di un cercopiteco in coma, non rompere le balle al mondo. 

Le auto sono da sempre portatrici di messaggi imbarazzanti. Un tempo, questi messaggi, erano relegati all'interno, sui cruscotti metallici, ad orrende calamite che portavano foto di figli che imploravano di rallentare la velocità relativa, santi di ogni genere e misura con preferenza giustificata per San Cristoforo. Ne ho vendute a centinaia nella mia precedente vita in tabaccheria. 
A distruggere il sogno delle calamite ed a transitarle sui frigoriferi delle case, sono arrivati i cruscotti fatti di materiali sintetici. 
È nato quindi l'arbre magique che in breve è diventato il segno distintivo del proprietario. Gli orrori raggiunti in questo spiegamento di alberelli dal profumo intensissimo, sono stati tali che da simbolo di cura dell'auto, sono diventati indicatori di pochissima, o nessuna raffinatezza. Ne ho visto interi grappoli penzolare dallo specchietto retrovisore, arcobaleni inutili e pacchiani. Perché se uno era brutto, il grappolo che penzola come le salsicce dal bancone del macellaio raggiungeva i limiti invalicabili per la tolleranza. 

Quindi, quando anche questo è diventato troppo, le info di base sono state spostate sul culo dell'auto. In bellavista come le aragoste sul vassoio, posso sapere con uno sguardo: numero di figli in fasce con tanto di nomi, calcolare l'età di questi da quanto vecchi sono gli adesivi, composizioni di famiglie intere rappresentate con figure di cartoni animati, cane compreso, credenze religiose, teorie filosofiche, mele che ci fanno sapere che marca di telefoni/computer si usano, chi sono gli spacciatori di erbevita...

Nell'era della vita vissuta in pubblico attraverso internet, le info sugli sconosciuti che ci sfiorano durante il giorno passano anche da qui. 
Che poi già l'auto in sé è veicolo di una bella quantità di messaggi. Ma se il mezzo meccanico non è così imponente, mentre la necessità di comunicare la propria convinzione cerca sfogo verso il fuori, allora si passa alla decorazione del baule. 
Ed ecco che mentre sto in coda al semaforo tu mi metti a conoscenza dei fatti tuoi. Pensare che ho campato benissimo fino ad ora senza saperlo manco ti sfiora. 

Fate, fate pure, la macchina è vostra ed io posso sempre guardare altrove. 
Quello che vorrei dire a tutti coloro che si sentono in diritto di "farci sapere" è che forse non è così necessario. Non mi cambia la vita sapere che sei vegano o "arrostista", me la può cambiare solo se guidi bene e se non sei un pericolo per me. Poi, puoi pure generare o pregare chi ti pare. Sii solo un po' coerente, rendi il tuo modo di comportanti in macchina conforme a quanto segnalato dietro. 
Se hai figli guida meglio tu per primo. 
Se credi in un Dio buono non guidare come un nazista. 
E se hai una macchina così figa da lampeggiarmi da dietro perché ti faccia spazio, almeno lavala con frequenza. 


Inviato da iPhone di Giampiero Pancini

martedì 17 novembre 2015

GAND (GENT)



fotomiafattadame


Buongiorno, qui Bruxelles. 
Doveva essere una giornata grigia, ventosa, piovosa invece esco in strada e quasi fa troppo caldo col piumino. E non ho le caldane. Allora, per prendere un po' di sano freddo fiammingo, un po' di quel vento gelido che non sai se sia solo freddo o anche un po' umido, qualche goccia di pioggia sparata qua e là, prendo il treno e vado a Gand. 

Ho già provato ad arrivare qui. Presi un volo all'inizio dell'anno ma il mio aereo fu dirottato ad Amsterdam per nebbia e quindi finì per girare in Olanda con in mano la guida del Belgio e Lussemburgo...
Vidi per la prima volta il bellissimo ed appena restaurato Rijks Museum e la sera, stanco ma felice, sempre con la guida del Belgio in mano, riguadagnai Milano certo che la giornata non fosse andata sprecata. 
Ma a Gand dovevo arrivare. 

Della città che si rivela deliziosamente costruita, deliziosamente sciatta e deliziosamente vivace non m'interessa granché: il mio obiettivo è un altro. DEVO VEDERE QUELLA TAVOLA. 

Così appena sceso dal treno - manco a dirlo delle due stazioni cittadine ho scelto la più lontana dal centro città... - mi metto in marcia e dopo un paio di chilometri, percorrendo i quali ignoro volutamente ogni scorcio che possa rallentarmi, giungo alla Cattedrale di San Bavone; nessun commento sul nome, please.

Soli quattro euro mi separano da uno dei più bei dipinti mai visti, da una delle più belle, particolareggiate, colorate, complesse rappresentazioni del divino che abbia mai visto. È il 1432,  la città è potente e fiorente ed il borgomastro ordina un'opera di devozione a nome suo e della sua sposa; finiranno ritratti sul retro dei pannelli laterali che, mobili, chiudono il polittico e da chiusi ne diventano il davanti ed i protagonisti. Che tutti ricordino!
Chi chiamano a dipingere l'opera? Un paio di Van Eyck: Jan ed Hubert. Così, i primi che passano. 

