Perché dico questo e mi pongo la domanda: perché dopo aver passato la vita fin qui vissuta a cercare la forza di dire sempre quello che penso anche di fronte alle persone che mi mettono in imbarazzo, anche nelle situazioni che potrebbero nuocermi, anche quando la mia educazione repressiva urlava che me ne dovevo stare zitto ed in silenzio, perché tanto della mia opinione non gliene fregava una emerita cippa a nessuno, ora mi rendo conto che tutto quel tacere può essere una benedizione.
Come l'ho constatato? L'ho letto meglio occhi delle persone alle quali ho detto, sparato quello che pensavo su un qualunque argomento che li riguardava direttamente L'ho sentito nei loro silenzi tra una frase e l'altra che, dopo il mio intervento, duravano un istante di più del normale. Nella loro difficoltà di riprendere a seguire il discorso come se avessero subito un attacco fisico.
Ho avvertito lo sconquasso mentre il mio ego esultava per l'esercizio della propria libertà.
Mi sono allora chiesto a chi serviva tutta questa capacità di esercitare la sincerità che tanto mi sono vantato di aver raggiunto.
Appunto, serviva a me.
La scusa di migliorare il mondo attraverso la VERITÀ, era un assunto che mi era servita per uscire a navigare al largo di sera, scavalcando la vecchia catena che chiudeva l'accesso al porto, ed acquisire una libertà rispetto al mondo che mi intimoriva e relegava.
Ma una volta raggiungo l'obiettivo di cavalcare le onde in piena libertà, di saper resistere allo sconquasso della paura di esprimere la mia opinione, una volta raggiunto quello venivo a scoprire che la manovra da fare era quella di invertire la rotta e tornare a casa. Stavolta però conscio di saper affrontare il mare.
Non faccio un elenco delle verità che ho saputo dire perché alcune sono così riservate che certo non le vado a scrivere su un blog. Basti dire che come ogni persona adulta ho imparato a dire il mio nome senza vergognarmene, ho imparato a stringere la mano offrendo il palmo aperto.
Prima di questo c'è voluto del buono a riuscire ad affermare chi ci fosse dietro quel nome e quella mano.
Passata la prima burrasca tutto sembra più facile, è indubbio.
Carico di quella giustificata fierezza, ho esercitato l'attitudine senza fermarmi, fino a trasformare l'orgoglio in arroganza.
Il segnale d'allarme è arrivato quando ho visto che le parole diventavano giudizi, e chi ne faceva le spese erano le persone che frequentavo e dichiaravo di apprezzare e che, assolutamente senza averlo richiesto, venivano allagato dall'ondata della MIA verità.
Si può sempre chiedere scusa, ma la corrente del sentirsi nel giusto, trascina lontano dalla compassione verso se stessi.
Ecco perché mi son fermato e mi son fatto la domanda:
ma chi ti racconta le proprie cose intime vuole davvero la tua opinione al riguardo? La risposta è no.
Ma chi ti conosce vuole comunque sapere come la pensi anche quando il tuo pensiero contrasta evidentemente con la strada che questi ha scelto? Un altro no.
L'opinione personale è una verità assoluta, come la percepisce chi la dichiara? No, è una verità personale, appunto.
Tutta questa serie di no mi ha convinto che a volte è meglio tacere. Più dell'elenco dei no, mi hanno convinto gli sguardi persi o i silenzi prolungati di chi si sente attaccato. Degli stessi di cui mi dichiaravo amico, che alla fine si costringevano alla mia assenza e mi costringevano alla loro pur di non sentirmi pontificare. E chi lo cerca il rompicoglioni?
Mi son detto allora che se le persone le amo, devo anche riuscire ad amarle in modo da non ferirle. Quindi se la propria verità non è richiesta, se non diventa indispensabile esercitarla, è più importante sapere di esserne capaci. Sapere che se ce ne fosse la necessità si avrebbe a disposizione lo strumento.
Usarlo invece, solo per il gusto di esercitarlo può risultare doloroso agli altri e per me stesso: l'imbarazzo che crea è difficile da dimenticare. Lo sconforto di aver ferito qualcuno solo perché non sono stato capace di trattenere il rospo, altrettanto.