sabato 25 giugno 2016

BREVE TOUR A BUDAPEST




                                                   


Per essere UOMO a Budapest devi guardare incarognito ogni altro uomo che incontri. 
Per essere MASCHIO a Budapest devi avere sotto pelle almeno un quarto di litro d'inchiostro; meglio se a forma di enorme aquila o croce così arzigogolata da parer blasfema.
Ma se sei MASCHIO ALFA, se credi di essere un vero capobranco, un inseminator da razza ariana è bene che al sorgere delle 10 della mattina tu non ti faccia trovare in giro con un "mocachino vanilla latte dopio", ma con un boccale da litro di birra, dal quale suggere camminando e ruttando contemporaneamente. 

Se sei un uomo mingherlino è bene che ti compri in loco e ti abbigli con una maglietta in cui vengono descritte le innumerevoli posizioni in cui intrattenere le femmine locali - perché i maschi alfa permettano ancora di venderle non si capisce: quelle donne potrebbero essere le LORO donne. L'indossare questa maglietta può in qualche modo testimoniare al mondo la tua non evidente virilità. 
Ma se sei un VERO UOMO una qualunque t-shirt basta per coprirti: la riempirai col le tue ascelle pezzate, coi tuoi muscoli tirati ricamati di Tattoo, o con una bella panza da alcool. 

Ora non so bene quanto questi signori stiano bene con loro stessi o nei loro circolini omofobi dove praticare un fraterno, condiviso, diffuso BRO-JOBBING - su google basta digitare brogob per avere spiegazioni - oppure un altrettanto cameratesco, gagliardo e rumoroso sventrapaper-ismo. 
E quanto, sempre questi signori, rappresentino lo stile della maggior parte degli uomini "normali" di questo Paese, scusate la maiuscola: ho speranza che questi eccessi siano solo un fenomeno locale perché questa Nazione ha tirato fuori figli culturalmente avanzati e rappresentativi, per poter essere ricordata solo come un covo di machi intolleranti. Robert Capa, Joseph Pulitzer, Hanry Houdini, John von Neumann. Solo alcuni. 

Io so solo che tutto questo mostrar di ormone fa decisamente ridere. Tanto. Tanto che se non si è mai stati qui, sarebbe bene cercare nelle guide turistiche i punti di maggior afflusso degli esemplari suddetti, per organizzare dei safari fotografici, come in Africa si fa per zebre, gazzelle, giraffe... Chiedo scusa: come in Africa si fa per facoceri, rinoceronti e gorilla - mi scusassero i gorilla. 
Non si dimentichino comunque il Palazzo del Parlamento, il Ponte delle Catene, la città vecchia, il memoriale delle vittime del nazismo sul Danubio, che la maggior parte dei turisti ignora, l'enorme Mercato coperto, e la strapiena Galleria Nazionale d'arte. Anche quelli son bei ricordi da fotografare per portarli a casa. 

E la storica pasticceria Gerbaud, dove a colazione poter mangiare una meravigliosa fetta di torta Dobos, loro specialità, invece che trincare in litrozzo di birra, caracollando per la City ridendo sguaiatamente. 
Ma si sa: noi gay siamo così, siamo strani, siamo un po' troppo portati a goderci il bello della vita. È uno stereotipo, lo so, ma in questo caso calza bene. Altroché se calza! 



giovedì 23 giugno 2016

TAORMINA




fotomiafattadame


Un ultimo sforzo in questo viaggio e sono risalito su fino a Taormina. Un tempo avrei detto "la mia Taormina". 
Un tempo non sarebbe esistita vacanza in Sicilia diversa da quella trascorsa a Taormina, adesso è solo una tappa di un tour. 

È ancora bellissima lì maestosa, adagiata sul crinale a far bella mostra di sé mentre controlla l'ingresso al trafficato stretto di Messina, che neppure si vede ma c'è, perché nelle giornate limpide si vede la Calabria che sembra a due passi. Quindi siamo in vicinanza di "stretto".
È colorata e vivace, piena di fiori, di gente e di così tante gioiellerie che ti stupisci che ci possano essere gioielli di così tanti stili in vendita. 
Poi ci sono le ceramiche tutte belle e tutte colorate, le pasticcerie con la pasta di mandorle, gli immancabili monomarca dell'abbigliamento di alto livello; ma per soddisfare il mare di gente che la invade dall'alba al tramonto, ho trovato vetrine di prodotti cosmetici a bassissimo costo e pizzerie a taglio che, tra l'altro, lavorano a pieno ritmo. 