Se non conoscete il "Polittico dell'Agnello Divino" date un occhio in internet o al film "The Monuments Men". Ne vale la pena. Vale il viaggio. È enorme, emozionante, ti trascina in un mondo così speciale e leggiadro dove anche i martiri, castamente divisi in gruppi di martiri maschi e martiri femmine, sembrano felici e rigogliosi, dimentichi delle pene inflitte e sbandierano le loro palme che pare una parata. 
Anche gli eremiti son gagliardi, e gli ebrei, i dottori della Chiesa, i soldati della Fede. 
In due parole: è bellissimo. A meno che non piaccia solo l'astrattismo non c'è verso di essere smentiti. 
L'opera ha così tanto da mostrare che resto dentro la cappella per più di venti minuti: ogni volto un ritratto, ogni gesto un modo umano.  Un censimento sterminato di persone vi aspetta dietro i vetri della teca. 
Poi, soddisfatto, esco a vedere la chiesa che trovo davvero bella. 

All'interno della Cattedrale è proibito a tutti fotografare tranne agli italiani, che consci di essere esonerati non si preoccupano neppure di togliere il rumore dello scatto dalle loro complesse apparecchiature. Non so con quali altre culture condividiamo l'idea che le regole le debbano rispettare solo gli altri, ma è certo che per molti di noi è così. 

Fuori la città si districa su canali importanti. Le facciate delle case sono rigogliose di dettagli. Il suo passato di polo tessile di importanza continentale si evince dalla ricchezza delle costruzioni. Passeggio quindi ammirato e piacevolmente sorpreso di scoprire che "il contenitore" è quasi bello quanto "il contenuto". 
La città, per fare un facile esempio, è una specie di Bruges più grande e più viva. Una città vera, non così "perfettina" ed a volte un po' parco giochi come la collega dei merletti e della "Madonna Con Bambino" di Michelangelo, vedi solito film. La si vive con meno circospezione e si può immaginare addirittura di vivere e lavorare qui. È piena di gente, di giovani, di bici e di tram che, alla faccia dei fiorentini che han fatto una guerra spietata alla loro tranvia, passano a fianco di tutti i monumenti della città. 

Rientro a Bruxelles dopo aver fatto un ultimo giro nel Begijnhof, deliziosamente restaurato in bianco, nero e rosso. Credo di aver visto parecchio, anche se la guida che ha impropriamente viaggiato in Olanda, ha delle piantine cittadine da denuncia: anche un calligrafo cieco riuscirebbe a rendere meglio la planimetria. Non faccio una foto per carità cristiana, ma per capire che quei segni erano delle piazze ci son dovuto cadere dentro. 

Bon voyage. 




Inviato da iPhone di Giampiero Pancini

lunedì 16 novembre 2015

UN POPOLO FIERO



Il mondo è una lente personale, un'ottica fotografica attraverso la quale visualizziamo le nostre emozioni e, se siamo abbastanza svegli, attraverso esse riusciamo a percepire almeno i nostri personali contorni. Fatti, avvenimenti eclatanti, tragedie sono gli spunti per mettere a fuoco chi siamo. O forse soltanto cosa proviamo. 


Degli attentati di Parigi tutti abbiamo colto la ferocia, la determinazione ad uccidere. Ma ognuno visualizza questa malvagità attraverso un fotogramma pubblico che diventa privato e resta incastonato a ricordare l'evento, forse, per sempre. Il massacro. 


Per quanto mi riguarda questo momento sarà rivissuto per sempre attraverso l'immagine sgranata della ragazza e del ragazzo appesi al di fuori delle finestre del teatro Bataclan, lei con i piedi infilati nelle grate della finestra sottostante, lui appeso e basta, come un animale pronto al macello. Una fuga disperata verso il fuori, lì dove anche una parete esterna è FUORI.

Il simbolo della disperazione di quei momenti per me è e resterà questo. Non importa per quanto ancora le immagini ci bombarderanno e forniranno altri spunti. 


Si contano i morti e si piangono. Si celebrano i loro nomi mentre le ferite dei corpi risarciscono. Si parla o si sceglie di stare zitti per non prendere nessuna posizione tranne quella del cordoglio. Per non alimentare l'una o l'altra delle fazioni del: "te l'avevo detto". Perché parlare è rischioso, parlare può suggerire al cervello muove immagini che allenterebbero il ricordo. 


Se un paradiso esiste è lì che si trovano i morti, e potrebbe avere l'aspetto di questa giornata di sole sul mare di Alghero. 

Questo è il mio augurio per i morti di quel Popolo fiero che si fa unione, Nazione, si fa coraggio ad uscire da uno stadio attaccato cantando l'Inno Nazionale. 

Chapeau. 





Inviato da iPhone di Melinda

giovedì 5 novembre 2015

A-NOSTALGICO



fotomiafattadame


Torino non è propriamente assolata quando vi arrivo dopo un viagio 
durato appena quarantacinque minuti, su un treno super veloce che accorcia ferocemente le distanze ed ha avuto tempi migliori negli arredi. 
È la prima giornata di freddo e cielo grigio dopo le ultime di sole ed aria così cristallina da godersi anche le montagne, le bellissime Alpi, come sipario. 

