Avete presente quando ad un certo punto il cervello si resetta, le idee non fluiscono più e il vivere minuto per minuto, senza programmazione alcuna, è l'unica cosa che si riesce a fare? Credo che capiti a tutti prima o poi, a me è capitato un paio di giorni fa. C'è un motivo, un fattore scatenante naturalmente, un interruttore che ad un certo punto viene spostato su off(inito) - la difficoltà sta nel riuscire a trovare la voglia di rimetterlo su on(iziato) -. Migliore esempio di quest'ultimo è la funzione salvavita nel pannello di controllo elettrico: prima che si bruci l'intero cordame di cavi è meglio lasciare tutti al buio. Per la persona comune, o almeno per QUESTA persona comune, l'azione salvavita viene svolta da lunghi periodi di nero pece che mi lasciano inebetito e passivo.
So che non devo forzare in qui momenti: l'attività riprenderà da sola quando le emozioni si saranno raffreddate e il circuito non sarà più in pericolo.
Così ho spento il computer, non ho cercato nessuno, non ho controllato la posta.
Così mi sono sentito in questi due giorni passati, e neppure la scrittura che di per se PRETENDE che le idee ci siano, o almeno fluiscano, è riuscita a rimuovere il blocco. Amo le parole, ma occorre che almeno a se stesse, al loro significato siano collegate, per osare sfruttarne le assonanze. Ecco perché non ho postato.
Ero adagiato in una morbida sensazione di nero, di vuoto impertinente che ridacchia di chi la subisce. La sola certezza è che c'è il nulla dentro la tua testa. I pochi pensieri che spaziano sono lontani tra loro e seguono orbite a spirale che non fanno che allontanarli ancora di più l'uno dall'altro. In due parole: il panico.
Non me la sto tirando da colui che ha pensieri per ogni occasione, sublimi afflati di tensione elettrica del cervello, neuroni in buoni rapporti di vicinato che non fanno che ricordare e rielaborare parole, idee, discorsi altrui. E non voglio neppure pensare che ci sia qualcuno che muoia dalla voglia di sentire le parole che scaturiscono dalla mia personale tempesta elettrica: i miei sono solo pensieri normali.
E' che invece, spaventa me questo vuoto. Non mi è comune.
Ma tutto passa e scarico dal mio personale disco rigido l'unica cosa per la quale avrei voluto postare in questi giorni: Obama e Signora in Vaticano. Era appena finito il G8: Obama era in partenza per l'Africa, i Francesi si scandalizzavano per l'inutilità di quella riunione, gli Inglesi un po' di meno.
Guardo la tv e vedo l'incontro con il Papa: il Presidente e la First Lady sono in nero, belli, eleganti, sorridenti; lei ha educatamente coperto la testa in segno di rispetto. Il Santo Padre invece è tutto un rigoglio di rossi e bianchi, teli e merletti, coperto da così tanti strati di abiti, che un ometto mingherlino come Benedetto XVI, finisce per apparire un appesantito signore della terza età. Un Papa Giovanni XXIII, piuttosto che un Paolo VI per intenderci.
E mentre le immagini scorrono, e non preannunciano niente di eccezionale, tra l'altro le seguo senza audio per evitare di dover ascoltare le minchiate dei commenti, c'è un moneto in cui osservo uno sguardo che la coppia presidenziale si scambia. E che c'è di strano!? Sono marito e moglie, si potranno pur guardare, no?
No, non è la presenza dello sguardo che mi imbarazza o sorprende. Ma il contenuto complice di quell'occhiata.
Prendete l'uomo e la donna che con la loro sola presenza hanno cambiato in maniera indelebile la storia del più potente e influente Paese del mondo. Prendete due giovano genitori, che hanno sempre lavorato, che conoscono questo tempo come le loro tasche (se non fosse così Mr. Obama non sarebbe mai arrivato dov'è). Due esseri umani intelligenti, colti, affascinanti, svegli, e soprattutto belli. Bene, prendete questi due e metteteli nel coup de théatre, nella scenografia rinascimentale, in alcuni punti barocca che il Papa ha preparato per loro nel Palazzo Apostolico. Fategli vedere che c'è ancora qualcuno che per riceverli si veste come in un ritratto di Raffaello, fagli vedere che la guardia d'onore lavora ancora con l'elmo, fategli scoprire che nell'attesa il Papa si è seduto sul suo TRONO. Fate fare a questi due, insomma, un viaggio nel tempo di qualche centinaio di anni. Come in un'attrazione di Disneyworld.
Non era possibile che non ci fosse una reazione. Altrimenti avremmo dovuto constatare che non avevano colto il senso del ridicolo di quella situazione. No, scusate, non della situazione, ma della scena.
Ecco allora che agli occhi miei, i due si riabilitano scambiandosi uno sguardo ironico d'intesa. Come a volersi comunicare: "Ma dove siamo finiti? Non azzardarti a ridere, altrimenti esplodo anche io". Una supplica, ecco.
Come una vera coppia, i due complici si sono dati manforte e gli strumenti per superare con decoro, la ridicola parata di un Regno che fu, che era loro stata preparata.
Questa è classe, questa è l'eleganza innata.
2 commenti:
Meli,
grazie della chiacchierata, mi ha aiutato, girare pagina girare pagina...
la il post su Obama è splendido! Ti sei veramente superato. Meriterebbe una storia, un'esposizione più lunga, una fictionalizzazione se si dice... vorrei poterla mostrare ad altri, però ka parte prima è troppo personale per pubblicizzarla su FB
non trovi?
inaphila e la parola verifica
Fai pure. Ti ringrazio per i complimenti, comincio a sospettare che tu sia troppo buona.
Ma se ti va io non ho problemi. Fai pure.
Un bacio. Ho scritto riguardo alla telefonata: "SEMINA"
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