Non per quello che prima non c'era e adesso c'è che l'ho sentita meno mia. 
Però così è stato. Prima il cuore palpitava ogni qualvolta mettevo piede lassù, anzi ogni volta che progettavo di passarvi qualche giorno. Già la telefonata alla pensione Adele per prenotare una stanza, dava inizio al batticuore: le secche precisazioni della proprietaria nulla toglievano alla magia di cui ella stessa faceva parte. 
Non è che la signora Genoveffa fosse un'arpia, anzi era quanto di più accogliente ci potesse essere a livello di ospitalità, ma commercialmente parlando era un panzer, e con lei i conti dovevano tornare pur col più affezionato degli ospiti. Io. 

Ho passato lì da lei i momenti più sessualmente attivi della mia vita giovane e pure quelli più tristi perché ho sempre considerato quella pensione e quella città, un balsamo per l'anima, un buen retiro quando il mondo è la vita di sconti non me ne facevano. Arrivavo lì in corriera e lasciavo che la magia dei profumi di quel mare e di quella terra fossero rigeneranti, fortissimi, e simulassero una vita felice che magari in quel momento non avevo. 

Ero lì il famigerato 11 settembre, ed ero lì a far finta che mia madre non fosse morta un mese prima. E visto l'accaduto, meno male che ero lì e non altrove. 
Quindi ho un debito verso questo "punto cardinale". E non lo dimentico. 
Infatti appena scendo dall'auto cerco la pensione Adele e la trovo lì, al solito posto, o quanto meno la sua insegna spenta e invecchiata; ma l'hotel è serrato dalla voracità dei padroni dell'immobile, che fecero chiudere la pensione storica per avviare non si sa quale impresa, per poi non venire a capo di nulla. 

Sono io che adesso sono meno pronto a dimenticare le folle umane che risalgono la collina a mattina per una breve visita e la occupano fino al tramonto. Folle di cui anche io faccio parte. 

Le vecchie francesi che mi allontanano con un colpo di gomito dalla balaustra da cui ammiro il mare e l'Etna. Le fiatelle da vodka e fegato spappolato di chi è seduto a
a farsi l'ennesimo cicchetto. Le innumerevoli file di croceristi a zonzo col loro numero adesivo attaccato alle t-shirt. Le famiglie zoccolanti e zigzaganti per il corso nel vano tentativo di contenere i marmocchi. La cinese che cerca di vendere sciarpette di seta. Il negozio che si ostina ad esporre busti del duce in pietra lavica. 
Sì, lo so, c'era tutto anche prima e tutto si sopportava in attesa della sera quando lo sfollamento era palpabile e chi restava su aveva modo di sentirsi nuovamente parte della colonia di ospiti stanziali. Quando ci si guardava attorno e ci si vedeva distaccati anche dalla Sicilia, un'isola nell'isola. E si camminava trascinando i piedi in una qualche conversazione Gino a che il corso principale non fosse diventato deserto ed immobile. 

Quindi non è così cambiata Taormina. Si è solo abbassato il mio livello di sopportazione. Mi mancano probabilmente i mecenati che mi invitavano qui a godermi l'attimo e la vita. Mi manca di vivere tutta la mia vacanza qui. Di scendere al mare al mattino e risalire l'infinito gradinata il pomeriggio. Mi mancano i miei aperitivi all'Arco Rosso e le mie vene a 'U Lanternaru. 

Non potendo riportare indietro le lancette del tempo è bene che viva le ferie in luoghi meno angusti. 


domenica 12 giugno 2016

DOMENICA TI PORTERÒ SUL LAGO



fotomiafattadame

Faccio due passi di domenica pomeriggio intorno alle rive di un lago cittadino a Bucarest. Non è ancora iniziata l'estate ma certo non sono l'unico in sandali e pantaloni corti. 

Anni luce lontani dall'orrorifico concetto socialista del "vestito della domenica", se guardo chi mi circonda, potrei essere ovunque in Europa se non fosse per questa lingua gutturale, sparata con toni aspri in faccia al mondo. Profusione di jeans, sneakers, e telefoni interattivi. 

Ecco, che questo sia stata una capitale del blocco socialista lo si intravede ormai sono in cotonature bionde troppo vaporose e magliette leopardate di signore avanti negli anni. Ma potrei essere benissimo in una balera nostrana. 

Esce il sole tra le piante e fa caldo. Il verde scuro del lago, il verde dei salici, il battello bianco per l'isola, gli stand del cibo, la musica alta, la pace più avanti, con le barche a remi sul lago ed i ragazzi con le fidanzate. 

Nel parco ci sono coppiette giovani, coppiette adolescenti, coppie giovanissime tamarre, coppie mature romanticissime, persone coi pattini, col pancione da birra, con lo skateboard, tanti con la bici, qualcuno che corre, quelli che marciano veloci e altri che, come me, camminano e basta. Cani a forma e sembianza di topo, roseti, case galleggianti, gente che scatta tonnellate di selfie, che se i pixel avessero un peso sprofonderebbero le panchine. 

