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In attesa di amiche che dovevano essere qui già da qualche minuto, siedo sul bordo del lavatoio. Godo del sole fuoriuscito dal mondo del grigio, del caldo che prende il posto del rigido, delle sciarpe finalmente portare in lavanderia, che per far pulizia negli armadi propone il 3 X 2.
Una liberazione, in verità, l'appendiabiti nell'ingresso che va perdendo di presenze fisse e non più desiderabili.
Il paesino è immoto. Poche macchine che passano e quelle poche dirette alla stessa osteria dove dovremmo sedere a mangiare noi. Il ritardo mi irrita il giusto, ma me la farò passare. Con un aperitivo.
L'uscita del sole ha riportato in voga abitudini buone, sane, virili. Come quella di fermarsi a lavare la macchina in attesa di esibirla in tutto il suo splendore in scampagnate prossime, imminenti.
Pur non avendo pic-nic imminente, mi esibisco in questo esercizio nel fine settimana appena trascorso, conscio della mia incapacità a fare da solo quest'etera esibizione di testosteronico amore per la carlinga dei propri sogni. Ma ci devo provare: l'auto nuova è coperta da strati e strati di polvere e zozzerie dell'inverno appena passato, non posso pensare di umiliarla così.
M'infilo allora in uno di quei centri estetici per fanatici da tubo di scappamento cromato, mi piazzo sotto il capanno che mi spetta, mi riempio le tasche di gettoni non rimborsabili del valore di un euro e mi metto a leggere le scarne istruzioni sull'uso di quelle tre misteriose lance che non aspettano altro che sparare solventi, acqua a pressione e sapone da spazzolate sul cofano.
Ne esco dopo una mezz'oretta fradicio di sudore, fradicio di acqua e schiuma, intontito dalla sequenza frenetica gettone/selezione lancia, ripetuta all'infinito, alleggerito di otto euro e con la macchina pulita a chiazze... Rimpiangendo ogni secondo di non aver scelto le spazzole per fare il lavoro che doveva essere fatto da me.
Mai più. Pensavo fosse più facile: che la potenza dei getti facesse il grosso del lavoro mentre invece il lavoro grosso lo fanno le braccia che insaponano e puliscono con la spazzola a pelo lungo. Un esercizio alla "Karatè Kid".
Ma mentre sudo e m'impicco con i tubi di gomma che paiono tentacoli di octopus, che dimostrano, ce ne fosse bisogno, la mia incapacità ad affrontare il cimento, m'incanto a vedere la schiera di maschi in canotta e pantaloni al ginocchio, che si prende cura del proprio quattro ruote. Lo apre in ogni sportello, lo vizia con panni e pelli, lo accarezza con lo sguardo mentre ne ricerca bellezze e difetti, lo tocca con mano attenta; se lo ripassa in un amplesso pubblico e impudico.
Sono questi gli stessi uomini che non laverebbero un piatto in cucina, piuttosto morire? Sono questi quelli che sbuffano al supermercato mentre spingono il carrello carico anche delle loro birre?
Eccoli qui invece a fare il bidè alle loro "bambine". A lanciarsi l'un l'altro sguardi compiaciuti di orgoglio maritale. Paiono dirsi: "Visto che gnocca la mia donna?".
Perdono tempo nel far le cose non solo per prolungare il piacere dell'amplesso, ma per non astenersi neppure per un istante dalla competizione per l'elezione del maschio alfa.
Se il predominio lo di conquista per meriti propri o della casa automobilistica non ci è dato sapere.
Ma mentre lottano in segreto, godono dell'ambiente maschile come altri devono farlo negli hammam: qui le femmine sono solo opzionali.
Ricostruiscono forse, un luogo dove si raggruppano solo loro, tra di loro, senza contaminazioni esterne.
Non a caso il luogo richiama parecchi machos dell'est europeo che lustrano e lavano con più foga del sornione impegno dei miei concittadini.
Più di una volta mi domando che ci faccio io lì. E visto i risultati... la domanda ci sta tutta.
Esco con la macchina certamente più pulita che al mio ingresso, ma certo non completamente soddisfatto del risultato. E carico della sensazione di disagio, inadeguatezza provata fino a quel momento. Come se mi fossi seduto a bere un quartino in un osteria di tanti anni fa.