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Il guru più in voga dell'alta cucina italiana fa la pubblicità alle patatine fritte in busta.
Le esalta per la spregiudicatezza. Invita noi poveri banali ad osare per arrivare a risultati eccellenti, ci sfida con uova di quaglia o alici adagiate sulla patatina zigrinata, e se non riusciamo ad immaginare così tanto ci stampa la ricetta dietro.
Ora dico io... Va bene tutto, anche le patatine in busta consigliate da questo novello Rocco Siffredi - io non le compro solo perché mi piacciono così tanto che se ne apro una busta, non sono soddisfatto fino a che non l'ho svuotata, poi mi pento e vado a correre.
Ma le patatine fritte, non rientravano un quello che fino a poco tempo fa era definito cibo spazzatura? Ultimamente non giravano con timidezza solo nei tavoli degli aperitivi meno rinforzati? Mi sbaglio? Anche qui c'è stata una revisione?
Forse sì.
Bei tempi quando questo cibo era formalmente vietato e lo si comprava, come refurtiva che scotta, con i pochi soldi che si mettevano insieme tra gli amici ai giardini. E di nascosto. Le madri si incazzavano come mandinghi se ci trovavano con il corpo del reato ancora in mano: minimo, dopo il misfatto, ci toccava una dieta disintossicante di merende a pane, burro e marmellata per una settimana.
Per non parlare del predicozzo semi-urlato che si estendeva per un tempo infinito. O almeno così pareva.
Ora invece se inviti a cena gli amici, apri la busta, ci schiaffi sopra la qualunque, meglio se le acciughe son del mar cantabrico e la quaglia è un'ovipara della brughiera, e ci fai un figurone. Da pirla.
Io, se proprio dovessi "osare", su quelle appena acquistate con la scusa di "capire" oserei con cubetti di mortadella e fette di salame di Felino di discreta altezza. Minimo mi si incastra tra i molari, ma vuoi mettere la soddisfazione?
Cambiano i tempi, ma la gente si sputtana sempre con le solite cagate. Però, intanto, abbiamo nobilitato la patatina fritta.
Bella mossa.