Girano coni gelato, patatine da passeggio, dolci fritti e rotondi arpionati con lo stecchino, bibite dai colori spaziali che non capisco se sono alcoliche i solo cancerogene, e rotoli di dolci fatti... a rotolo, come il Domopack, che viaggiano per mano avvolti in cellophane rigido che sembra una cartellina da ufficio. Questi tutti li portano in giro ma nessuno li mangia per strada. 

Avanzo fino a teste in bronzo di politici europei, c'è pure De Gasperi ed Altiero Spinelli, disposte in circolo  intorno alla piazza con la bandiera Europea, che la gente ci passa in mezzo e fa tic toc con le dita sui crani enormi e nessuno gli risponde. 

Il mondo riversato all'aperto in un bel pomeriggio festivo. 

Poi arriva uno squadrone di mezza dozzina di biciclette e sento avvicinarsi l'italico idioma con accento lombardo. Starnazzano discorsi alti e esistenziali: parlano di figa.
Uno fa ad un altro: "Ma io non sono come il .... (soprannome maschile), lui esce dal locale, né punta una e via. Io ho bisogno di stabilire un contatto umano prima". Prima di che? Le parole di perdono con l'andata delle bici. 

Resta un fatto però. 
Ok amico, sei frocio, fattene una ragione. 


Inviato da iPhone

sabato 4 giugno 2016

UNIFORMIAMOCI



ilmare.com

È una cosa emotiva quella che sta precipitando addosso a noi che dopo vent'anni cambiamo uniforme. E se ci lasciamo trasportare solo dal "dolore del distacco", senza porre attenzione "all'eccitazione della novità", finiamo per ignorare una delle poche verità dell'esistenza: tutto cambia. 
Non prendiamoci per il culo, è così la storia. 

Certo le cose belle ci piacerebbe restassero per sempre, ma chi ci può garantire che così sarà? Nessuno. E poi, era davvero così bella l'uniforme che stiamo per mettere definitivamente nell'armadio? 
No. Rappresentativa sì, bella proprio no. 

Ora, uscire dalla confort zone di anni e anni di abitudini, e non scordiamolo di critiche e ritocchi sartoriali non autorizzati, può essere dura, ma ragazzi.... Avanti, siamo adulti. Non dobbiamo vivere senza un rene,  rinunciare alla cittadinanza o andare in giro vestito da pervertiti al parco pubblico, no, dobbiamo solo vivere senza pantaloni con le pences che, a dire il vero, a me davano l'impressione di essere portatore sano di LINIDOR. 

Confinato per mia scelta ponderata sui voli brevi, non mi mancherà questa uniforme; mi mancheranno piuttosto tutti i posti dove mi ha portato, le macchine volanti che mi ha fatto cavalcare, i colleghi conosciuti e frequentati, conosciuti ed amati, conosciuti ed odiati; i voli verso il Sud America che non avevano fine di tempo e di richieste, i disciplinati voli verso il Giappone, quelli chiassosi verso l'Australia, i passeggeri isterici di ritorno dall'India perché lì la pace non l'avevano trovata, la maestosità degli aeroporti americani... Etc. etc. etc. 

Quindi guardo la sequela di foto d'addio al l'abito postate dai colleghi che si pubblicano su Facebook non tanto per trovarmi in uno scatto vicino a loro, quanto per rivedere il B767, il B747, l'MD80, Bue, Accra, Bangkok, Washington, e mi commuovo ai ricordi, odori, luci, persone che ritornano. 

Ecco. Con la vecchia uniforme era questo il mio vivere. Ed è questo che mi manca/mancherà di più. Non i tessuti ormai scadenti ed il modello più adatto ad un matrimonio in Ghana che ad una moderna azienda europea. Mi mancherà la gioventù che ha rappresentato. Mettendo il blu nell'armadio e indossando il verde petrolio voglio aprirmi all'ineluttabile nuovo, e sottolineo INELUTTABILE, con spirito positivo.
Come tutte le novità potrà essere deludente? Possibilissimo. Ci sono già appunti da fare? Plausibilissino. Ma sarà la stessa delusione, gli stessi appunti che facevo quando, scartando un uniforme "old style" nuova di pacca, trovavo l'inaspettato, INEVITABILE difetto. 

Lasciamo passare i giorni, lasciamo che finalmente si completino le forniture e prepariamoci a dimenticare questa crisi. Come abbiamo fatto per le cravatte. Facciamo solo in modo di trovare in tutto questo almeno una cosa positiva. Farà bene a noi. 



Inviato da iPhone di Giampiero Pancini