venerdì 7 ottobre 2022

FACCIAMO RIPARTIRE L'ATTESA


fotomiafattadame Ospedale Paolo Pini, MI




Ci eravamo tutti portati sul lato assolato della giornata, eravamo andati a capo, attraversato la strada, sull’altro marciapiede, in attesa che il cielo si rovesciasse sulla città. Almeno quella parte del cielo, divisa netta da quella chiara ed estiva. Come insetti frenetici avevamo fatto tutto quello che doveva essere fatto prima che piovesse, veloci veloci: eravamo stati al mercato, al supermercato, eravamo corsi in panetteria, in lavanderia, avevamo portato il cane a far pipì e i bambini a scuola, per evitare di fare lo slalom tra le pozzanghere e i discorsi degli altri genitori, si fa in fretta, si deve rientrare, a casa, a scuola, in negozio. Tutti in strada ora, tutti di corsa, vai, in tanti, che poi magari non si riesce più a fare. La periferia suturata per atto amministrativo alla città, brulicava. Stamani di corsa, a imitare quelli giù al centro, a sistemare le cose, le merci, le persone.


E poi ci eravamo messi in attesa, a guardare dalle finestre per controllare se quel cielo grigio si decideva o no a mollare un po’ di pioggia, ché le piante non ne potevano già più, l’erba non ce la faceva a nascere, ché la terra era ormai in polvere, e anche se fosse andata via nel tombino era bene che cadesse lo stesso. A interrompere i giorni di sole, mai così tanti, che ti sembrava di aver comperato la casa in quel sud che ci sei stato solo in vacanza, bello eh, ma non ci vivresti mai.

Avevamo trattenuto il respiro a lungo e nessuno ne era morto: apnea finta, a orologeria. Come dei lemuri in piedi dietro ai vetri, aspettavamo di vedere la prima goccia per dare l'allarme e in un urlo di gioia. Sperando che fosse la volta buona: noi i panni li avevamo ritirati, i vasi messi al loro posto, aspettavano acqua vera, quella che annaffia: i riti tutti compiuti. Avevo rimesso a posto il secchio con cui annaffiavo gli alberi del viale, dandogli quell’acqua di transizione tra un acquazzone e l'altro, lontano dei mesi. Ogni mattina un secchio a questa, un secchio a quella, presa dalla fontanella che tanto spisciola uguale, regala acqua alla fogna, meglio qui su ‘ste radici. E la sciura che si era unita e mi dava il cambio, sono pensionata, son libera, è vero, ci dovrebbe pensare il Comune, ma se non ci pensa facciamo noi. Facendo una selezione, scegliendo noi al posto del cielo chi e quanto annaffiare, che tutte quante non era possibile, il viale è troppo lungo, la schiena, la fatica. Non ci arrivo.


Poi la pioggia non è arrivata. Il cielo grigio è scorso sopra la città, ci ha illuso, come un amante che non era per noi se n'è andato altrove da quelli più fortunati, da quelli che sanno godersi la vita. Altrove, dove piove, accidenti a tutta questa pioggia che non sembra nemmeno estate.

Nel refolo di vento che mi aspetto caldo, ha nel mezzo una lama sottile, quasi impercettibile, infilata nello spessore, mi annuncia che altrove il rito è compiuto. Amen. La preparazione è andata a buon fine. Amen. I tempi e le aspettative sono stati rispettati. In un qualche posto, non lontano, ha piovuto. Qui invece facciamo ripartire l’attesa, ché arrivi la volta buona. Riprendo il secchio e mi preparo all'alba di domani. Per l’erba, per l’aria, per gli alberi che non ne possono più. E per chiudere quest’estete che non ne può più neanche lei.




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