Passeggio, anzi passeggiamo, alla ricerca di un ristorante ed ora come allora trovo Torino bellissima. Interi palazzi stuccati fanno sì che ci si ricordi che è stata una capitale, forse la più elegante del Regno. Il contrasto col ruvido spessore delle facciate in mattoni resi scuri dall'umido del giorno, non ne sminuisce l'imponenza, anzi li trasforma in fortezze. Le piazze dalle forme sghembe, come gli alberi che le animano, fanno contrasto con quelle meno intime dalle ferree angolature geometriche. Ma la forza di queste prospettive rimanda al comandamento che richiede a chi vuole godere di una grande città, la necessità di alzare gli occhi per scoprirne le strutture, nascoste, invisibili a chi guarda solo a terra. Un contrasto di luoghi, lussi e desolazioni rendono questa impeccabile: perfetta così com'è. 

Troviamo una trattoria dai tratti rivisitati da una modernità senza la spina dorsale della tradizione e, naturalmente, ne usciamo scontenti. Tanto da rifugiarci in un dessert consolatorio in un posto poco lontano. 

Dopo il mio impegno in città proseguo la passeggiata da solo. Potrei infilarmi al Palazzo Reale per scampare al freddo ed all'umido che ricalano di sera. Non lo faccio e continuo a passeggiare in questa città che amo, è indubbio, ma che finalmente mi risulta a-nostalgica. La necessaria fatica di estraniarsi ad un posto in cui non si vive più e in cui non si vivrà di nuovo è finalmente fatta. Il distacco necessario a far sì che io la possa vivere senza affanno, è arrivato. La vita vissuta altrove e che mi fa amare altri posti e ancor di più i miei luoghi, impone di continuare a nutrire rispetto, ammirazione ed affetto per questo posto che è stato fondamentale per me. Ma finalmente metabolizzato il distacco, si placano gli attaccamenti. 

Non potendo pretendere di vivere in più luoghi contemporaneamente tutto questo era dovuto. Un grazie al mio Caronte, ai miei vari Caronte che mi hanno traghettato fino qui. 




Inviato da iPhone di Giampiero Pancini

lunedì 2 novembre 2015

DOPO LA CHIUSURA LA RICERCA



icturraneo.it


Giusto per dare una codina veloce al post precedente. Giusto per imprecare ancora una volta alla memoria della tua libreria preferita che chiude. E per cercare di far pace con quelle che restano aperte e non te ne spieghi il perché.

Perché è particolarmente stimolante - mai aggettivo fu più usato a sproposito - recarsi in libreria per cercare dei libri che si sanno ancora reperibili, non trovarli perché, ti dicono, stampati per la prima volta anni fa. Chiedere se si possono ordinare e sentirsi dire che no, non è possibile recuperarli perché troppo vecchi...

"E la bibbia, rispondo io? Non mi pare sia proprio l'ultimissimo di Camilleri, eppure ne avete un bel po' di edizioni in esposizione".

Evito la rissa ed esco, con in mano un sacchetto con un libro che probabilmente nella mente della libraia rappresenta, per la sua edizione dell'inizio del 2015, una rarità da collezionista: del resto ha dietro di sé ben sedici pubblicazioni nella stessa collana.
E mi domando perché mi ostino: i libri che cercavo li avevo già trovati in internet, sapevo che era possibile averli dal sito bello, confortevole, pratico e facilmente navigabile della casa editrice; perché quindi mi ostino a vestirmi ed uscire a cercare di acquistarli in luoghi reali con persone vere?
Perché son pirla. Sognatore ed idealista, con tendenze al pirla.

Tornato a casa ho aperto il computer, mi sono registrato, ho fatto l'ordine, ho pagato, so già che l'ordine è stato approvato. Forse me li spediranno tra poco. In realtà non lo so perché la casa editrice non funziona come Amazon dove ti comunicano anche se il primo dei volumi è in ritardo perché ha il raffreddore, ma ho speranza che nel giro di pochi giorni il corriere me li consegni.

Molto più facile fare questo che sapere se a bordo di un aereo ho dimenticato gli occhiali da lettura ed un altro volume di poco valore che non trovo più: il numero telefonico dell'azienda che gestisce gli aeroporti, è un muro invalicabile di informazioni "premi il tasto uno per l'italiano, due per il greco-cipriota", info che non calzano mai al caso proprio. Ed il numero di telefono squilla a vuoto. E la mail da spedire pretende una registrazione anche lei: la faccio ma poi anche da registrato non posso accedere nell'immediato al modulo previsto per sapere se son stato pirla a dimenticare gli occhiali o a pensare di ritrovarli...

Per fortuna arriva la sera che tutti gli uffici chiude e pacifica fino al giorno successivo.

Ah, dimenticavo: la spedizione dei quattro volumetti è compresa nel prezzo di listino. Non dico altro.